sabato 17 marzo 2012

Un eroe dimenticato da non dimenticare

18/8/2006

Per decenni il nome di Riccardo Monaco (Napoli 1912-1994) ha evocato in migliaia di signore e signorine….lo spettro turbinoso di angosciose esperienze da dimenticare seppellendole nei più remoti recessi dell’inconscio; nello stesso tempo ha rappresentato l’ unica ancora di salvezza per tante che avevano sbagliato…,a tal punto da dar luogo alla famosa canzoncina il cui ritornello somiglia ad una parola d’ordine: “Hai fatt’ u’ mpiccio? Và addò Monaco che to ffa passà”. 
Non trascureremo certo questo aspetto da Mister Hyde nel tratteggiare la biografia del dott. Monaco, anzi aggiungeremo nuovi particolari ed inedite testimonianze anche personali, ma scopo precipuo della nostra ricerca è quello di far luce su di una serie di strabilianti atti di eroismo di cui il Nostro fu artefice, dimostrando al massimo grado sprezzo del pericolo ed un valore oggi desueto: l’amore verso la propria Patria. 
Su queste imprese avvenute nei tristi cieli della Napoli del’43, afflitti dalle devastanti incursioni dei bombardieri americani, le famigerate fortezze volanti, si è a lungo favoleggiato, ma oggi su questi incredibili atti di disinteressato eroismo e di sconfinata audacia è sceso un velo di silenzio e quasi nessuno tra le nuove generazioni, abituate alle imprese… scalcinate di Coccolone nei cieli iracheni, sa cosa seppe compiere un ufficiale della nostra gloriosa aviazione, che rispondeva al nome di Riccardo Monaco. 
A questa colpevole dimenticanza… non poco ha contribuito la collocazione politica del Nostro che, per quanto insignito di due medaglie d’argento e due di bronzo al valore militare ( l’oro per la nostra neonata repubblica, non era certo metallo adatto ad un fascista ostinato e non redimibile) ha subito la congiura del silenzio da parte degli organi di informazione governativi coagulatisi nel dopoguerra sotto la consegna dell’ammucchiata antifascista nata dalla resistenza, per cui qualunque episodio benemerito riferito agli anni del ventennio doveva essere rimosso e dimenticato per sempre. 
Scavare nel passato di Riccardo Monaco non è stato facile perché le stesse memorie storiche del partito, Cantalamessa, Mazzone, Rastrelli, che pure sono state prodighe nel riferirmi episodi ed aneddoti, o vecchi amici come la vedova Tesse o il suo fedele autista, oggi rigattiere domenicale nella villa comunale, non ricordavano la data degli episodi eroici, né tanto meno l’esatto svolgersi degli avvenimenti. 
Siamo così venuti a conoscenza di manie e passioni segrete, di gusti e inclinazioni di cui tratteremo nel prossimo articolo, in cui percorreremo carriera professionale ed impegno parlamentare, dal dopoguerra alla morte avvenuta il 12 gennaio 1994. 
Solo dopo pazienti ricerche è stato possibile rintracciare le figlie, Paola e Gabriella, trasferitesi da decenni nel nord Italia e la nipote Vanda, figlia dell’unico fratello, da tempo residente in Svezia ed a lungo consigliere regionale negli anni Settanta del partito comunista; da cui memorabili battaglie verbali col famoso zio, alfiere dei missini. 
Ed infine fortunose circostanze ci hanno messo sulle tracce di un nipote prediletto ed affezionato alla memoria del nonno, di cui porta anche il nome, il professor Riccardo Fenizia docente di filosofia nei licei della nostra città e custode di cimeli, ricordi, foto, diari etc, che gentilmente ci ha permesso di consultare e di rendere noti ed il cui prezioso aiuto ha reso esaustiva la nostra ricerca. 
