venerdì 30 marzo 2012

AL CINEMA 2^ parte

22/4/2011

Habemus papam, un film d’autore

Dopo un’attesa spasmodica provocata da una ben orchestrata campagna mediatica è giunta nelle sale l’ultima pellicola di Nanni Moretti, scatenando interminabili polemiche: dalle vibranti proteste delle gerarchie ecclesiastiche alle entusiastiche approvazioni da parte dei fan del regista.
Si tratta senza dubbio di un film interessante nel panorama squallido dei cinepanettoni e della comicità insulsa, un prodotto serio anche se realizzato col tono di commedia, nello stesso tempo bisogna seguirlo con occhi disincantati, per distinguere la parodia dalla metafora, l’ironia dal sarcasmo, la comicità dal pamphlet.
Alla fine la storia si conclude con un elogio della debolezza umana ed è bello in un mondo che non conosce per nessun motivo l’istituto delle dimissioni, un sommo pontefice, imitando il gran rifiuto di Celestino V, abdicare alla chiamata divina sulla cattedra di Pietro. 
Ma il protagonista non si sente all’altezza di guidare un miliardo di uomini e lo esprime con parole semplici e toccanti: “ Voi avete bisogno di una guida ed io ho bisogno di essere guidato”.
Moretti, come sempre ritaglia un ruolo da protagonista per sé, egli è infatti l’illustre psicanalista convocato tra le silenziose mura vaticane per curare, con la discrezione richiesta dalla delicatezza del caso, l’illustre paziente e la scena in cui Nanni chiede al pontefice se ha problemi con la fede è divenuta già un cult che gira da you tube ai telefonini. 
Come pure intrisa da spassosa ironia è la descrizione dei tanti cardinali accorsi da tutto il mondo per il conclave: arzilli vegliardi ripresi nell’intimità delle stanzette loro assegnate, presi a coltivare piccoli hobby e grandi follie, ingannando il tempo facendo un puzzle o un solitario e cercando disperatamente il sonno ingurgitando ogni tipo di sonnifero.
Il professore scandaglierà le loro anime, scambiandole per inconsci, familiarizzerà con loro, organizzando partite di scopone e addirittura un torneo di pallavolo.
Straordinaria la scena dei cardinali che ballano allegramente sulle note di Todo cambia di Mercedes Sosa, mentre la critica al cerimoniale rigido di un’istituzione millenaria come la Chiesa, che fa risaltare la debolezza del singolo costretto ad enormi responsabilità, ci ha rammentato, fatte le debite proporzioni tra un gigante come Chaplin ed un valente artigiano come Moretti, la scena del Grande dittatore con Hitler che gioca con un mappamondo, il quale all’improvviso gli scoppia tra le mani.
Il film presenta una singolare figura di papa che cammina per le strade di Roma, entra nei negozi, nei bar, prende l’autobus, va in chiesa a sentire l’omelia, dorme in un alberghetto come un turista qualsiasi e vuole simboleggiare tutti coloro che sono alla ricerca di un senso alla propria esistenza.
Il pontefice è un uomo umile, ma di grande saggezza: ”Abbiamo spesso paura di ammettere le nostre colpe” oppure ”Questa chiesa ha bisogno di grandi cambiamenti”.
Sarcasmo beffardo, ma anche un velo di misericordia affidato alle parole del cardinale favorito e trombato dall’elezione: “Lei professore all’inferno non ci andrà, nessuno ci andrà, l’inferno è deserto”.

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1/4/2011

Silvio forever, un documentario non un film

Il regista Roberto Faenza cerca di imitare il celebre Caimamo del collega Nanni Moretti, ma il suo film si rivela poco più che un onesto documentario di immagini e brani di discorsi ed il risultato è l’esaltazione di uno straordinario personaggio, che ha debordato in tutti i campi nei quali è stato attivo, dall’imprenditoria alla politica, portando alla massima potenza vizi e virtù degli italiani, amato ed odiato in eguale misura. 
La pellicola si traduce in un tutto Silvio minuto per minuto: infanzia e giovinezza, primi soldi guadagnati e prime amicizie, avventure immobiliari e l’impero televisivo, la discesa nell’agone politico ed il contratto con gli elettori, fino al bunga bunga ed alle caricature sui siti web di mezzo mondo.
Fondendo abilmente messaggi politici e peripezie istrioniche, egli è stato per anni votato ed idolatrato da milioni di italiani, nonostante le gaffes, i conflitti di interesse e gli scandali, più o meno presunti, affidati alla sua voce. 
Giganteggiano nella galleria di comprimari due figure: la madre, alla quale fu legatissimo e don Verzè, il rettore del San Raffaele di Milano che, a proposito degli attacchi che gli vengono sferrati da opposizione e magistratura, parla di Calvario e di Passione.
Manca nel film la scena madre finale del Caimano, con la città in fiamme ed il popolo della libertà che scende in piazza per difenderlo dall’attacco della magistratura, mentre lui scende sprezzante dai gradini del tribunale. 
Peccato, un occasione perduta.

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28/2/2011

Manuale d’amore 3, con un cast stellare

Dopo il successo delle precedenti edizione il regista Veronesi porta in sala Manuale d’amore n. 3, che si rivela un film godibile, di livello ben superiore ai cinepanettoni ai quali il nostro cinema ci ha oramai abituato.
Senza pretese pedagogiche la pellicola intende mostrare come il più nobile sentimento umano: l’amore, si manifesta nelle varie età: giovinezza, maturità, vecchiaia.
La giovinezza è rappresentata dal bel tenebroso Scamarcio nelle vesti di un avvocato prossimo alle nozze con Sara,che viene travolto da un’insolita passione per una femmina fatale, provocante e misteriosa, la quale  gli permetterà di scoprire una realtà fuori dal tempo.
La maturità viene visitata da uno stupefacente Verdone, che interpreta un affermato anchorman televisivo, marito fedelissimo, il quale si trova invischiato in una situazione paradossale di sesso e follia per un incontro ravvicinato con una donna schizofrenica quanto affascinante. Il grande attore fornisce uno sbalorditivo campionario di gesti ed espressioni facciali da antologia, dal concedere alla donna di leccare il gelato sulle sue  labbra, farsi strappare il parrucchino o contorcersi sbigottito nelle più spericolate posizioni del kamasutra. Una sequenza che andrebbe ricomposta in frammenti per essere immortalata nei laboratori delle scuole cinematografiche, affinché in futuro si possano studiare i suoi inimitabili tic corporei e verbali.
La vecchiaia è incardinata su un omaggio ad una delle star più celebri della settima arte: Robert De Niro, che ad esclusione di un disgustoso striptease da dimenticare, ci regala un’interpretazione memorabile in duetto con una sempre più desiderabile Monica Bellucci dalle poppe debordanti.
Egli è un professore di archeologia americano in pensione, venuto a vivere a Roma dopo la morte della moglie, il quale crede di essere a riparo dalle tempeste del cuore, nonostante ne abbia uno nuovo di zecca grazie ad un trapianto. Ma non aveva previsto il fortuito incontro con la Bellucci, alle cui forme è impossibile rimanere insensibili ed infatti la freccia di Cupido scoccherà inesorabile. 

