6/10/2010
La napoletanità nella storia dell’arte
Napoli non è soltanto tradizioni e leggende, ma anche scorci di paesaggio e luoghi giustamente famosi in tutto il mondo per la loro bellezza, dal Vesuvio a via Caracciolo e tra questi Posillipo occupa un posto di rilievo.
Nel dipinto Costiera napoletana di Thomas Miles Richardson, un raffinato acquarellista inglese dell’Ottocento innamorato della città, possiamo ammirare un paesaggio purtroppo scomparso, distrutto dallo scempio edilizio che si è abbattuto sulla collina di Posillipo. L’autore visse a Napoli per alcuni anni a cavallo dell’Ottocento, ove trovò ispirazione per alcuni acquerelli molto belli, rarissimi a trovarsi sul mercato antiquario, perché gran parte della sua produzione è conservata all’estero nel Victoria and Albert museum, nelle gallerie di Dublino, Glasgow e Leicester e nei musei di Liverpool, Melbourne e Sydney.
Lo stesso mare una volta limpidissimo, da cui il nome di Marechiaro, dato alla località, è ora ridotto a poco più che una cloaca a cielo aperto. Una volta era possibile scorgere i fondali e gli stessi pesci che sguazzavano felici, mentre la città all’orizzonte, con l’imponente mole del Castel dell’Ovo, sembrava un mondo lontano ed estraneo al piccolo ambiente dei pescatori e delle massaie intente alle loro faccende domestiche, dando l’impressione di vivere in un loro paradiso terrestre.
Un’atmosfera caratteristica della Napoli dell’Ottocento, giustamente famosa in tutto il mondo per la sua bellezza ed oggi scomparsa sotto l’incalzare del progresso…
Posillipo già dal significato del nome, ”tregua del dolore”, infonde serenità e dolcezza, accoppiando le bellezze naturali al lavorio dell’uomo, la feracità della terra alla varietà dello scenario, il mistero del mito ai ricordi storici.
L’ultimo grande cantore di Napoli, Salvatore Di Giacomo, ha espresso nel modo più alto il fascino di questo splendido promontorio nella sua canzone A Marechiare, i cui versi immortali ci fanno assistere al sorgere della luna su di un mare pervaso da un senso panico di amore e di gioia:
Quanno sponta la luna a Marechiare
Pure li pisce fanno all’ammore,
se revoteno ll’onne de lu mare,
pe’ la priezza cagneno culore,
quanno sponta la luna a Marechiare…
In questo canto dolcissimo, ammaliante come quello antichissimo delle sirene omeriche, è tutto il meraviglioso incantesimo della costa e del mare di Posillipo. Un mare che ha visto il suo orizzonte solcato da navi appartenenti a tante civiltà diverse: dalle triere greche alle poliremi romane, dai vascelli corsari alle galee, dalle fuste alle caracche, dalle caravelle ai galeoni ed alle fregate, fino agli anni più vicini quando la prima domenica di maggio, tra le baie del Cenito e Mergellina, gli equipaggi dei circoli nautici si contendevano in una tiratissima volata la prestigiosa coppa Lysistrata, la più antica del canottaggio italiano.
In pochi chilometri di costa si reperiscono tutti i tipi di confine con il mare: dalle spiagge stabili a quelle mobili, in preda ai capricci del bradisismo e delle maree, dalle rocce a picco sul mare, che penetra invadendo le grotte, fino alle piattaforme di tufo che si accoppiano con le onde in tempesta.
La flora ricca e ben conservata associa i pini mediterranei ai lecci maestosi, le palme agli acanti, le agavi selvagge e carnose ai cespugli ubiquitari di fico d’India.
I silenziosi banchi di tufo videro, dopo le dimore romane, le case dei pescatori e le ville dei ricchi, gli edifici degli ordini religiosi, le residenze sfarzose dei signori rinascimentali, dei viceré, della nobiltà borbonica, fino all’arrivo di facoltosi stranieri che verso la fine del Settecento cominciarono a giungere numerosi, attratti dallo splendore dei luoghi e dalla mitezza del clima in una sorta di ideale prosecuzione del Gran Tour.
Questi stranieri contribuirono all’affermarsi delle più diverse correnti architettoniche, che trovarono esempi tra le dimore di Posillipo: dal neoclassico al neogotico, dal neoromantico al neorinascimentale fino al liberty.
Anche la nascita della Scuola di Posillipo, un’espressione pittorica di grande fama, fu propiziata dalla presenza di un nucleo cospicuo di stranieri, tutti appassionati delle bellezze artistiche e paesaggistiche del luogo.