Più complicato è stato recuperare la documentazione militare, anche per il trasferimento dell’ archivio dell’aeronautica a Roma, ma alla fine, grazie anche alla lettura in emeroteca di tutti i giornali dell’epoca, non solo italiani, tutta la carriera militare è stata ricostruita giorno dopo giorno con grande precisione e ne è scaturito il profilo di un personaggio che nulla ha da invidiare a gloriose leggende della nostra aviazione da Gabriele D’Annunzio a Francesco Baracca, famosissimo pilota da caccia nella prima guerra mondiale, il quale abbatté 34 aeroplani nemici in 63 combattimenti aerei; ed allora il nostro Riccardo che di aeroplani ne ha abbattuti tanti di più!!! come mai è stato completamente dimenticato? Infatti dallo spulcio dei suoi libretti personali di volo fino al 15 marzo 1943 risultavano distrutti dal tenente Monaco, tra apparecchi abbattuti in combattimento o annientati al suolo ben 61 velivoli, oltre a 29 sui quali non vi era certezza. 
Il velivolo al quale il nostro eroe era più legato era il BA-65, un apparecchio sperimentale all’epoca in cui egli, come ufficiale pilota volontario, partecipò nel 1937-‘38 alla guerra di Spagna, ma egli era abilitato ed esperto di ben altri 22 tipi di aerei in dotazione alle nostre forze armate dal 1934, data in cui conseguì giovanissimo il brevetto presso la squadriglia di turismo aereo dislocata nell’aereocentro “Miraglia alla Runa”, fino al 17 luglio del 1943 quando, a bordo di un D.520 traditore, un incidente in fase di decollo non gli procurò ferite tali da dover abbandonare i combattimenti, residuandone un’ invalidità di 7°categoria. 
abilitazione al pilotaggio 

E ferito lo rintracciarono gli americani, nostri improvvisati alleati…,che lo internarono durante la loro occupazione! per oltre due anni fino al 1946, facendogli conoscere prima il carcere di Poggioreale e poi i campi di concentramento di Padula, Terni e Riccione. La passione per il volo del giovane Riccardo era tanto forte da superare indenne la paura di un salvataggio con paracadute, quando in località Vomero, il 6 settembre 1934 (dodicesimo dell’era fascista) un’avaria dei motori lo costrinse a sperimentare il famoso “Salvator D-30”, il paracadute efficacemente in dotazione per anni alla nostra aeronautica. La sua carriera di ardito combattente ha inizio l’11 giugno del 1934, allorché viene nominato pilota premilitare ed ammesso alla scuola di Capodichino Volerà per centinaia di ore tra ricognizioni e combattimenti, prima in Spagna e poi nel 1940 in Albania, in Russia e sui cieli della Patria per un totale, al secondo semestre del 1943 di 583 ore e 25 minuti!!Sarà presente anche in Africa ma mancherà la benzina per i nostri aerei che rimarranno inattivi. Degli aerei abbattuti abbiamo già accennato, ma prima di descrivere il suo episodio eroico più importante vogliamo ricordare una confessione che Riccardo fece al senatore Rastrelli, e da questi riferitaci, che ci illumina sul suo carattere indomito e sulla sua proverbiale furbizia che conservò anche nei lunghi anni del dopoguerra: “Molti, quasi tutti, amano il sole, fonte di vita e di prosperità, ma io prediligo le nuvole, perché spesso è grazie a loro che ho ottenuto la salvezza”. Infatti la tecnica di combattimento del tenente Monaco, il quale era costretto con un piccolo per quanto agile aeroplano, spesso da solo, a misurarsi con le superfortezze americane, i giganteschi Liberator, che avevano a bordo da 7 a 11 persone, consisteva nel colpire velocemente, rifugiandosi poi momentaneamente tra nuvole provvidenziali per ricolpire all’improvviso con rinnovata energia. 