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25/2/2011

Amore & altri rimedi, sesso bollente e sentimenti

La pellicola, ambientata negli anni Novanta, attira il pubblico per le bollenti scene di sesso interpretate realisticamente dall’ex fatina Anne Hathaway e dall’ex cow boy gay Jake Gyllenhaal, ma il motore del racconto è quello classico di Love story: l’attrazione disperata tra due esseri, uno dei quali destinato ad una morte prematura.
In verità ho apprezzato il film anche per le tematiche sociali che vengono coraggiosamente denunciate, dalle beghe dell’industria farmaceutica, sempre attenta solo all’utile economico e le condizioni di abbandono di alcune categorie di malati.
Il ritmo della narrazione è sempre brillante, grazie alla freschezza della recitazione degli attori e ad una suggestiva colonna sonora.
Si passa dal sesso fine a se stesso allo sboccio di un amore che vuole sfidare il tempo e le avversità.
Jamie è un donnaiolo inveterato, dotato di una fascinosa empatia, che lavora come propagandista del Viagra, Maggie è una donna libera, affetta dal morbo di Parkinson, gelosa della sua indipendenza. Ma quando i due si incontrano, dopo una notte di sesso sfrenato e ripetute repliche, si accorgeranno che è scoppiato l’amore e niente e nessuno potranno più dividere il percorso delle loro vite.
Tra il pubblico si ride, si piange, qualcuno si eccita, tutti si divertono, nessuno rimane deluso.


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19/2/2011

Burlesque un tripudio di pailettes dorate

Il burlesque sta dilagando come moda con un’alluvione di serate nei locali in giro per l’Italia, con un gigantesco show in preparazione per Sky, al cui casting si sono presentate mille aspiranti ed immancabile approda nelle sale cinematografiche la pellicola con Cher e Christina Aguilera.
Il burlesque si sta dimostrando l’ultima frontiera per coniugare la sensualità al divertimento, prendendosi gioco di sé e smontando passo dopo passo, tra piume, calze a rete e guepiere, il castello di luoghi comuni, che spesso impone alla donna la paura della propria sensualità.
La trama è strappa lacrime, una favola dei nostri giorni con una ragazza dal futuro incerto e dalla voce bellissima che lascia la sua cittadina di provincia per inseguire i suoi sogni a Los Angeles, dove si imbatte in un locale in decadenza nel quale si pratica il burlesque. Dovrà cominciare come cameriera, ma per le sue qualità raggiungerà presto il successo.
Il canovaccio è quello rispolverato di Saranno famosi e vuole essere un doveroso omaggio alla celebre pop star Christina Aguilera (100 milioni di dischi venduti) che, travestita da ragazzotta dello Iowa, viene presa a ben volere dalla proprietaria del locale, interpretata dalla rediviva Cher e riesce a salvare dal fallimento il teatrino oppresso dai debiti a colpi di performance canore e danzanti sempre più spettacolari.
Il tutto costellato da tacchi e merletti, autoreggenti e corpetti tra uno sperpero di cristalli luccicanti.
Oltre alla protagonista spiccano le figure di Tess, la proprietaria, dal volto inespressivo, dopo decine di lifting ed il suo socio, il bravissimo Stanley Tucci, che ripete pedissequamente la decalcomania del personaggio gay, immortalato nel Diavolo veste Prada.
Il film collabora a portare avanti un genere che si è trasformato in portavoce di una nuova visione della donna, padrona del suo corpo e dei suoi sentimenti, ma non si blatera in questi giorni nelle piazze che si vince con il cervello e non con il corpo?
Valle a capire queste donne!
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15/2/2011

Femmine contro maschi, una improbabile commedia

Mentre il mondo dello spettacolo alza la voce e pretende da un governo con le finanze disastrate che continuino i finanziamenti a pioggia alla cosi detta cultura, intendendo per essa cinepanettoni di ogni tipo, per comprendere lo stato comatoso in cui versa il cinema, incapace di vincere premi ai concorsi internazionali e di esportare, almeno in Europa, le proprie pellicole, basta visionare Femmine contro maschi, che segue, a distanza di qualche mese, Maschi contro femmine, sempre con la regia di Fausto Brizzi e con gli stessi interpreti.
La commedia fa ridere, questo bisogna ammetterlo, ma propone un quadro della società italiana fuorviante e lontano dalla realtà, proponendo coppie improbabili, urologa – benzinaio, professoressa - bidello e così via. 
Coppie scoppiate che si ricompongono(Brisio e Brill), complice la madre di lui, finta cardiopatica, coppie che si liquefano, perché lei è arida ed insoddisfatta e lui infantile(Inaudi e Ficarra), con l’ausilio di spompati comprimari, pescati tra le vecchie glorie, come Armando De Razza e Wilma De Angelis.
Le due ore di proiezioni si consumano nell’esaltazione di vizi stantii e moderne idiosincrasie con donne lagnose e manipolatrici ed uomini costantemente immaturi.
Per fortuna il brio del duo Ficarra & Picone riesce a dare un certo ritmo al racconto, che altrimenti si sarebbe sciolto come neve al sole. 

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1/2/2011

Hereafter, giocando con l’aldilà

Una giornalista francese sopravvissuta a uno tsumani, un operaio americano che ha il potere di comunicare con i morti, un bambino inglese che ha perso il fratello gemello in un terribile incidente; tre vite apparentemente distanti destinate per incomprensibili motivi a riunirsi nel film di Clint Eastwood con Matt Damon, che da settimane resiste in testa ai più gettonati al botteghino.
La pellicola tratta il delicato tema dell’aldilà attraverso il turbinio di sensazioni e sentimenti che agitano i protagonisti, così vicini e così lontani allo stesso tempo.
Il regista si mostra immune da ogni tentazione religiosa nel portare avanti il suo discorso e si serve per creare atmosfere struggenti e nostalgiche di una colonna sonora in grado di conferire il giusto supporto alla narrazione e cosa vi è di meglio del secondo concerto di Rachmaninoff per tessere il filo sottile che lega personaggi incredibili presi dalla vita di ogni giorno.

