domenica 24 novembre 2013

La psicologia dell’amore



L’amore è semplicemente un processo neurofisiologico che ha sede nel nostro cervello?
L’attrazione sessuale si può attribuire a una funzione geneticamente programmata che ci consente di decifrare gli impercettibili messaggi chimici indicatori della compatibilità genetica? Forse non siamo altro che macchine “di sopravvivenza” e amore non è altro che un bel nome dato al desiderio di generare una prole sana, per assicurare la continuità in futuro del nostro materiale genetico. Ironia della sorte mentre il desiderio di immortalità può essere negato a noi come individui, esso in realtà ci è garantito dalla sopravvivenza dei nostri geni nella nostra discendenza. Ma che siamo o no, efficaci macchine di sopravvivenza il nostro viaggio nell’amore può continuare, facendoci sentire di volta in volta onorati o umiliati, passionali o distaccati, ossessionati o sereni, fiduciosi o sospettosi, a prescindere da quello che i nostri geni hanno in mente e dai loro progetti a lungo termine.
Quanto al nostro modo di amare, alla nostra esperienza sull’amore e al nostro modo di esprimerlo, è tutta un’altra storia. Una storia che non può essere imbrigliata esclusivamente in termini di geni o neurochimica, e che può prendere una piega molto differente per ciascuno dei suoi protagonisti. Per il personaggio interpretato da Bogart nel film “Il diritto di uccidere” la vita è cominciata nello stesso modo repentino in cui è finita, con il dono dell’amore di una donna e con la sua perdita. L’immortale amore di Orfeo per Euridice lo condusse nel terribile mondo degli Inferi per recuperare la sua amante morta. La passione incrollabile di Romeo e Giulietta, li indusse a preferire la morte alla vita. L’insaziabile brama di Casanova per le donne lo spinse tra le amorose braccia di qualcosa come centoventidue donne, Re Edoardo VIII rinunciò al trono per la donna amata, e fu il temerario amore di Paride per Elena a fornire il pretesto per la guerra di Troia.
Le nostre personalità, le nostre storie ed esperienze di vita, di cultura, l’ambiente e l’epoca in cui viviamo, plasmano ed influenzano fortemente “i paesaggi” del nostro amore. Noi ci muoviamo danzando dall’uno all’altro di questi paesaggi, cercando di padroneggiare passi complicati all’unisono con il partner. Le teorie sul nostro modo di muoverci in questi paesaggi e di esplorarli abbondano, come abbondano le teorie sul perché noi tutti amiamo in modo differente l’uno dall’altro. Freud fu il primo a dare un colpo di piccone sui territori dell’amore e scavò in profondità. I suoi scavi andarono a sbattere contro l’inconscio e da allora il mondo non e più stato lo stesso. La parte inaccessibile e sommersa di ogni individuo dotato di una volontà propria, l’inconscio e le esperienze della prima infanzia giocano un ruolo cruciale nel renderci ciò che saremo da adulti. Stando a Freud, l’amore adulto e la sessualità sono radicati nell’infanzia e sono estensione della riscoperta di ciò che sperimentiamo per la prima volta al contatto con il seno materno. Freud credeva che la nostra personalità, la nostra sessualità e il nostro modo di amare fossero modellati in base al modo in cui, durante la crescita, abbiamo risolto il sentimento di attrazione per il genitore del sesso opposto. A dispetto della biologia, quando si tratta di vivere l’amore siamo tutti diversi. L’amore è per alcuni un gioco del caso, per altri una questione di destino. Il passato di un individuo e il significato accordato all’amore nell’ambito della sua cultura ne influenzano fortemente l’approccio all’amore. La gente riceve e dà amore in modi molto diversi. Alcuni sentono che l’amicizia è un elemento fondamentale in amore e desiderano ardentemente un compagno fedele. Altri affrontano l’amore come una trattativa d’affari, soppesando i pro ed i contro di una potenziale società. Molti si imbarcano in una relazione passionale e selvaggia, alla ricerca del cavaliere dall’armatura scintillante o della dama in difficoltà. Molti vogliono tutte queste cose insieme, la relazione tempestosa, la passione, la società, il profitto, l’amicizia. E ci sono anche quelli che non vogliono saperne di nessuna di queste cose. Se l’amore è una danza, può essere un valzer galante, un tango sensuale, o un rock’n’roll scatenato. La danza dell’amore ha luogo in territori che possono essere piani o accidentali, brulli o lussureggianti, aridi o umidi, freddi o caldi. Alcuni si avvicinano impazienti alla pista da ballo, fanno un giro o due, solo per ritirarsi sudando freddo. Altri non ci pensano due volte, afferrano la mano del partner e ballano finché non cadono si trovano a proprio agio in passi falsi e movenze maldestre, amano ogni singolo passo sulla pista. Altri ancora se ne tengono lontani e declinano gentilmente l’invito, dicendo che non sanno ballare. Ci sono ballerini il cui primo amore è anche l’ultimo e ballerini il cui ultimo amore è anche il primo. Chi può capire i misteriosi movimenti della danza chiamata amore?