E giungiamo così al fatidico 11 gennaio 1943, il giorno della grande impresa eroica, degna di essere tramandata ai posteri e viceversa sepolta colpevolmente nella dimenticanza e nell’oblio più assoluti. Dal bollettino n. 962 emesso nel pomeriggio del 12 gennaio 1943 dal Quartier generale delle Forze Armate veniamo a sapere che: “Un’incursione è stata compiuta nel pomeriggio di ieri su Napoli e dintorni; danni non rilevanti: nel crollo di alcuni edifici civili la popolazione ha subito perdite finora accertate in 23 morti e 65 feriti. Tali apparecchi risultano caduti: due nella provincia di Salerno (presso le località di Acerno e Calvanico san Cipriano) uno a Lioni (Avellino) e il quarto in mare tra Ischia e Procida. Alcuni dei componenti degli equipaggi sono deceduti, altri sono stati catturati”. La notizia dell’ episodio rimbalzò non solo sulle prime pagine di tutti i giornali italiani ma anche all’estero come, da noi rintracciato, sull’ungherese Pester Lloyd che esaltò su nove colonne “I cacciatori del Vesuvio a difesa dei cieli di Napoli”.
E seguiamo la descrizione del combattimento avvenuto nei nostri cieli attraverso la penna dell’anonimo redattore del “Roma” del 13 gennaio 1943: “Un cacciatore isolato attaccava audacemente i quadrimotori tra Napoli e Caserta riuscendo a mitragliare violentemente il veicolo capopattuglia, poscia impegnava l’ultimo apparecchio di destra della formazione, che dopo alcune raffiche di mitragliatrice si incendiava e può considerarsi probabilmente abbattuto”. Di rimando il “Mattino” dello stesso giorno traccia un profilo, pubblicandone una foto, del valoroso “Tenente Monaco, napoletano, da solo ha affrontato una formazione di ben quattro plurimotori nemici, abbattendone due. Egli è un professionista, un medico, che vinto giovanissimo dalla passione del volo prese il brevetto di pilota presso la squadriglia dell’aereocentro “Miraglia alla Runa”. Ha combattuto volontariamente in terra di Spagna, Africa, Russia. È decorato di due medaglie al valore, è padre di due care creature Gabriella e Paola”. Sull’episodio la stampa americana fu viceversa ben più cauta, tanto da nascondere, nei primi tempi, completamente la notizia, salvo doverla riferire quando si seppe che alcuni componenti dei Liberator abbattuti si erano salvati ed erano stati fatti prigionieri. Un esemplare caso di disinformazione a fini propagandistici precorrente le censure di oggi a riguardo dei raid sull’ Afghanistan o di ieri sui deserti iracheni; manovra che fu smascherata dal “Mattino” del 19 gennaio a pagina 4:“Spudorate menzogne americane sul bombardamento di Napoli da parte di apparecchi Liberator del 9° corpo dell’aviazione statunitense”. 
Il combattimento si svolse a 500 metri di quota e fu seguito da molti altri nei giorni e nei mesi successivi, esitandone l’abbattimento di altre superfortezze americane, come abbiamo potuto appurare dall’attento esame dei libretti di volo del tenente Monaco, conservati gelosamente dal prediletto nipote Riccardo. Una straordinaria imperitura testimonianza di quel giorno glorioso è rappresentata da un pugnale d’argento, regalato a Monaco da un prigioniero americano ed oggi conservato dalla figlia Paola. 
Seguiranno circa 50 anni di vita civile con un impegno nella professione e nella politica, un lungo periodo che esamineremo nel prossimo articolo dettagliatamente, ma che non muteranno il carattere dell’uomo, “Un fascistone come non ne esistono più”, ricorda commossa la signora Onda, nume tutelare da sempre del gruppo senatoriale di AN. Il richiamo più stringente al suo animo indomito è scolpito nella struggente poesia che gli dedicò l’amico più caro, il costruttore Enzo Tesse, che fa da epitaffio alla sua pagellina funebre: Addio Riccardo oggi tu voli alto tanto più alto dei cieli che ti erano familiari ….oggi tu ti allontani nei cieli dell’eternità ma altri giovani e in tanti proseguiranno sulla strada da te tracciata Addio Riccardo….