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20/1/2011

Kill me please, un elogio del suicidio

La morte è rimasto l’ultimo tabù del quale non siamo riusciti a liberarci e Kill me please, film macabro e punk allo stesso tempo tenta di dissacrarla con un racconto serrato in bianco e nero, ispirato a Bunuel ed al primo Polanski, e con una punta di sarcasmo cinico e strezzante.
Non amiamo parlare della morte, ci infastidisce solo il pensiero, ci comportiamo come se si trattasse di un argomento che non ci riguarda, siamo così impegnati a lavorare, ad occupare ogni istante di tempo libero, a divertirci, a viaggiare, sempre di fretta, senza un momento di sosta per meditare sull’epilogo della nostra vita.
Oggi più di ieri temiamo la morte, l’ultimo tabù che ci è rimasto dopo aver distrutto tutti gli altri, dal sesso all’amor patrio, che ci attanagliavano da tempi lontani. 
La nostra società, profondamente secolarizzata, vuole allontanare l’idea della fine della nostra vita terrena, perché è un pensiero che ci induce ad esacerbanti esercitazioni metafisiche sul motivo della nostra esistenza, sul nostro destino, su Dio.
Oggi nelle grandi città si muore in assoluta solitudine, in punta di piedi, per non turbare il frenetico girotondo di chi rimane; negli stessi ospedali i morituri vengono ghettizzati in reparti di pseudo rianimazione o per malati terminali. Non sono in condizione più di dominare o quanto meno controllare le tremende emozioni che accompagnano il momento del trapasso. Pochi, anche i parenti più stretti dedicano loro soltanto qualche visita frettolosa, perché nessuno è più in grado di sussurrare quelle dolci parole di cui hanno bisogno, nessuno sa più stringere quelle mani tremanti per infondere coraggio e rassegnazione.
Medico all’avanguardia, Kruger vuole dare un senso al suicidio, ma scatenerà un gioco al massacro con un finale imprevedibile, che farà giustizia della ipocrisia che impregna la nostra civiltà che ci costringe a vivere ed anche a morire in preda al narcisismo ed all’egoismo.
Il sogno del dottor Kruger è creare una struttura terapeutica dove darsi la morte non sia più considerata una disgrazia, ma un atto consapevole svolto con assistenza medica. La sua clinica esclusiva richiama l’attenzione di un gruppo di strani personaggi, accomunati dal desiderio di morire: un famoso comico con un cancro incurabile, un commesso viaggiatore che cela sordidi segreti, un ricco erede lussemburghese, una bella ragazza con manie autolesioniste, un vecchio cabarettista berlinese dalla voce rovinata e un uomo che ha perso tutto nel gioco d’azzardo, moglie compresa. Dopo essersi consultati con Kruger sulle motivazioni che li spingono a farla finita, ciascuno di loro ha diritto a esprimere un’ultima richiesta. Ma nelle isolate montagne dove il dottore ha inteso realizzare il suo sogno del suicidio perfetto, è ancora la Morte a decidere quando colpire. 
Un film interessante, vincitore del Marc’Aurelio d’oro al festival di Roma, che va visto dopo una provvidenziale grattata e che ci farà meditare a lungo.


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2/1/2011

The Tourist, bello ma non troppo

Da un’accoppiata di lusso come Johnny Depp, icona incontrastata del pubblico femminile ed Angelina Jolie, sex symbol planetario, ci saremmo aspettati un capolavoro, viceversa la scintilla tra i due non scoppia e mentre la star appare come imbalsamata, il superbello sembra più spaesato che affascinante, costretti da una sceneggiatura non proprio ineccepibile a girovagare nei meandri di una serie di avventure rocambolesche, ma poco credibili.
Si tratta in ogni caso di un prodotto che surclassa il cinema italiano, che spera con squallidi cinepanettoni di restare a galla al botteghino e la dimostrazione lampante della distanza siderale che separa il nostro cinema da quello straniero è l’utilizzo in veste di comparse dei nostri big da De Sica a Raoul Bova, che devono contentarsi di particine di pochi minuti.
La storia è intrigante, ma lambiccata e ci permette di ammirare scorci di paesaggio da sogno in una Venezia ripresa nei suoi angoli più impareggiabili, tra grandi alberghi, feste sfarzose e scorribande sul Canal Grande. 
A bordo di un treno di lusso, una signora inglese dal fascino irresistibile coinvolge un ignaro turista in un gioco più grande di lui, perché dovrà spacciarsi per un supercriminale ricercato da tutte le polizie ed inafferrabile.
Vi saranno colpi di scena e sorprese imprevedibili che non riveleremo, il tutto naturalmente tra suite lussuose, vestiti e gioielli preziosi ed il consueto corollario di sparatorie, fughe tra i tetti e inseguimenti in motoscafo, che permettono allo spettatore di trascorrere due ore di divertimento gradevole e di uscire dal cinema soddisfatto.