Fu il Van Wittel nei primi anni del Settecento ad introdurre per primo a Napoli un modo di dipingere non più ispirato al paesaggio fantastico, bensì alla rappresentazione realistica dei luoghi, ripresa en plein air con il contatto diretto tra l’artista e la veduta.
Successivamente fu il Pitloo a dare inizio alla Scuola di Posillipo, che vide tra i suoi adepti artisti del calibro di Giacinto Gigante e Vianelli, Duclére e Consalvo Carelli.
Molti di questi pittori abitarono a Posillipo ed avevano, come suol dirsi, casa e bottega, panorama da riprendere e clienti stranieri pronti ad acquistare i loro prodotti.
Le ricchezze archeologiche sono in gran parte sconosciute ai napoletani. Quanti di essi conoscono la misteriosa grotta di Seiano o hanno mai sentito parlare del grandioso teatro della Gaiola? Solo di recente la grotta restaurata è stata restituita ai napoletani che hanno cominciato a visitarla, scoprendo stupefatti l’intatta bellezza della cala di Trentaremi, la suggestione del percorso nella penombra della cripta fino alla luce della verdeggiante valletta della Gaiola, la imponente mole del teatro, il paesaggio straordinario del golfo che si domina dal porticato accanto all’Odeon.
Posillipo potrebbe costituire con i suoi panorami mozzafiato, con i suoi luoghi antichi, con le sue strade larghe e senza traffico una valvola di sfogo, anche per poche ore, dei napoletani, incattiviti dal contatto con il centro caotico della città, degradato ed imbarbarito, violento e rumoroso.
La parte alta di Posillipo, corrispondente a via Manzoni, è quella che più ha subito l’attacco dell’uomo, che l’ha in parte trasformata in una periferia del Vomero. Ma il fascino del luogo era tale che, nonostante le numerose edificazioni, la vivibilità si è conservata più alta che nel resto della città.
Via Manzoni si snoda tra la veduta del Vesuvio e quella di Pozzuoli e dei Campi Flegrei. All’inizio della strada vi è Villa Patrizi, nella quale si trova un teatro che costituisce il più importante esempio di sala di spettacolo privata del Settecento in Italia meridionale, purtroppo di recente danneggiata da un incendio, mentre nel suo parco troneggiano, secolari, alcuni cipressi cantati da August von Platen.
Proseguendo nel casale di Villanova vi è la chiesa di Santa Maria della Consolazione dalla spettacolare pianta esagonale, realizzata nel 1737 dal Sanfelice, regno incontrastato per oltre cinquanta anni del leggendario parroco Giuseppe Capuano, morto in odore di santità.
Verso l’incrocio con via Petrarca, poco dopo un albero plurisecolare del quale i movimenti della terra hanno messo a nudo le enormi radici, si trova la cinquecentesca Torre Ranieri, eretta a presidio del golfo dalle incursioni turche ed in riferimento strategico con il Castello di Baia, che si intravede all’orizzonte. Sulla destra un castelletto neogotico dove soggiornò Enrico Caruso e per un tempo il podestà di Napoli.
Via Manzoni è strada relativamente moderna, ma non priva di attività artistiche e culturali. La prima è costituita dallo studio di Jacques, estroso personaggio, creatore a Napoli della foto artistica, che tanto successo ed imitatori ha avuto negli anni successivi. Attraverso un procedimento segreto che egli ci accenna nel suo slang misto di italiano, napoletano, francese, inglese, tedesco ed olandese che contraddistingue la sua figura cosmopolita, riesce ad infondere alle sue foto su tela di grande formato l’aspetto di un quadro che, con tanto di cornice, il cliente può appendere alla parete del salotto, certo di fare bella figura con gli amici e di arredare elegantemente un ambiente.
La tranquillità della strada, con il suo panorama che tiene costantemente desta l’ispirazione, ha favorito negli ultimi decenni il lavoro artistico di Maurizio Valenzi, più noto come ex sindaco che come pittore, ma in questa veste abilissimo e negli ultimi anni, libero dagli impegni politici, egli ha intensificato il suo lavoro di artista sperimentando anche nuove tecniche.
“Napoli è nel mio cervello dalla mattina alla sera” ci confidò Valenzi “ Il golfo è la dietro i vetri delle mie finestre, ho visto mutare le sue luci, cambiare lentamente il panorama, ma la cosa che più mi attrae è la gioia di una regata. La mattina quando mi alzo e passo davanti alla stanza dove sono i colori e le tele mi viene una maledetta voglia di chiudermi dentro e dimenticare tutto il resto”.