licenza di pilota


E passiamo ora ad esaminare la carriera medica del nostro Riccardo, il quale, già laureato ed iscrittosi alla scuola di specializzazione, non trova nessuno tra i maestri dell’ostetricia napoletana che gli voglia insegnare realmente la professione, per cui, involontariamente…, fu costretto a ripiegare sul mercato degli aborti clandestini, allora, e non solo allora, fiorentissimo per l’assurdità di una legge ottusa, accolta poi nel codice Rocco, ispirata alla protezione della stirpe, che comminava pesanti pene detentive, sia alla donna che si sottoponeva all’interruzione volontaria della gravidanza, sia al sanitario che gliela procurava. Sono gli anni in cui la tecnica si basava sul famigerato raschiamento, spesso eseguito senza alcuna anestesia, che, se praticato da mani poco esperte poteva arrecare terribili conseguenze.
E’ l’epoca delle famigerate “mammane”, del “laccio” e per le donne della buona borghesia, dei “cucchiai d’oro”, e Monaco era uno di questi, conosciuto in tutto il meridione con frotte di clienti che si affollavano nel suo elegante studio di via Caracciolo 13, nonostante le sue tariffe, oscillanti dalle 500 mila lire al milione (siamo negli anni ’60-’70!) non fossero particolarmente economiche.
Questa sua attività è durata per oltre 40 anni e solo parzialmente subì un declino dopo l’avvento del metodo Karman (aspirazione) che non volle mai adottare. Anche negli anni dei suoi mandati parlamentari, allorchè lavorava solo nel fine settimana, ha sempre praticato almeno quattro aborti il sabato mattina fino a poco prima della sua morte.
In questi lunghi anni di professione egli riuscì ad accumulare una fortuna che gli permetteva di farsi passare ogni sfizio, come dedicare un intero piano in via Caracciolo per potersi divertire con i suoi amati trenini elettrici: una superficie di oltre 500metri quadrati all’ultimo piano, ultrapanoramica, che oggi sul mercato immobiliare varrebbe non meno di 7-8 miliardi, utilizzata per trascorrere ore di svago spensierato, interrompendo il ritmo frenetico del suo lavoro stressante ed avendo talune volte a compagno di giochi nientepopodimeno che Almirante, venuto espressamente da Roma come ci confida il vecchio portiere dello stabile in via Caracciolo 10. Un vero schiaffo alla miseria come gli ricordava spesso il fedele amico Cantalamessa.
In codesto luogo segreto trascorreva lunghe ore di gioco spensierato col cappello di capostazione che lo rendeva più alto, lui che era di bassa statura, un metro e sessantuno, una corporatura robusta, il naso marcato, un paio di baffi scuri non troppo lunghi. Questi i tratti fisici essenziali di un personaggio il cui carattere precipuo era costituito da una volontà di ferro che non conosceva ostacoli, accoppiata ad un carattere ostico quanto ostinato.
La sera amava immergersi a notte fonda nelle sue letture preferite: opere di carattere storico e di cronaca. Tra gli scrittori preferiti D’Annunzio e Maupassant, oltre agli scritti di Gandhi, verso cui nutriva una sconfinata ammirazione.

Un’altra costosa passionaccia egli provava per la velocità, la sua “Dino Ferrari” gli permetteva, come ci ricorda l’onorevole Mazzone, di raggiungere Roma in poco più di un’ora. Nella città eterna amava cenare al ristorante “Piperno”, situato nell’antico ghetto, ove era prodigo con i suoi colleghi parlamentari nel rievocare aneddoti del passato e storie piccanti di donne, delle quali si professava grande ammiratore, discettandone con disinvoltura ed allegria e terminando sempre con la frase:”Per tanto variar natura è bella”.
Questa malcelata passione per il sesso debole non preoccupava più di tanto donna Ginevra, moglie fedele, che una sola volta ebbe a risentirsi visibilmente e a manifestare la sua gelosia, quando il consorte fu fin troppo gentile con una giovane, dal cognome illustrissimo, che si era rivolta a lui per intraprendere una carriera politica, ancora oggi in piena evoluzione.