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18/12/2010

La bellezza del somaro, il cinepanettone progressista

Il film, interpretato da Sergio Castellitto e Laura Morante, è curioso, coraggioso, malinconico, surreale e racconta la storia di una coppia ”matura, borghese ed illuminata” che deve affrontare la cotta della figlia minorenne con un settantenne e si trova a dividere questa esperienza con un gruppo di amici durante il ponte dei morti in un casolare di campagna toscano. 
Non una spiaggia esotica, come è d’obbligo per i cinepanettoni, ma un ambiente bucolico per questa sfida al loro dominio al botteghino, che potremmo tranquillamente denominare un cinepandoro.
Il titolo La bellezza del somaro non c’entra niente con la trama, anche se un asinello compare in più di una scena, imbarazzato nel confrontarsi con le contraddizioni di quello scalcagnato gruppetto di intellettuali e professionisti emancipati e progressisti, in crisi esistenziale e con l’amara sensazione di aver sprecato la vita.
Una coppia dell’alta borghesia, architetto affermato lui, psicologa impegnata lei, si dividono tra lavoro e frustrazioni e assistono impotenti agli amori disordinati della figlia diciassettenne Rosa, che alterna come boy friend ragazzi di colore a poveri schizzati e palestrati poco virili. 
Lo stanco nucleo familiare festeggia con gli amici i cinquant’anni del protagonista per poi trasferirsi con amici e problemi in un’attrezzata dimora tra le colline toscane, dove scoppierà il colpo di scena con la figlia viziata, interpretata da una tenera quanto tosta Nina Torresi, che cerca di introdurre il nuovo attempato amichetto nella sua famiglia allargata composta da personaggi paradossali: giovanili, eco solidali, democratici, ma tutti egualmente sorpresi davanti all’alieno signore dai capelli bianchi, che dispensa saggezza a piccole e grandi dosi, legge Adelphi e sa far partorire una capra, al punto che viene spontaneo a tutti, oltre alla colf virago, rumena ed ingegnere, di chiamarlo presidente. 
Crolla così in un attimo il castello di ipocrisia attorno al quale ruotano i protagonisti ed i comprimari di questa amara commedia, che sopravvive tra karaoke e femminismo, salvo prendersi l’anima ed il corpo… di giovani e procaci segretarie. 
Non più padri e madri, mestieri reazionari, bensì fratelli e sorelle maggiori, che chiamano i figli cuccioli e gli danno sempre ragione, facendoli crescere nevrotici, senza godere dell’irripetibile giovinezza, in un ambiente che ha perso ogni modello di riferimento, mentre loro, i genitori, vivono nel timore della vecchiaia e cercano di esorcizzarla tra letture ed ipocrisia, a parte qualche escort, che non fa mai male. 
Ed alla fine il povero papà per capire la vera realtà della vita dovrà sfumacchiarsi una canna e solo allora avrà il coraggio di affrontare la figlia con un sonoro ceffone e quando l’avatar Castellitto, in un rigurgito di energia e passione, avrà tirato finalmente lo schiaffo che tutti attendevamo, saltiamo tutti in piedi ad applaudire e ci sentiamo finalmente liberati, come quando Fantozzi ha il coraggio di stroncare la corazzata Potemkin con la frase memorabile: “è una colossale boiata”. 
Tante risate per intendere che la vecchiaia esiste e costituisce l’unico antidoto, con la sua saggezza, ad una società infingarda e taroccata, che insegue un’eterna giovinezza e fa rimpiangere quei tempi beati quando i giovani non contavano un c.., mentre ora sono i genitori a non contare un c…


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27/11/2010

A Natale mi sposo, un gustoso cinepanettone

Distrutto dai recensori dei grandi giornali A Natale mi sposo rappresenta uno degli appuntamenti natalizi con la risata, uno dei tanti cinepanettoni, che grazie ad una miscela ben dosata di big e caratteristi, suddivisi per aree geografiche, riesce ad assicurare allo spettatore un paio d’ore di svago e di dimenticare gli affanni quotidiani.
La scena è affidata a Boldi e Salemme, mentre altri comprimari di lusso si identificano con macchiette e personaggi caricaturali.
Nonostante i sermoni della critica paludata il repertorio di parolacce è trascurabile, irrisorio rispetto a quelle snocciolate in un salotto da una signora d’annata o fuori ad una scuola da una tredicenne in fregola.
Gustavo (Boldi) è un cuoco che lavora in una trattoria romana, ma sogna di diventare un grande chef internazionale. Con lui lavora Rocky un cameriere romano ex pugile, Cecco, innamorato di arzille vecchiette che conduce a vie di fatto, Gualtiero, un simpatico porcellino d’india ed il figlio Fabio, vecchia fiamma della ragazza che dovrà sposarsi a Natale tra le nevi di S. Moritz.
Accanto al comico milanese, un purosangue del palcoscenico come Salemme nelle vesti di un nobile improbabile e sposato con Nancy Brill, dal volto sfigurato dal botulino, il quale spera che la figlia sposi un vecchio magnate della finanza, risolvendo così la sua fallimentare situazione finanziaria.
Ed attorno ai due protagonisti si intrecciano una serie di piccoli episodi, alcuni in grado di far scompisciare dalle risate, altri più deboli, ma sempre gradevoli.

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18/11/2010

Unstoppable, 100 minuti di adrenalina

L’ultimo lavoro di Tony Scott, Unpostabble, tradotto alla meglio in italiano in Fuori controllo, regala allo spettatore 100 minuti di suspance senza un attimo di tregua, da quando un treno, carico di liquidi infiammabili e di sostanze chimiche tossiche, perde il guidatore  e si avvia a velocità crescente verso una curva pericolosa dove, deragliando per la pazza velocità acquisita, minaccia di provocare un disastro impressionante con migliaia di morti.
La trama si svolge secondo il collaudato canone delle pellicole catastrofiche, una specialità d’oltre oceano in grado di lusinghieri riscontri al botteghino.
Nella prima parte si delinea il carattere dei protagonisti e le loro abitudini, poi all’improvviso il ritmo accelera e per Frank e Will(interpretati da Denzel Washigton e Chris Pine), un veterano addetto ai freni il primo, un macchinista alle prime armi il secondo, il compito di tentare di fermare il treno impazzito si rivela una vera e propria corsa contro il tempo.
La locomotiva impazzita con i suoi vagoni marcia a folle velocità lungo i binari della Pennsylvania e sul suo percorso incontrerà al più presto una curva ad U situata in pieno centro abitato dove certamente deraglierà con esiti catastrofici.( E purtroppo ci viene in mente ciò che successe realmente due anni fa nella stazione di Viareggio).
Riusciranno i nostri eroi a fermare il bisonte impazzito, sotto lo sguardo delle televisioni?
La risposta vedendo il film, che assicura una parentesi di svago ed una benevola scossa di adrenalina.


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13/11/2010

Maschi contro femmine un film scacciapensieri
Aride passioni e banali tradimenti nella pigra vita italiana di ogni giorno. Lo scaltro regista, Fausto Brizzi, già cantore delle notti liceali, allestisce fiacche storielle con squallide battute, come quelle sulle pallavoliste: “Datela subito” da ricovero immediato in un reparto di subnormali. Gli attori sono eccessivamente caricaturali, in primis la Littizzetto ed è scandaloso che il film sia in testa agli incassi, a dimostrazione dello stato demenziale che stiamo vivendo.
Avevo predisposto questo incipit alla mia recensione, accogliendo le proteste della critica più avvertita verso questo ennesimo cinepanettone, ma poi mi sono pentito, ricordandomi di aver riso di gusto durante la proiezione e di aver trascorso due ore liete, dimenticando tutte le preoccupazioni.
La pellicola è quanto di meglio è in grado di offrire il traballante cinema italiano: una commediola corale con storielle che si intrecciano lievi nel quadro dell’eterna lotta tra maschi contro femmine, in attesa del preannunciato sequel, in programma a febbraio e già girato, che sarà Femmine contro maschi.
Un sapiente miscuglio di sesso ed amore, che rispecchia fedelmente la condizione attuale della nostra società.


