domenica 1 aprile 2012

La sindrome di Caravaggio

10/6/2010

E mo' basta !!
Non sappiano se la mostra apertasi lo scorso sabato a Firenze a Palazzo Pitti, Caravaggio e caravaggeschi a Firenze, conoscerà lo stesso straordinario successo di massa di quella tuttora in corso a Roma alle Scuderie del Quirinale, certo è che per entrambe si deve  dire che siamo di fronte ad un fenomeno tale da produrre esiti differenti rispetto a quanto probabilmente gli stessi organizzatori non avessero previsto. Ma per capirci bene occorre andare per ordine.
Non era difficile prevedere che in questo 2010, a quattrocento anni della morte -in circostanze ancor non del tutto chiarite- di Michelangelo Merisi da Caravaggio (fig 1), un incombere di manifestazioni, rievocazioni, convegni, pubblicazioni avrebbero letteralmente messo alla prova l'attenzione del  pubblico, particolarmente attratto tanto dalle vicende di vita quanto dalle geniali creazioni del grande artista. Non era difficile prevederlo, considerato l'enorme successo che garantisce, a chi organizza mostre o stampa libri, la sola citazione  del nome del Caravaggio;  Freud avrebbe probabilmente spiegato casi come questo con il fenomeno della 'identificazione' (che per la psicanalisi è appunto “la prima manifestazione di un legame affettivo con un altra persona” ; cfr S.Freud, Psicologia delle masse ed analisi dell'io),che spiega bene come masse intere di persone possano arrivare ad identificarsi con qualcuno, in forza di un legame affettivo primo, cioè originario, primigenio. Ed era perfino ovvio che facendo forza su questo 'legame' il mercato avrebbe giocato la sua partita con il profluvio di iniziative di cui parlavamo, cui è davvero un'impresa dare un senso che non sia quello meramente 'pratico' di sfruttamento dell'evento con  la trasformazione di un appuntamento in qualche modo storico in 'battage', lancio pubblicitario, vetrina massmediologa.
Si dirà – ed è vero- che non bisogna generalizzare, che in qualche caso alcune benemerite ricerche, come vedremo, hanno determinato anche degli sviluppi, e tuttavia la sarabanda spesso improvvisata e forzata cui si è assistito e si sta ancora assistendo rischia, se non l'ha già determinato, di creare un fenomeno ben diverso da quello della identificazione, cioè, sempre per rimanere in ambito freudiano, la 'rimozione', cui il medico viennese associava quello ancor più preoccupante, per quanto stiamo dicendo, della 'resistenza', il meccanismo psichico che non consente ai contenuti rimossi di ritornare coscienti. 
Accadrà, insomma, com'è già avvenuto, che di nuovo Caravaggio -stavolta non per cambiamento dei gusti artistici, ma per eccesso di sovraesposizione, ovvero per una sorta di saturazione- verrà messo in soffitta? Ci auguriamo di no, ma il rischio bisogna metterlo in conto. Da questo punto di vista, le parole della nuova Sovrintende del Polo museale romano, Rossella Vodret, che ha preannunciato, dopo la mostra delle Scuderie, una nuova iniziativa espositiva stavolta dedicata ai “pittori caravaggeschi minori “ (sic!) come Cecco del Caravaggio, Bartolomeo Manfredi, Jean Valentin ecc, suonano piuttosto come una minaccia che come una promessa.  La domanda, come si dice in questi casi, sorge spontanea : cui prodest ? Non si discutono, ovviamente, i capolavori esposti al pubblico, che anzi in qualche caso (fig.2) sono di difficile fruizione ; molti però si chiedono quali siano i contributi di novità e di analisi della poetica del geniale pittore lombardo; ci si chiede insomma quanto possano giovare simili 'eventi', se è vero che restano irrisolte molte questioni legate tanto alla vicenda umana, quanto a quella artistica del Merisi.

Per non correre il rischio di scatenare le solite polemiche filologico-iconografico-attributive, nella mostra romana si è deciso di esporre solo opere 'universalmente' riconosciute; eppure proprio a mostra in corso è sorto il 'caso' della Presa di Cristo nell'orto,  della National Gallery di Dublino (fig 3) probabilmente ridimensionata a 'replica' a seguito della riapparizione, è il caso di dire, di una tela dello stesso soggetto ma di più ampie dimensioni, a suo tempo derubricata a copia da Roberto Longhi, ma risorta a nuova vita dopo un eccellente restauro e grazie alla tenacia di un noto antiquario romano. D'altra parte però qualche enigma è stato sciolto. E' il caso del capolavoro dipinto da Caravaggio per Ciriaco Mattei nel 1602, (fig 4) che, grazie al lavoro di Sergio Guarino, ora  non dovrebbe più dar luogo a problemi interpretativi: il giovane sorridente che abbraccia l'ariete è proprio un San Giovannino.