Ebbe tre figli: due femmine, Gabriella e Paola, da tempo non più residenti a Napoli ed un figlio Gior, tragicamente scomparso per infarto all’età di ventotto anni, la cui morte pesò profondamente anche nell’esercizio della professione paterna, che, secondo la cattiveria di tanti e le malelingue, venne esercitata con più fervore, affinchè altre donne non avessero un figlio, spesso tanto desiderato. Una nipote, Vanda Monaco, oggi residente in Svezia, fu schierata politicamente sull’altra sponda: consigliere regionale del P. C. I. fino agli anni Ottanta. Da cui interminabili diatribe verbali in aula improntate però sempre ad estrema correttezza e stima reciproca. Alla penna di Vanda si deve l’unica biografia dell’illustre zio ,anche se esigua, che sono riuscito a rintracciare nelle mie ricerche; essa trovava collocazione nell’annuario “Tutta Napoli”edito nel 1959 dalla Deperro editore. Nella citata biografia, stranamente, manca una dettagliata descrizione degli eroismi nel cielo di Napoli, se non il ricordo di “Un’azione bellica che ebbe notevolissima importanza, in quanto mai prima di allora un caccia leggero era riuscito ad attaccare e ad abbattere due bombardieri americani”.
Una fortunosa congiunzione astrale ci ha permesso d’incontrare la signora Vanda, oggi artista oltre che regista di successo, di passaggio a Napoli per interpretare un suo spettacolo alla Galleria Toledo. Assente da anni dalla sua città vi era ritornata fortuitamente in coincidenza con la commemorazione dello zio da me organizzata presso il Circolo Canottieri Napoli, con l’aiuto di parlamentari di ogni credo politico, direttori di giornali e personalità della cultura.
La signora Vanda, figlia dell’unico fratello del dottor Monaco, serba per lo zio un affettuoso ricordo al di là dell’opposta fede politica ed ha tenuto a sottolineare che spesso, finite le accese controversie verbali in Consiglio regionale, erano soliti stemperare gli animi e riaffermare l’ affetto reciproco in interminabili cene innaffiate da vini corposi, spesso in bettole malfamate, discutendo ancora animatamente, ma di ben altri argomenti.
Come abbiamo potuto appurare da numerose testimonianze, non solo dei parenti più stretti, ma anche di colleghi e da vecchie clienti con le quali si era confidato, il ginecologo tanto famoso riteneva l’aborto un grave problema di coscienza, un cruccio morale al quale era lecito ricorrere solo quando non esisteva altra soluzione e purtroppo spesso non esiste altra soluzione.
Nonostante tanti decenni di attività “contra leges” lo studio del dottor Monaco non fu mai profanato da incursioni della polizia, né tanto meno vi furono indagini giudiziarie, a differenza di tempi più vicini a noi, durante i quali magistratura e forze dell’ordine hanno fatto a gara nella repressione, in omaggio ad una legge, la 194 del 22 maggio 1978, inficiata dalla nascita da un grave peccato originale: l’ipocrito compromesso tra forze di sinistra e cattolici, che ha prodotto un aborto giuridico, considerando legale l’interruzione della gravidanza eseguita in ospedale ed illecita ed esecrabile la stessa se effettuata in una struttura privata, anche se attrezzatissima; “O tempora o mores”.
L’unico infortunio in cui Monaco incorse nell’esercizio della sua professione… fu, in un’epoca in cui le molestie sessuali utilizzate come ricatto non erano come oggi di moda, una denuncia per violenza carnale presentata da una sua attempata cliente la quale dichiarò di essere stata deflorata nel corso di una visita ginecologica. Lo scandalo fu grande e per il medico si riaprirono per alcuni mesi le porte del carcere di Poggioreale, questa volta per una detenzione non più come prigioniero di guerra ma, almeno secondo l’accusa che fu demolita in seguito, come delinquente comune.
Fortunatamente la perizia giudiziaria fu assegnata ad un ginecologo il quale, prendendo a cuore la sventura del più famoso collega, nel valutare i dati anatomici della paziente, concluse che la denunciante si era inventato tutto; infatti, nonostante la sua età veneranda e l’imbarazzante avventura capitatele ,era ancora in possesso del fiore della sua illibatezza.