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16/10/2010

Benvenuti al Sud, un film da applaudire

Da tempo non si vedevano file e resse per assistere ad un film italiano, ma nell’ultimo fine settimana, Benvenuti al Sud, commedia gradevole dal contenuto nazional popolare, ha surclassato anche il divino Di Caprio, relegando, con quattro milioni di incasso, Inception al secondo posto.
La pellicola diverte prendendo in giro secolari pregiudizi e luoghi comuni, che dividono il nord ed il sud dell’Italia, con una trama scorrevole, priva di inutili volgarità, facendo rivivere il cinema turistico degli anni Cinquanta, che raccontava una penisola soleggiata e rasserenante con piccole storie e tranquilli protagonisti.
Alberto(Bisio), piccolo borghese, tutto gorgonzola, tradizioni lombarde e villetta a schiera immersa nelle nebbie padane, è direttore di un piccolo ufficio postale vicino Milano e per essersi finto invalido allo scopo di  ottenere una promozione, viene punito con un trasferimento a San Marco di Castellabate nel Cilento, cittadina che, secondo i leghisti è popolata solo da scansafatiche e delinquenti. 
Nasce così la storia, infarcita di cliché legati all’immaginario caro a Bossi: caldo africano, miseria, camorra, sporcizia, mammismo esasperato e ricerca del posto fisso. Segue una descrizione frivola e disincantata di piccole manie e antiche consuetudini, mentre vengono disegnati personaggi eccentrici, ma latori di una profonda umanità.
Ad Alberto si contrappone Matteo(Siani) finalmente interprete maturo, dopo aver  abbandonato il suo ruolo di pedissequo imitatore di Troisi, il quale riesce a convincere il suo superiore che il meridione non è soltanto morti ammazzati e spazzatura, ma anche e principalmente, storia, cultura e bellezze naturali, delle quali il Cilento è una sintesi felice.
Molti panorami, tra mari cristallini e tramonti struggenti sono stati realizzati ad Acciaroli, la cittadina che il sindaco Vassallo, cercava di difendere dagli attacchi dell’abusivismo edilizio, pagando il suo coraggio con la vita.
A lui ed alla sua determinazione il film è dedicato, alla faccia di Bossi e di tutti gli altri seminatori di odio e di discordie, in un’Italia sempre più lontana dall’ideale unitario del quale ricorre a breve un sofferto anniversario.

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27/9/2010

Inception un thriller onirico

Inception, l’ultimo film di Christoper Nolan interpretato da Di Caprio, dopo il travolgente successo negli Stati Uniti, giunge nelle nostre sale e non mancherà di entusiasmare il pubblico tra sogni, incubi e realtà che si confondono in una pellicola, la quale scava nella psiche grazie ad una trama affascinante, ricca di colpi di scena, di effetti speciali e di una colonna sonora aggressiva ed invadente. 
Vedendo questo nuovo prodotto proveniente da oltre oceano ci rendiamo conto dell’abisso che separa il nostro cinema agonizzante e i prodotti di sicuro riscontro al botteghino, grazie ad idee originali, attori veri ed un utilizzo di una moderna tecnica. 
I referenti di Inception sono numerosi da Minority report a Blade runner, da Matrix alla stessa epopea di 007.
La trama, abbastanza complessa ed intellettualoide, ripercorre un antico desiderio dell’uomo, quello di poter vivere in sogno ciò che ci viene negato dalla dura realtà di tutti i giorni: un criminale, specializzato a carpire segreti dai sogni altrui, è costretto per poter ritornare alla sua tranquilla vita borghese e rivedere il sorriso dei suoi figli a compiere un’ultima rapina, la più complessa per realizzare la quale deve essere aiutato da un’equipe di specialisti sognatori, che di volta in volta devono indirizzare gli altri lungo tortuosi labirinti onirici popolati di incubi e ricordi personali. 
La vicenda si sposta da un capo all’altro del globo terracqueo tra sparatorie e colpi di scena, in astruse architetture escheriane e mondi paralleli, doppi giochi e tripli livelli.
Il protagonista non potrà liberarsi nei suoi sogni dell’immagine della moglie morta, interpretata da una magnifica Marion Cotillard, una delle attrici più interessanti del momento, già vincitrice del premio Oscar, la quale, suicidatasi, vuole trattenerlo tra le spire dei sogni per l’eternità. 
Non riveliamo altro della trama, che dura centosessanta minuti, che scorrono veloci verso un finale sorprendente, appagando il sogno dello spettatore: divertirsi e passare qualche ora lieta.

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13/9/2010

La Venere nera un film commovente

Il festival del cinema di Venezia da poco conclusosi ha permesso a chi ha avuto il privilegio di poter assistere alle proiezioni di vedere qualche film particolarmente interessante e che mai giungerà nelle sale cinematografiche. Tra questi ho scelto di parlare della Venere nera del tunisino naturalizzato francese Kechiche, una pellicola commovente, cruda e che contiene una precisa accusa contro tutti i razzismi, quelli del passato, ma anche quelli del presente.
Ambientato nell’Ottocento racconta la storia vera di Saartjie, una donna sudafricana, affetta da un gigantismo ipertrofico, la quale, condotta in Europa dal suo padrone, divenne un fenomeno da baraccone, esibendosi in spettacoli circensi chiusa in una gabbia e tenuta al guinzaglio nei teatrini di Piccadily e negli squallidi salotti libertari di Parigi e nello stesso tempo attirò il morboso interesse del mondo scientifico, convinto stupidamente delle sue origini scimmiesche. Erano gli anni in cui la medicina scioccamente credeva di poter classificare la specie umana a secondo delle dimensioni del cranio, ipotesi demenziale ed aberrante, all’origine del razzismo che ha contrassegnato nel Novecento le più spietate dittature.
Un penoso caso di sfruttamento umano, razziale e culturale, che il regista denuncia vigorosamente attraverso una macchina da presa letteralmente addosso al corpo della sfortunata fanciulla, che mostra generosamente senza imbarazzo la sua imbarazzante nudità. 
Finì per prostituirsi nei bordelli parigini con clienti amanti del brivido, affascinati dalla sua vagina dalle labbra elefantiache e morì a 26 anni, distrutta dall’alcol, dalla sifilide e dalla disperazione, ma neanche con  la morte riuscì a trovare un po’ di pace, perché il suo aguzzino vedette il corpo agli anatomici, che lo divisero i tanti macabri barattoli: uno con il cervello, l’altro con i protrudenti genitali, oltre allo scheletro che è stato in mostra fino al 1994 al museo del’Homme, quando finalmente Mandela ha ottenuto da Mitterand la restituzione del corpo. 
Un film avvincente di quasi tre ore che colpisce lo spettatore allo stomaco per indurlo a meditare, peccato che non potremo vederlo!