La scelta 'istituzionale' dei curatori della mostra romana (Rossella Vodret e Francesco Buranelli; ma va notata la presa di distanze dell'ex sovrintendente, nonché ideatore della mostra, Claudio  Strinati) ha comportato la rinuncia a dipinti 'discussi', quali, tra i più noti, il Ragazzo che sbuccia un melangolo (fig 5) la Maddalena in estasi (fig 6) la Vocazione dei santi Pietro e Andrea (fig 7); ci si chiede tuttavia quando si potrà arrivare a sciogliere, in un senso o nell'altro, la questione della autografia di questi dipinti, anch'essi capolavori, se non si è approfittato del confronto diretto con opere 'sicure' (ma abbiamo visto, poi mica tanto!) in questa circostanza. Si è notato, d'altro canto, in una iniziativa a carattere dichiaratamente 'istituzionale' l'assenza di studiosi tra i più noti e preparati tra i 'caravaggisti', quali, ad es., Ferdinando Bologna e Maurizio Marini, al quale ultimo peraltro si deve il repertorio più esauriente su Caravaggio e che non compare  neppure tra i ringraziamenti.



Diverso ma speculare il discorso per la mostra fiorentina. Qui, peraltro, bisognava tener presente che inevitabilmente sarebbe nato il confronto con la grande iniziativa curata quarant'anni fa da Evelina Borea, Caravaggio e caravaggeschi nelle Gallerie fiorentine .  E sotto questo punto di vista, occorre riconoscere subito i meriti del curatore, Gianni Papi, da tempo impegnato sul fronte degli studi caravaggeschi, con ricerche e scoperte che hanno rivoluzionato alcuni tradizionali impianti interpretativi (si pensi soltanto agli studi sulla fase romana di Ribera, culminati con l'identificazione -che però non trova ancora tutti gli studiosi concordi- nello 'Spagnoletto' del  Maestro del Giudizio di Salomone (fig. 8)) . E tuttavia, se la scelta 'istituzionale' dei due curatori romani ha privilegiato criteri restrittivi, a Firenze si è probabilmente esagerato all'incontrario. Forse nell'ansia di non farsi oscurare dall'evento delle Scuderie, si è andati oltre: da un parte, forzando, in saggi pure apprezzabili, dati documentari non ancora esaurienti per  cercare conferme a malsicure supposizioni (l'ipotizzato approdo fiorentino di Caravaggio, il mistero  della sua tragica morte, ecc) , dall'altro, presentando in mostra opere di incerto lignaggio e di attribuzione controversa. 

Il risultato è non già di aver chiarito aspetti ancora nell'ombra o dibattuti, bensì esattamente l'opposto. Pensiamo, ad es, alla ri-attribuzione a Caravaggio di un ritratto di cardinale (fig 9) ora creduto Benedetto Giustiniani, presentato invece a suo tempo (nella mostra La Regola e la Fama. San Filippo Neri e l'arte, Roma  1995) come Cesare Baronio da John Thomas Spike, che lo attribuiva a Caravaggio, con successo scarsissimo e consenso nessuno; oppure al Ritratto di Maffeo Barberini (fig.10) proprietà Corsini, già espunto da Longhi, ma accettato da altri valenti studiosi, tra cui, oggi, lo stesso Papi, Mina Gregori e Keith Christiansen, autore di una lunga scheda in catalogo, dove però, al di là di una conclamata sicumera,  manca la sola cosa che avrebbe smentito la non autografia caravaggesca, cioè la contestazione di un documento pubblicato nel lontano 1967 da C. D'Onofrio che attestava pagamenti del dipinto Corsini al pittore Niccodemo Ferrucci (un allievo del Passignano, 'modesto' secondo Papi, 'buono' secondo Marini); e tuttavia, se in questo caso si è platealmente sorvolato sul dato documentario per privilegiare, a conferma di un'ipotesi attributiva, la tecnica e la forza compositiva dell'opera, anch'essa risorta dopo un accurato restauro, non altrettanto si è fatto con il discusso Cavadenti (fig 11)  del tutto 'fuori linea' rispetto alla produzione caravaggesca post-romana, ma confermato, con un' insistenza quasi accorata dalla Gregori nella scheda, su base documentaria.