Superata felicemente la bufera giudiziaria il dottor Monaco non fu irriconoscente e dimostrò ampiamente la sua gratitudine verso il più giovane collega permettendogli di sostituirlo nel suo studio durante il mese di agosto ogni anno, senza pretendere, caso più unico che raro nelle transazioni tra medici, una sola lira di percentuale. Il dottor Sivo, forte di questa preferenza decise anche di aprire un suo studio allo stesso famigerato indirizzo di via Caracciolo 13, ove, aiutato dal foraggiato portiere, riusciva spesso a dirottare qualche incauta cliente recatasi nella famosa “località” per risolvere la sua spinosa situazione, senza nemmeno conoscere l’esatto nome del professionista a cui si affidava.
La sua segreta speranza era riposta nella notevole differenza d’età tra lui e il suo protettore, che sperava quanto prima di sostituire per eventi naturali, accalappiandosi la sua nutrita clientela. “E’ della classe 1911!” Soleva spesso ripetere il dottor Sivo, ma per uno scherzo del destino, egli ha lasciato prematuramente questa valle di lacrime, chiudendo mestamente la sua carriera come specialista mutualistico in alcuni comuni a nord di Napoli, dopo aver dilapidato gran parte dei suoi guadagni.



La violenza sessuale di cui fu accusato il dottor Monaco non meravigliò più di tanto l’opinione pubblica, perché forte era l’eco di una serie di dicerie… che circolavano insistentemente a Napoli e di cui alcune, vere o false che fossero, sono pervenute anche alla mia attenzione nelle confidenze delle mie pazienti all’epoca dei primi anni Settanta, quando, con l’introduzione del metodo dell’aspirazione (Karman), lo stesso raschiamento era visto dalle donne come una vera e propria violazione da sopportare in silenzio.
La sua collocazione a destra e la sua fama d’immarcescibile fascista lo trasformarono continuamente in oggetto di attacchi inauditi da parte della stampa di sinistra. Fu “Paese Sera”, quotidiano paracomunista, a distinguersi nell’azione di linciaggio con numerosi articoli che riportavano spesso confessioni di giovani pazienti con particolari piccanti.
Citiamo, tra i tanti, alcuni brani di una conversazione telefonica registrata e pubblicata dal “Paese Sera” tra il giornalista Luciano Scateni e il professionista:
“Il prezzo è sempre mezzo milione?” “Perché non va al diavolo” “E’ vero che il suo aborto ha due facce?” “….?” “Nel senso che con le signore bene tiene un comportamento rispettoso e con le ragazze un atteggiamento da troglodita?” “Se non la pianta la denuncio per molestia” “Dicono (e sono testimonianze dirette, drammatiche) che quando si presenta una ragazza viene affrontata così: ti è piaciuto fare l’amore vero? E ora sgualdrina che non sei altro, che vuoi? Poi mani addosso, insulti” “…” “Come se non bastasse con gli spiccioli dell’aborto continuato dicono ed è dimostrato che ha finanziato le farneticanti spedizioni dei mazzieri fascisti” “Non le permetto!”. ……………..
Di nuovo, sempre su “Paese Sera” del 6 maggio 1978 a pag. 8, mentre è in discussione in Parlamento la legge sull’aborto, viene pubblicata una confessione choc: “La drammatica esperienza di Annamaria” della quale pubblichiamo un ampio stralcio. Era nostra intenzione rendere nota questa esperienza, ma per non tediare eccessivamente il lettore, rinviamo chi è interessato ai particolari erotici e sconvolgenti della testimonianza alla lettura diretta in emeroteca.

Conobbi personalmente il dottor Monaco quando egli m’invitò nel suo studio per discutere assieme di un mio libro da poco licenziato alle stampe. Era il mese di gennaio del 1979, da poco era stata approvata dopo lunga lotta la legge che legalizzava l’interruzione volontaria di gravidanza e da qualche mese era uscito in libreria un mio manuale “Moderne metodiche per provocare l’aborto”, nel quale si descriveva per la prima volta nel nostro Paese l’utilizzo della siringa di Karman, una nuova tecnica che permetteva di abortire tramite l’aspirazione, una metodica rivoluzionaria che avevo avuto modo di apprendere e d’introdurre in Italia dallo stesso inventore, il Karman curiosamente non un ginecologo bensì uno psicologo.