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29/6/2010

5 appuntamenti per farla innamorare, un film mieloso

Una coppia di successo costituita da Nia Vardalos e John Corbett rappresenta il perno attorno al quale gira una caramellosa commediola senza pretese,  molto gradita alle teen agers, che la seguono estasiate con frequenti mugolii per tutti i 125 minuti della pellicola.
Dopo alcune delusioni sentimentali e memore di un padre che tanto amava e che ha distrutto la famiglia, lasciando la madre per l’amante, Genevieve, la protagonista, decide di vivere stando lontana dall’amore. Sesso, amicizia, relazioni, ma che debbono durare non più dello spazio di cinque appuntamenti. Dopo non bisogna più vedersi per non impegnarsi e per non cadere preda degli affetti e, pericolo gravissimo, dell’innamoramento.
Alla fanciulla piacciono i fiori, dei quali fa commercio, avendo come soci due simpatici ed innocui gay, san Valentino, una festa da consacrare con un pensiero gentile e profumato ed uscire con uomini sempre diversi, ma …, quando incontra Greg, un affascinante single, che non conosce le regole del corteggiamento, la situazione precipita perché scocca, fatale, la freccia di Cupido.
I 5 appuntamenti non le bastano più, vuole che il legame duri più a lungo, preferibilmente in eterno: il sogno nascosto di tutte le donne e perché no anche degli uomini. 
Il finale è naturalmente a lieto fine, non lo riveliamo, ma è  facilmente immaginabile.
Due ore di svago sono assicurate, un film leggero come leggero ed evanescente è l’amore.

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16/6/2010

La regina dei castelli di carta, ultimo atto

Con la regina dei castelli di carta si conclude la saga in tre parti di Millennium, lo straordinario successo letterario di Stieg Larsson, che ha venduto ventuno milioni di copie in tutto il mondo.
La trasposizione cinematografica ha incontrato egualmente un grande successo, anche se a mio parere, la prima pellicola: Uomini che odiano le donne, è su un gradino più alto. 
L’ultimo atto vede i due protagonisti Michael Nyqvist e Noomi Rapace lavorare a ritmi sempre più serrati e in sintonia di intenti.
La storia comincia con Lisbeth che, sepolta viva, riesce a sfuggire alla morte, ma i suoi problemi sono appena all’inizio.
Viene accusata di tentato omicidio e una setta politica segreta trama per farla tacere per sempre. Portata in ospedale per una grave ferita alla testa riesce a guarire, ma unicamente per andare in carcere.
Il coraggioso giornalista, per quanto minacciato, riesce a trovare prove per scagionarla ed il finale, che non riveliamo, è veramente al cardiopalmo.
148 minuti di pura adrenalina, azione e paura ed inoltre intrighi, segreti, soprusi e misteri che metteranno a dura prova i protagonisti e gli spettatori, con la tosta Lisbeth determinata ad avere giustizia ed il fido Mikael pronto ad aiutarla disinteressatamente.
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9/6/2010

La Papessa un film di denuncia

Dopo un lungo battage mediatico giunge sugli schermi italiani la Papessa, una pellicola che, sulla base di un’antica ed alquanto improbabile leggenda, mediata da un romanzo storico, cerca di avvalorare l’ipotesi che sulla cattedra di Pietro, nel lontano 853, in pieno medioevo,  per alcuni anni si sia assisa una donna,Giovanni VIII, al secolo Johannes Angelicus.  
Il film sembra voglia sfruttare il successo del Codice da Vinci di Dan Brown, in realtà il libro è stato scritto da oltre 15 anni e dal 1999 tradotto in italiano, viceversa il referente più prossimo è senza dubbio il recente Agorà con la storia della filosofa greca Ipazia, con il quale condivide la storia di una donna in lotta contro il potere maschile e l’ottusità delle gerarchie ecclesiastiche, un dramma proto femminista più che anticlericale.
La storia parte nello 814, quando Johanna, la protagonista interpretata superbamente dalla Wokalek, un’attrice già ammirata nelle vesti di Gudrun Ensslin nella banda Baader Meinhof, sembra condannata a vivere una vita ingrata, con un destino tipico delle ragazze di quell’epoca. Lavoro domestico, obbedienza cieca al marito, figli ed una morte prematura. Ma l’intrepida fanciulla, spinta dalla fede e da una volontà  di ferro, si convince che il destino abbia in serbo per lei qualcosa di diverso e che Dio le stia mostrando la strada da seguire; per cui, opponendosi ai voleri di un padre padrone, tra l’altro prete(all’epoca non vi era ancora l’obbligo del celibato?), che non ammette nemmeno che le donne imparino a leggere e scrivere, giunge avventurosamente in abiti maschili fino a Roma alla corte corrotta di papa Sergius, magistralmente interpretato da John Goodman.
Sarà un lungo percorso tra le devastanti brutalità del medioevo, tra massacri, fame e pestilenze, ma alla fine per una serie di circostanze che non riveliamo, tra baccanali boccacceschi ed intrighi di ruffiani, diventerà papa, ma non potrà continuare a lungo in quel ruolo delicato, fingendosi maschio, perché se lo spirito è forte, la carne e debole ed un’incipiente gravidanza la costringerà a fare i conti con la realtà.
Un film da vedere, anche se la leggenda che la Chiesa abbia voluto cancellare questa pagina della sua storia, attende ulteriori e più puntuali verifiche.

