sabato 9 novembre 2013

UNA VESTALE DELLA CUCINA

Alba Pezone

Una (quasi) napoletana a Parigi. Non è il titolo di un libro, ma il leitmotiv di questa storia. Che parla di ziti al sugo. Di mani laboriose. Di libri golosi. E di una donna: capelli corti, sorriso virale, curiosità irrefrenabile, gusto per le cose buone. La prima volta che l’ho scoperta, è stata attraverso un libro sulla pasta. In copertina c’era un tubettone al pomodoro. Dentro, quaranta ricette d’autore per interpretare il prodotto mediterraneo per eccellenza. Leggerlo regalava la possibilità di immergersi in un mondo speciale. Il mondo di Alba. C’era anche lei, infatti, nelle foto (bellissime, di Laurence Mouton). In una provava a fare un ragù con lo chef Alfonso Iaccarino. In un’altra scolava degli scialatielli con Libera Iovine. Oppure annusava un sugo ai capperi con Agata Parisella. Ed era quasi scontato chiedersi: perché una food writer che vive a Parigi, e che lì è gettonatissima dalle riviste specializzate (Elle, Vogue, Côté Sud), decide di partire armi e bagagli e raccontare il Sud dell’Italia e le sue eccellenze gastronomiche per poi raccoglierle in un libro? Semplice: perché Alba Pezone è campana. Anzi, per la precisione è di Parete, cittadina di 11mila abitanti in provincia di Caserta. Da lì è andata via ragazzina alla volta di Parigi, portandosi dietro (come tutti gli emigranti, soprattutto quelli volontari) suoni, ricordi e sapori della sua terra. L’ha raccontato proprio lei in prima persona: «Parete per me resta ancora il ragù della domenica, il volo dell’angelo, le polpette dolci di nonna Rosa, i carciofini arrostiti sul terrazzo della zia, le granite al limone nei pomeriggi estivi. Ecco, da quando ho lasciato la mia terra, la cucina mi è servita a curare la nostalgia». Prima l’Università, dove studia marketing. Poi il lavoro, per otto anni, al ministero della Difesa. Infine il bisogno di prendersi una pausa. E la decisione di seguire la sua passione di sempre: la cucina. Si iscrive a una scuola. Non il Cordon Bleu... Ma una molto meno “mondana”: la Scuola professionale Ferrandi della Camera di commercio. Ne esce con due diplomi: Cucina e Pasticceria. E uno stage da Gérard Mulot. Tutte esperienze che ha subito fatto fruttare. Scrive un primo libro. Poi un secondo. «Ed è arrivato il momento in cui mi sono detta: perché non fare della mia passione un mestiere?». Così è cominciato tutto. Con l’idea, nel 2004, di aprire una sua scuola nel cuore di Parigi: Parole in cucina.
Oggi racconta soddisfatta: «La maggior parte dei miei allievi sono gourmets che adorano l’Italia e la sua tradizione gastronomica. Una sorta di table d’hôte per appassionati. Che poi si trasforma molto spesso in un club di amici. Il ricettario è quello classico: il tiramisù, la pizza, il ragù...». Sono i piatti dell’infanzia che guidano le mani di questa signora entusiasta e appassionata. Anche nelle sue lezioni, dove la cucina napoletana, ovviamente, è sempre sullo sfondo. Alba si lascia guidare da quella che lei stessa definisce la cucina della nostalgia. Così questa Amélie napoletana ha stregato i parigini. Il suo segreto? «Imparare a gustare il cibo. Spesso le mie lezioni sono anche sulla qualità della pasta, ad esempio. Perché capire e riconoscere cosa è buono e cosa no secondo me è la sola base possibile per imparare a cucinare. Per esempio, se l’acqua di cottura resta pulita e non bianca, vuol dire che l’amido non ha abbandonato la vostra pasta. E che quindi è ottima».
In Italia questa cuoca della memoria è nota, ma forse non celebrata a dovere. Il 19 settembre però è uscito il suo nuovo libro Pizza (Guido Tommasi): un viaggio fotografico e gastronomico, davvero singolare, nel mondo di questo cibo oramai di diffusione mondiale. Lei, Alba, ovviamente ha fatto il reportage alla sua maniera. E cioè è andata da tre dei pizzaioli più famosi (e geniali) di Napoli a studiare i loro segreti. Immortalandoli in immagini davvero suggestive. Il risultato è splendido. Unica pecca, forse, la poca chiarezza sulle dosi e le qualità del lievito, che potrebbe indurre i neofiti in qualche incertezza. Per il resto, un libro da tenere nella biblioteca gourmande, conservandolo gelosamente. D’altronde, quante volte si era sentita chiedere: «Alba dove vado a mangiare una buona pizza?». Di qui, l’idea di mettere nero su bianco le sue idee. Da campana in terra di Francia. Così è tornata nella sua città per raccontare la pizza, ha visitato le pizzerie giuste e ha fatto un approfondito lavoro di ricerca sul campo assaggiando decine di pizze. È andata di locale in locale a provare le pizze di Enzo Coccia, di Franco Pepe, di Ciro Coccia, di Gino Sorbillo e di Enzo Piccirillo. Ha scritto le ricette di ogni pizza: dalla margherita alla marinara, dalla pizza al tonno e cipolla a quella con provola e friarelli e poi le ricette dei calzoni, dei fritti e delle frittate. Aggiungendo anche quelle sue: personali interpretazioni del piatto base. Le ha chiamate: le ricette di Alba. E si deve ammettere che sono di grande impatto. Il tutto condito con le fotografie di Laurence Mauton.
La cuoca che è in lei, comunque, da anni ha soprattutto un obiettivo: insegnare anche ai francesi che cosa si intende per convivialità italiana: «È un modo di stare insieme, un luogo privilegiato di scambi. Si pranza e si cena in famiglia. Senza formalità, come a Parigi. A casa mia, le persone che passavano a salutare magari si fermavano a cena. Anche se non era stato previsto. Questa è la meraviglia e la magia della nostra tradizione». Una sola cosa, la sorridente Alba, ci tiene a smentire: il mito della mamma italiana. «Oggi è sbiadito. Le donne italiane cucinano meno che in passato, e sono sempre di più quelle che ricorrono alle scuole di cucina per imparare. Io credo che la mamma italiana sia stato un fenomeno generazionale, ma attenzione: insisto sul fatto che queste “mamme” non hanno mai pensato che cucinare per la famiglia fosse un obbligo. Non c’è mai stato del machismo. Cucinavano perché amavano farlo. Questo è stato il loro segreto».