Trovai, mentre lo sfogliavamo assieme, il mio libro sottolineato quasi ad ogni pagina, segno di un interessamento da parte di un professionista così esperto e tanto famoso e la circostanza m’inorgoglì non poco. Fui deluso viceversa dal parere negativo espresso sulla nuova metodica, infatti il dottor Monaco riteneva il raschiamento insuperabile e la nuova metodica votata al sicuro insuccesso.
Il tempo viceversa ha fatto abbandonare il vecchio curettage a vantaggio della nuova tecnica che oggi, anche se faticosamente, è entrata nella pratica comune. Nel mondo civile, ad eccezione dell’Italia, l’aspirazione è l’unica tecnica adoperata oltre al sempre più diffuso utilizzo delle metodiche farmacologiche che nel nostro Paese, patria di bigotti e baciapile, rappresentano ancora fantascienza. La passione per la politica attiva, frutto di una fede incrollabile negli ineludibili ideali del fascismo ha fatto capolinea subito nella vita di Riccardo Monaco, il quale infatti, appena ritornato alla vita civile, dopo essere stato rilasciato nel 1946 dal campo di concentramento di Riccione, riprende gli esami per la specializzazione in Ostetricia, che consegue nel 1947 ed è subito nell’agone elettorale, presentandosi alle prime elezioni politiche del 1948, quando, nelle file del M.S.I. risultò terzo con oltre 15.000 voti di preferenza, purtroppo insufficienti per il Parlamento.
Vogliamo sottolineare che la carriera politica di Riccardo Monaco che descriveremo brevemente non è particolarmente eclatante, anche se egli “ci teneva” moltissimo per la sua fede incrollabile.
“Servì la patria in guerra con onore, la serve oggi in pace con coraggio” oppure”Un voto cosciente per un uomo coraggioso al servizio dell’ Idea”, questi slogans capeggiavano sul suo materiale elettorale faticosamente e fortunosamente da me rintracciato. Per anni fu editore e direttore del periodico “Azione politica”, avendo fedele collaboratore Luigi Argiulo, oggi residente a Giugliano ed ancora oggi attivista convinto.
I suoi articoli, permeati da una fede incrollabile, erano avidamente letti dai giovani, che vedevano in lui una gloriosa bandiera. Ne ricordiamo, tra i tanti, uno dei più acclamati, paradigmatico della sua interpretazione della nostra storia repubblicana: “Il giorno più triste. Il 25 aprile è una giornata da dimenticare perché fu la giornata più triste d’Italia; oggi esiste soltanto un’Italia che venti anni fa ha perduto una guerra ed una classe dirigente che è ancora quella imposta dai vincitori…etc.” Oppure altre amenità della stessa solfa come: “Contro il disordine demomarxista, contro la corruzione imperante, contro il disfacimento dello Stato, per la libertà nell’ordine, per l’onestà politica, per la riforma corporativa dello Stato”. Parole d’ordine con le quali Monaco martellava le nuove generazioni e furono sempre i giovani a decretare i suoi successi elettorali.
Dal 1964 fu a lungo consigliere comunale, fino a quando, negli anni Ottanta approdò nel Consiglio regionale, palestra per le sue memorabili dissertazioni e ideale trampolino di lancio per il Parlamento, ove fu eletto senatore il 3 giugno 1979 per il collegio di Napoli V (Vomero) con 18.146 voti e confermato nella successiva legislatura, la 9°, nel collegio di Napoli VI (Stella), in uno dei quartieri più popolari della città. Fu membro di diverse commissioni: Istruzione pubblica, Belle arti, Ricerca scientifica, Spettacolo e sport.