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17/5/2010

Manolete, l’eterno dilemma tra eros e tanathos

Giunto in Italia con un ritardo di tre anni per difficoltà nella distribuzione, Manolete è una pellicola da vedere soprattutto per l’ottima interpretazione dei due protagonisti: un’intrigante Penelope Cruz ed un intenso Adrien Brody. 
Il racconto si serve della tecnica del flash back con continui salti temporali, che a volte creano confusione negli avvenimenti e nella breve vita di Manolete fissa l’ultimo anno e mezzo, incentrato sulla burrascosa relazione sentimentale con la bellissima attrice Lupe Sino, una donna mediterranea e solare, amante della vita.
Manolete è figlio d’arte ed a cinque anni ha perso il padre, dal quale eredita l’appellativo. Vive nella povertà con l’unico obiettivo di divenire famoso. Affronterà il primo toro a dodici anni e gli occhi minacciosi di un Miura saranno l’ultima cosa che vedrà a trenta anni nell’arena di Linares.
Il film vuole raccontare la storia di un celebre torero, ma anche quella di un semplice uomo con la sua storia d’amore tormentata e passionale, che cambierà ad entrambi la vita. 
Egli è un giovane complessato e malinconico alla ricerca del riscatto sociale nel turbinio dell’arena, in un momento storico dominato dal franchismo, ridotto a sfondo delle sue gesta eroiche, ma incontrando l’amore capirà di avere un altro scopo nella vita oltre alla carriera. Una relazione conflittuale e burrascosa, il classico binomio amore e odio.  I corpi dei due amanti si fondono in una miscela di erotismo che già trasuda un senso di morte. Ma non potrà avere tutto, perché la felicità porta ad amare la vita e per un torero, che deve ogni volta sfidare la morte, significa avere paura e divenire vulnerabili. E la fine è dietro l’angolo.
Manolete incarna un mito antico, che rappresenta  l’anima stessa della Spagna: la lotta non tanto contro il toro, quanto contro le avversità, al limite contro sé stesso. Egli è un torero dallo sguardo perennemente triste e dal comportamento pacatamente serio, ha gesti austeri e solenni, ma anche estremamente delicati.
Affronta la morte più con rassegnazione che con coraggio, conscio che la sua parabola ha già raggiunto l’apice e che vivrà a lungo nell’amore di quanti lo hanno osannato.

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14/5/2010

Draquila l’Italia che trema, una velenosa satira

Alla fine della proiezione vi sono applausi, ma anche mugugni e se ci trovassimo a Napoli, sono certo, anche fischi e pernacchie. Il film della Guzzanti infatti accende gli animi e se come satira politica è sfacciatamente a senso unico con un interminabile attacco personale a Berlusconi, manipolando dati falsi ed immagini di repertorio, che nulla hanno a vedere con l’argomento, come controinformazione centra più volte il segno, segnalando il clima militaresco delle tendopoli e l’ansia di ricostruire ex novo, lasciando al suo triste destino il centro antico della città, carico di storia e di testimonianze artistiche.
Il documentario, di questo si tratta, si rifà alla lezione di Michael Moore e di Oliver Stone, ma somiglia troppo ad un comizio basato sulle immagini più che sulle parole e frana per la partigianeria politica della regista interprete, che ama farsi riprendere infinite volte dalla telecamera, mentre intervista gli abitanti dell’Aquila, dal sindaco alla povera gente.
Viene sottolineato l’aspetto ipermediatico della vicenda, sul quale hanno speculato, non solo Berlusconi, animato da genuino spirito caritativo, come percepito(e nel film vi sono numerose testimonianze) dalla popolazione più umile, ma anche i vip presenzialisti da Clooney a tante stelle della musica e dello spettacolo.
Il terremoto con le sue macerie ha fatto da cornice anche al G8, spostato frettolosamente dalla Sardegna, ove pure si erano spesi tanti soldi, per cui anche i potenti della Terra da Obama a Carla Bruni, hanno potuto cogliere l’occasione per foto struggenti nell’interno di chiese barocche sventrate dalla furia delle scosse.
Le immagini scavano impietosamente tra le macerie morali di una classe di imprenditori collusi con il potere, che si è arricchita sul terremoto, complice anche un’opposizione balbettante, anche essa pronta a mettere le mani sulle briciole della torta.
Le recenti vicende giudiziarie, che hanno cominciato a scoperchiare una girandola di interessi economici inconfessabili intorno alla ricostruzione, fornisce  fiato e supporto alle critiche, soprattutto quando la realtà assomiglia sempre più ad un incubo orwelliano.
Naturalmente la presentazione del lavoro al festival di Cannes a rappresentare l’Italia è quanto mai inopportuno, essendo un racconto, non disdicevole, ma pregno di falsa retorica e di conclusioni forzate e non oggettive.

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8/5/2010

Cosa voglio di più, una torbida tresca tra poveri amanti

Soldini è tra i registi più apprezzati dalla critica ed in questo suo ultimo lavoro Cosa voglio di più, ispirato nel titolo alle celebri parole di Lucio Battisti, egli ci racconta l’irrompere dell’amore tra due precari, sullo sfondo della periferia milanese sconvolta dalla crisi economica, che mette a repentaglio la sopravvivenza di una generazione e fa entrare in fibrillazione tutti i valori, dall’amicizia alla famiglia.
Alla narrazione non manca pathos e poesia, entusiasmo e trasgressione, ma su tutto impera l’aspetto pornografico, a vivide luci rosse, dell’estrinsecarsi anatomico del focoso adulterio, con ripetuti amplessi tra il palestrato Domenico (Pierfrancesco Favino) e l’albionica Anna (Alba Rohewacher), dal fisico guizzante anche se poco dotato. 
La storia coinvolge un’impegatuccia convivente con un pacifico e corpulento negoziante, che arrotonda riparando piccoli elettrodomestici e un operaio sottopagato con moglie e due figli a carico, con relative bollette, rate e debiti da onorare. 
La passione scoppia all’improvviso con il relativo scambio di sms clandestini, i primi sguardi intensi, i sotterfugi e le bugie, per esplodere poi in settimanali riti erotici sui quali la cinepresa indugia compiaciuta più del lecito, creando imbarazzo ed anche disgusto nello spettatore, che va a cinema per vedere un film, non un filmino a luci rosse. Il tutto condito dal tran tran quotidiano, fatto di spesa al supermercato, pranzo domenicale con i parenti, pizze con gli amici, sporadiche gite ed interminabili discussioni sui soldi che sono sempre pochi.
Questa passione sofferta rientra alla fine nell’alveo delle precedenti relazioni, senza superare il grigiore della quotidianità di un hinterland meneghino, reso con cura, dai casermoni alveari ai treni pendolari lumaca, a dimostrare che anche i poveri hanno, se non un’anima,  i loro vizi al fianco delle loro rare virtù.