Ed ecco una sua ricetta

Pizza alle pere, noci, speck e rucola
Ingredienti per 4 persone



  • 280 gr di pasta per pizza.
  • 5 - 6 fette sottilissime di speck Igp.
  • 80 -100 gr di provola di bufala affumicata a listarelle.
  • 1 pera Conference, dalla polpa soda. 
  • 8 -10 gherigli di noci di Sorrento.
  • 20 gr di parmigiano grattugiato al momento.
  • 1 manciata di rucola.
  • Olio extravergine di oliva.
Preparazione: Lavate e sbucciate la pera e affettatela per il lungo. Sfogliate la rucola, lavatela e asciugatela. Schiacciate grossolanamente le noci. Preriscaldate il forno a 250° C. Stendete la pasta in un disco sottilissimo sul piano di lavoro appena spolverato di farina e mettetelo sulla teglia del forno leggermente spennellata di olio. Irrorate con un filo d’olio e infornate per 10 minuti. Distribuite sulla pizza la provola, lo speck, la pera, infornate per altri 5 minuti: la pera deve restare succosa, appena scottata dal calore del forno e lo speck deve essere morbido. Dopo aver sfornato la pizza, spolverizzatela di parmigiano, e aggiungete le noci e la rucola. Irrorate con un filo d’olio.



È una favola a lieto fine, con i sapori della Campania come rimedio alla nostalgia. È partita da ragazzina alla conquista di Parigi, portando con sé le polpette della nonna, i carciofi delle zie, le granite della infanzia ed ha conquistato i gourmet d’oltralpe, di cui è diventata maestra.

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