Compaiono poi numerose opere tratte dai depositi degli Uffizi e lodevolmente messe a confronto per una lettura esauriente; faranno certamente discutere due dipinti assegnati a Ribera, come San Pietro e San Paolo (fig 12) e San Paolo eremita, (fig 13) (in questo caso nella scheda prudentemente si è aggiunto 'e bottega') come farà discutere il 'passaggio' di certe attribuzioni da un artista ad una altro esclusivamente su basi stilistiche, come nel caso, per citarne solo uno, del famoso Suonatore di liuto (fig 14), ora assegnato interrogativamente a Simon Vouet, dopo una serie di attribuzioni ad artisti fiorentini.  Ma questo è nell'ordine delle cose, ed anzi è senz'altro positivo riproporre opere di una certa importanza, o di portarne alla luce altre di sicuro interesse, come nel caso del Ritratto di giovane con colletto a lattuga (fig 15) dato anche come  probabile Autoritratto di Cecco del Caravaggio; almeno di questo occorre dare atto Ma la sensazione di 'saturazione' e di stanchezza che ormai si percepisce intorno a simili 'eventi', rischia di generalizzarsi e suggerirebbe da adesso in poi molta prudenza: è quello che ci sentiamo di dover suggerire.
PDL




La sindrome di Caravaggio
La sindrome di Caravaggio si manifesta in maniera diversa a seconda  colpisca un comune mortale o un celebre studioso, eventualmente specialista riconosciuto dell’opera del sommo pittore lombardo.
Nel primo caso si avverte in maniera lampante, soprattutto se si è al cospetto dei dipinti dell’ultima fase, pregni di sangue e di dolore, di patimento e di morte, la presenza del male, una sensazione incombente che toglie il fiato ed induce a pensieri tristi e commendevoli. 
Nei bambini induce spesso un pianto disperato alternato a singhiozzi. Ne ebbi la conferma quando, in occasione della mostra napoletana sull’Ultimo Caravaggio, tenutasi alcuni anni fa a Capodimonte, le maestre si lamentavano di non poter portare in visita le loro scolaresche, perché la visione delle opere era traumatizzante per i pargoli. 
Anche io, col mio gruppo di Amici delle chiese napoletane, organizzai una decina di visite guidate ed i frequentatori avevano un’età media di settant’anni, eppure l’effetto non era dissimile, incubi notturni nei giorni successivi, che colpivano prevalentemente  signore  d’annata e sensazioni di angoscia, che perduravano settimane anche in generali in pensione e attempati professionisti e magistrati.
Una sottovariante della morbosa patologia, una sorta di sindrome di Stendhal al massimo grado, si avverte poi nel guardare la celebre Medusa degli Uffizi, un quadro straordinariamente bello ed orrifico in egual misura, che induce una vertigine di sensazioni terebranti da indurre la perdita dell’equilibrio, mentre alcuni soggetti urlano a squarciagola.
Ma lo scopo di queste brevi considerazioni sulla sindrome era a margine dell’esaustivo articolo dell’amico Pietro Di Loreto sull’ondata incontenibile di nuove attribuzioni a Caravaggio di quadri assolutamente inadeguati,  da parte di critici anche di fama internazionale.
Si potrebbe ipotizzare un motivo meramente economico alla base di questa mania attribuzionistica, perché un quadro che diventa Caravaggio al posto di copia o di ignoto caravaggista aumenta di oltre mille volte il suo valore venale. Da poche decine di migliaia di euro a svariate decine di milioni. Invece l’ansia incontenibile che spinge a dare la paternità del Merisi a quadri improbabili è dettata unicamente dal desiderio per ogni studioso di divenire famoso per la scoperta, carpendo la celebrità dell’artista. 
Non si potrebbero spiegare altrimenti errori clamorosi del passato: uno fra tutti quello di battersi per l’autografia del Cavadenti, un quadro di una mediocrità sconcertante, da parte di una studiosa dell’autore riconosciuta internazionalmente come Mina Gregori. 
Ed all’incontrario la vicenda del Martirio di S. Orsola, già di proprietà della sede napoletana della Banca Commerciale(non inseguiamo di chi è ora dopo infiniti accorpamenti tra istituti di credito), che nonostante richiamasse a viva voce l’autografia, anche per la presenza in primo piano dell’autoritratto del pittore, è rimasta  a lungo nell’anonimato o sotto nomi assurdi come il Preti, prima della decisiva scoperta dei documenti.
Alla mostra attualmente a Firenze, affianco a capolavori, si presentano due nuovi Caravaggio…, mentre l’ultima rivista di storia dell’arte ne presenta addirittura sette.
Dobbiamo giustamente dire Basta!!!, un minimo di serietà ci vuole.
Gli studiosi affetti dalla sindrome e sono molti farebbero meglio a farsi curare da uno psicanalista, invece di vaneggiare con nuove  sensazionali scoperte.
P.S. Sulla mostra fiorentina fa testo il competente commento del professor Di Loreto, vorrei solo aggiungere, da napoletanista immarcescibile, un parere sui due pseudo Ribera: il primo è copia da un originale perduto, il secondo è di un ignoto spagnolo, contemporaneo del valenzano, di cui non mi sento di dare un nome preciso.
AdR


di Achille della Ragione e Pietro Di Loreto

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