Fu quindi convinto dal suo partito a candidarsi alla Camera e si trattò di un vero e proprio sgambetto, perché per un nostalgico come lui, per il quale contava molto l’idea e poco il partito, il meccanismo delle preferenze poteva essergli fatale. Un “disorganico al sistema elettorale” come lo definisce con affetto il senatore Rastrelli poteva sopravvivere solo al Senato. Infatti risultò il primo dei non eletti, con malcelata soddisfazione di una frangia consistente del suo partito che vedeva di malocchio la sua professione. Si ritirò quindi alla sua attività di medico, ma soprattutto all’affetto della sua famiglia.
Negli ultimi tempi, malandato di salute, preferiva sempre più alla sua splendida casa di via Caracciolo, una dimora più bucolica e tranquilla in quel di San Sebastiano. Premurosamente assistito dai familiari, metteva tutti in agitazione quando, più di una volta, sembrò che stesse per rendere l’anima a Dio. E di quest’anima erano particolarmente preoccupati i suoi cari, dalla moglie alle figlie, dal prediletto nipote fino alla fedele cameriera e fu proprio lei, quando capì che era imminente il momento del trapasso, ad insistere per far giungere al capezzale dell’infermo un sacerdote per la confessione. E per quest’ufficio fu chiamato un singolare personaggio, già celebre medico e docente universitario, che in età matura aveva avuto la “chiamata”.
Pur legato al contenuto segreto dell’ultimo colloquio, sembrò ai suoi cari ottimista, raccomandò soltanto: sono necessarie molte indulgenze!
Finita l’avventura terrena dell’uomo restava però per i posteri il personaggio, delle cui imprese cercheremo di tenere vivo il ricordo:“La vittoria di un passerotto contro due falchi infuriati” lentamente fu dimenticata. Dalla foto sulla copertina del maggior periodico italiano (Tempo n° 211) al silenzio della stampa del dopoguerra, dalle lodi più solenni e sperticate dei contemporanei alla colpevole rimozione del ricordo dei posteri.
Dall’albo d’oro dei decorati al valor militare della provincia di Napoli ci emozioniamo a leggere la motivazione dell’assegnazione sul campo della medaglia d’argento al valor militare per l’impresa dell’11 gennaio 1943 compiuta nel cielo di Napoli. Dobbiamo tutti ricordare che l’importante centro nazionale, citato nella menzione, era Napoli, la sua città e quale onore più alto per un prode, quale raro privilegio per un ardito è costituito dal poter mettere il proprio coraggio e la propria abilità a disposizione dei propri familiari e dei propri concittadini. Quante centinaia di napoletani debbono la loro vita alla sua azione temeraria, la quale provocò la distruzione di tanti aerei nemici, prima che potessero distribuire sulla città il loro carico mortale.
Sugli episodi eroici di Riccardo Monaco si è abbattuta implacabilmente la maledizione dell’oblio più ostinato e dell’amnesia più profonda, portati in auge dalla filosofia della “Napoli milionaria”, quando, perduta la guerra, tutti potevano, dovevano, volevano dimenticare non solo il male, i lutti, le sofferenze, la fame e le privazioni, ma anche gli episodi di generosità, di altruismo, di abnegazione, di audace sprezzo del pericolo che non erano certo mancati. Oggi vogliamo essere buoni, e soprattutto ingenui, e credere all’espletarsi di questa ineluttabile sindrome eduardiana: il tenente Riccardo Monaco con i suoi indimenticabili atti di eroismo è stato dimenticato perché bisognava voltare pagina e non perché fino alla fine ha conservato il suo indomito carattere e la sua immarcescibile fede politica o, peggio ancora, per l’esercizio della sua professione, espletata costantemente con la consapevolezza delle scelte difficili e con una sempre attiva vigile tensione morale.
Non c’è stata allora una pervicace opera di disinformazione durata decenni, da parte dei mass media, desiderosi di sostituire le vecchie veline con le nuove? Non c’è ancora oggi una precisa volontà di non voler ricordare episodi e personaggi, scomodi forse, ma che invitano alla riflessione e ad una più pacata meditazione sul nostro passato? Ai posteri l’ardua sentenza!


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