venerdì 8 novembre 2013

Un discusso autoritario procuratore

Agostino Cordova


Agostino Cordova nato a Reggio Calabria nel 1936. Cominciò la sua carriera in magistratura a Reggio Calabria nel 1963, diventando pretore, giudice a latere della sezione penale e poi giudice istruttore. Nel 1978 firmò 60 rinvii a giudizio contro boss dei clan De Stefano, Mammoliti e Piromalli: sarebbe stato il primo maxiprocesso contro la ’ndrangheta calabrese. Nell’87 diventò capo della Procura di Palmi. Condusse inchieste contro la cosca dei Pesce, contro le Usl di Taurianova e Gioia Tauro, denunciò la scarsità dei mezzi, fu a sua volta denunciato al Csm per “incompatibilità ambientale” (caso poi archiviato). Indagò anche su massoneria e P2. Nel luglio del 1993 diventò procuratore di Napoli. La sua opera di coordinamento fu contestata da un gruppo di 60 sostituti, il Csm si spaccò, la destra lo sostenne, le divisioni in Procura diventarono anche politiche.
«Dalla massoneria internazionale al malaffare delle istituzioni, passando per le corruzioni (solo presunte) di altissimi funzionari del Viminale. La sua carriera professionale è costellata da battaglie giudiziarie altisonanti. Chiuse talvolta con sconfitte».
«Furbissimo e scaltro - anche se ama rappresentare se stesso come un indomito cavaliere che affronta solitario il mondo della corruzione - preferisce che la politica gli tenga la mano sulla spalla. Ieri, fu la sinistra (politica e togata) che lo appoggiò contro Giovanni Falcone nella candidatura alla Procura nazionale antimafia e nel contentino della Procura di Napoli. Giunto alla falde del corrotto Vesuvio, la mano cambiò. Divenne quella della destra. Tormentava, senza costrutto (purtroppo per lui), l’amministrazione di Bassolino “il rosso”, e tanto bastava al centro-destra per non vedere le sconfitte incassate dal procuratore».
La moglie Marisa si sfogò nel libro di Giorgio Bocca Napoli siamo noi (Feltrinelli 2006): «La vera “camorra” forse sono i colleghi di mio marito, sono i giudici che si fingevano suoi amici quando lui passava in procura. Lui lavorava senza guardare che cosa poteva essere utile a questo o a quello».
«Se qualche merito ho avuto, me l’hanno trasformato in colpa. Ho fatto sparire da Napoli il contrabbando dei tabacchi e hanno detto che toglievo il lavoro alla povera gente».
«Ho un brutto carattere e non sono un diplomatico. Ma la diplomazia è come una bellissima dama che suole avere intimi rapporti con il compromesso e generare brutti figli che si chiamano condizionamenti, “apparamenti” come si dice in dialetto napoletano, o ricatti».
Portare alla luce gli elenchi dei massoni coperti, significa far saltare gli equilibri occulti di potere che reggono il paese.
Sulla sua permanenza a capo di una delle procure più importanti procure italiane vi è ancora molto da dire, un compito che lasciamo agli storici onesti del futuro.

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