Recenti studi sul genoma mostrano che uomini e scimmie hanno in comune il 98,4% del patrimonio genetico, ma nel corso della sua evoluzione l’uomo (la scimmia nuda) sviluppò il cervello e si dotò di una forma di cultura, che cominciò a prevalere sull’istinti. Quando ci innamoriamo scattano meccanismi atavici, un mix di istinto e umanità, il frutto di una lunga evoluzione, che lega il cucciolo alla madre, per estendersi al rapporto tra maschio e femmina, che si prende cura della prole, garantendone l’incolumità. La selezione ha premiato gli individui che sapevano meglio amare i figli ed amarsi tra loro. L’amore ha garantito la nostra sopravvivenza, ha contrastato la nostra rabbia di carnivori e predatori, un domani riuscirà a mitigare l’odio che ci rende gli unici animali che fanno la guerra a praticano la violenza intraspecifica. Siamo angeli caduti, ma anche soprattutto scimmie nude!
Su questo argomento invito a consultare su internet il mio breve saggio: “Monogamia virtù o necessità?”
Nella nostra testa è ricapitolata tutta la storia dell’evoluzione: Vi è una struttura cerebrale antica, uguale a quella dei rettili, che adoperiamo per camminare e respirare e vi sono dei centri corticali superiori con dei loci specifici, dove, tra le sinapsi vibra l’amore.
Nello stesso tempo rappresentiamo il risultato più alto della filogenesi, pur essendo costituiti da minerali, il che ci obbliga a rispettare le ferree regole imposte alla materialità, ma vi è una forza sovrana: l’amore che connette tutte le realtà e permette loro di sopravvivere ed evolvere e fa dialogare, come acutamente sosteneva Bateson, “Il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei noi con l’ameba da una parte e lo schizofrenico dall’altra”.
Attrarre un individuo di sesso opposto è uno dei due compiti fondamentali per un animale
e di conseguenza per l’uomo. Bisogna sopravvivere fino all’età fertile e poi accoppiarsi per riprodurre una prole da allevare con amore. Non utilizziamo code di pavone o artigli per essere desiderabili, ma il cervello con la sua creatività che rappresenta la più genuina matrice della nostra storia e della nostra civiltà, espressa sotto varie forme: musica, pittura, scrittura, filosofia, diritto, scienza.
Il premio Nobel Edelman, nel suo ultimo libro riporta le celebri parole di Emily Dickinson: “Il cervello è più grande del cielo”, perché nel pensarlo lo può contenere. Allo stesso tempo tranquillamente si può affermare che “E’ più profondo del mare” e di sicuro è l’oggetto materiale più complesso che esista al mondo. Trenta miliardi di neuroni, grandi tre millesimi di centimetro, e un milione di miliardi di collegamenti tra loro (Edelman, 2004). Infinitamente più complesso di un calcolatore, poiché non è frutto di progettazione, ma di una lunghissima storia evolutiva durante la quale, da semplice organo che faceva comunicare gli altri organi, è diventato “laboratorio biochimico che produce anima”. Grazie alla sua complessità il cervello ci consente di essere coscienti, vigili, attenti a ciò che accade, memori del passato, in grado di anticipare il futuro e anche coscienti di noi stessi. Autoconsapevolezza: non è questa la radice cognitiva dell’anima umana?
Vogliamo concludere sottolineando come al perché dell’amore abbiano tentato di dare una risposta sin dall’antichità. La questione non è mai stata risolta: perché ci innamoriamo? Perché ci innamoriamo proprio di quella persona? E non di un’altra che magari teoricamente ci corrisponde di più e potrebbe essere molto più adatta a noi?
Periodicamente delle questioni vengono riproposte e le spiegazioni più disparate e poiché il problema non è nuovo, a dire la loro in materia sono stati anche i Romani. A uno dei quali, Lucrezio, si deve un’interessante teoria. Per chi non lo ricordasse Lucrezio vissuto nella prima metà del primo secolo a.C., poeta e filosofo, scrisse un poema didattico intitolato “De rerum natura”, nel quale per dimostrare la falsità dei timori dovuti alla credenza superstiziosa degli interventi divini sulle vite umane, si rifaceva alle teorie di Epicuro. Il mondo spiegava Lucrezio, è regolato da leggi meccaniche di natura; l’anima è mortale, scompare con la morte del corpo; e il piacere (venendo al nostro tema) altro non è che la soddisfazione di trasferire il proprio seme nel corpo di un’altra persona, il cui fascino ha provocato la formazione e l’accumulo del seme stesso: “Chi è colpito dalle frecce di Venere dunque è attratto da chi lo ha colpito, e aspira a unirsi a lui”.
Al di là (ovviamente) della sua attendibilità, una teoria per alcuni versi apprezzabile: indiscutibilmente infatti, non contiene la minima traccia omofoba (anzi il fanciullo, nell’ordine, viene prima delle donne). Ma rimane un dubbio: le donne, che non hanno seme, non si innamorano mai? Non hanno mai voglia di fare l’amore?

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