Nel salotto troneggia un quadro dal quale l’artista non si è voluto dividere a nessun prezzo perché raffigura il figlio Marco, temibile giocatore di scacchi, intento a risolvere una posizione ostica ed intricata.
Poco più avanti, in una splendida dimora, vi era la casa atelier di un’altra promessa della pittura napoletana, Vito Brunetti, classe 1914, specialista in paesaggi e nelle atmosfere sfumate alla maniera degli impressionisti, molto curato nell’aspetto cromatico reso sulla tela con grande sensibilità e notevole vivacità. Nella ritrattistica era insuperabile nell’abbozzare con poche e rapide pennellate il carattere della persona raffigurata, dopo un’accurata introspezione psicologica. La sua nota distintiva era l’attitudine a cogliere, quasi a sorprendere i tratti distintivi di un volto, riuscendo da una traccia anche piccola a scoprire, con un’analisi minuziosa e spietata, il mistero del personaggio, come si evince dal suo capolavoro: il ritratto sornione e malizioso dell’adorato nipote Gian Filippo.
Sulle ultime curve di via Manzoni sorge uno splendido maniero in stile neogotico, un falso architettonico potrebbe obiettare qualche purista, senza dubbio, ma il Castello De Vita, dal nome degli attuali proprietari, possiede un fascino misterioso e ben si sposa con l’atmosfera bucolica che impronta questo ultimo tratto di strada, poco prima dell’incrocio con la storica Torre Ranieri.
E siamo all’ultima tappa di questo itinerario artistico: la fonderia Gemito di piazza San Luigi di proprietà di un pronipote, per parte di madre, del celebre artista, dove in una suggestiva caverna scavata nel tufo, di generazione in generazione, si tramandano le tecniche che produssero tanti capolavori. Circondati da un ampio giardino popolato di gatti, gli artigiani lavorano alacremente, utilizzando calchi originali. Il lavoro d’equipe presuppone una divisione dei ruoli: abbiamo così l’operaio formatore, il fonditore ecc., con tutte le difficoltà di ricambio per la perenne crisi delle vocazioni artigianali e per la circostanza che l’Istituto d’Arte a Napoli trascura l’insegnamento della tecnica a cera persa e predilige la lavorazione dell’argilla.
La fonderia oltre al bronzo lavora anche l’argento ed i suoi prodotti trovano il loro sbocco preferenzialmente negli Stati Uniti e nel Giappone, dove irradiano la fama di colui che fu il nostro più grande scultore dell’Ottocento: Vincenzo Gemito.
Concludiamo con la breve descrizione di un luogo mitico il Canalone, del quale molti napoletani hanno sentito parlare, pochi sanno localizzarlo, quasi nessuno lo ha mai percorso.
Per me esso era leggendario perché mia madre, da bambina, siamo negli anni Venti del secolo scorso, lo scendeva e saliva ogni giorno per andare a scuola, cosa impensabile oggi che non facciamo un passo per nessun motivo, condannandoci anzi tempo ad obesità ed arteriosclerosi.
Questo tortuoso tragitto (per il Tuttocittà Salita Villanova) mette in comunicazione via Manzoni con via Posillipo, attraversando da sotto via Petrarca all’altezza della chiesa dei Gesuiti.
Il primo tratto è a gradoni, che dolcemente scendono a valle, costeggiando lussureggianti giardini dove il tempo pare si sia fermato, il secondo è una serie di ripidi scalini che in un battibaleno conducono all’arrivo.
Per tutta la passeggiata, che dura non più di quindici minuti, scorci di panorama mozzafiato ed angoli bucolici inaspettati. Bisogna però tollerare un po’ di rovi ed un po’ di spazzatura portata dalla pioggia, ma di monnezza, almeno in questi ultimi tempi, forse ne troviamo altrettanta nella elegante e centralissima via dei Mille.
Questa originale passeggiata ha costituito l’ultimo appuntamento della stagione per gli Amici delle chiese napoletane, i quali, dopo lo scarpinetto si sono abbondantemente rifocillati, a prezzo fisso, in un famoso ristorante, brindando alla cultura, osannando il presidente (il sottoscritto) e dandosi appuntamento a settembre per un nuovo ciclo di visite delle bellezze napoletane, che purtroppo non si è più ripetuto.
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