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2/5/2010

Matrimoni ed altri disastri, una boiata pazzesca

Nonostante la notevole interpretazione di Margherita Buy, bravissima nella mimica, il film della giovane regista napoletana Nina Di Majo rimane una accozzaglia di luoghi comuni, triti e ritriti, di corna seriali, con tanti personaggi privi di brio, alla ricerca spasmodica della risata ad ogni costo, che rimane l’obiettivo della commedia all’italiana.
Una satira della nevrosi imperante nell’alta borghesia che i vari Fabio Volo(incredibilmente in testa alle vendite con i suoi libri) e Luciana Littizzetto non riescono a far decollare. 
Nanà, la protagonista, è una donna bella, anche se di annata, colta, ironica, di buona famiglia, ma nonostante tutte queste qualità, non fa l’amore da quasi tre anni (gli lo ricorda spietata ogni giorno la home page del suo computer); Alessandro, interpretato da Fabio Volo è viceversa sbruffone, intollerante, ignorante, ma deciso e volitivo e soprattutto ambito dalle donne. Sta per sposare la sorella minore di Nanà, una troietta come tante, ma i preparativi del matrimonio dovranno essere affrontati dalla sorellona single.
Immancabile l’inciucio che ne nascerà ed il finale mieloso, che permetterà alla nostra attempata eroina di trasformarsi in una mangiatrice di uomini, emula, anche nel nome della signora creata dalla fertile fantasia di Emile Zola.
Qualche tiepida risata, ma la delusione è tanta.

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14/4/2010

L’uomo nell’ombra un thriller di classe

Polanski evoca il grande Hitchcock con un thriller fantapolitico in grado di tenere sospeso il fiato dal primo all’ultimo minuto restituendo allo spettatore il piacere di un buon cinema con un cast affiatato e di ottimo livello da Ewan McGregor, il vero protagonista a Pierce Brosnam, nella parte dell’ex primo ministro inglese e Kim Katrall, in libera uscita da Sex and City. 
La trama è imperniata su un ghost writer chiamato a scrivere le memorie di un ex primo ministro(da identificare con Tony Blair), ritiratosi a vita privata, proprio quando si scopre che il politico aveva appoggiato la Cia in operazioni antiterrorismo in dispregio delle convenzioni dei diritti dei prigionieri, facendo ricorso alla tortura.
Si comincia a sospettare che il precedente scrittore, trovato annegato, sia stato assassinato, mentre si intrecciano vorticosamente altre storie misteriose, con personaggi ben delineati, dalla moglie Ruth alla segretaria tuttofare… Amelia ad un viscido professore.
Il tutto con una perfetta ambientazione gotica, in una casa fortezza posta su un’isola poco abitata, flagellata da vento, pioggia e mare in tempesta, ma in condizione di respingere la realtà esterna, materializzata in dimostranti poco pacifisti, troupe televisive ed esagitati.
Il senso di angoscia e la certezza di vivere in un mondo governato da leggi eticamente riprovevoli conduce il pubblico in un mondo tra eccitata fantasia ed assurdo quotidiano.
Un pamphlet che vuole fustigare l’ambizione umana, l’abitudine al complotto e la sfacciata doppia morale dei governi democratici.
Due ore di godibile suspence, unica delusione il ruolo non proprio centrale riservato a Brosman, l’ineffabile ex 007, che recita per non più di un quarto d’ora.


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8/4/2010

La vita è una cosa meravigliosa, un ottimo film

Tra i tanti film italiani che girano per le sale ripetendo all’infinito il tema della crisi della famiglia, finalmente una trama diversa imperniata sulla tempesta delle intercettazioni, che da tempo sconvolgono non solo la vita politica ed economica del Paese, ma anche la tranquillità di tantissime famiglie della borghesia.
L’interpretazione dei personaggi è affidata a Salemme, nella veste di centro avanti di sfondamento, al quale sono affidate le migliori battute, a Proietti, con una recitazione al livello dei giorni migliori ed al volenteroso Brignano, mentre le donne non sono dammeno con Nancy Brill, Lucrezia Lante della Rovere e Luisa Ranieri pimpantissime quanto gelose e l’ucraino partenopea Mayarchiuck nelle vesti, si fa per dire, di una escort mozzafiato dalle forme prorompenti e scollacciate.
La pellicola esce a Pasqua, per cui non si può parlare di cinepanettone, al massimo di cinecolomba, ma sarebbe riduttivo, perché il racconto scorre gradevolissimo e ci fa meditare su come l’Italia somigli oramai alla società disegnata in quella icona indimenticabile Le vite degli altri, sulle malefatte degli spioni della Stasi nei tristi anni del regime poliziesco della Germania dell’Est.
Nelle cuffie del poliziotto Cesare si ascolta di tutto, dai fondi neri richiesti dai politici ai banchieri fantoccio alle truffe di un proprietario di una clinica convenzionata, si dovrebbe dire foraggiata, dall’Asl, oltre a storie private a base di corna e malversazioni.
Un ritratto spietato di un’Italia truffaldina e romanamente caciarona attraverso tre storie parallele.
Si ride di gusto dal principio alla fine e si medita un po’ sulla fine ingloriosa del nostro Paese.


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23/3/2010

Il profeta, una metafora della nostra società

Il Profeta è un film duro, teso, drammatico e richiede allo spettatore una improba fatica nel reggere le emozioni e tollerare la visione della miserevole vita dei detenuti ristretti in un istituto penitenziario francese, patria di Foucault, che non ha nulla da invidiare ai gironi infernali di Poggioreale o Regina Coeli. Lo stesso senso di angoscia che promana potente dalle sequenze realistiche di Gomorra.
Ho avuto modo di gustare la pellicola a Parigi in lingua originale e suppongo che doppiato perda parte del suo fascino, perché il regista Jacques Audiard ha utilizzato arabo, corso e francese in tutte le sue declinazioni di argot malavitoso, mescolate ad un intreccio di gerghi, codici e culture diverse, ricreando quelle barriere che nella società moderna contribuiscono a separare  gruppi, classi e nazionalità, impedendo qualsiasi possibilità di integrazione.
Un giovane magrebino senza patria e senza famiglia, solo, analfabeta, inerme, finisce in prigione per una rapina, condannato a sei anni e ne uscirà completamente cambiato. Imparerà a leggere e scrivere, ma soprattutto a fingersi servo, ruffiano, confidente, assassino. Saprà ascoltare molto, parlare poco ed imparerà a contare solo su sé stesso. Compie un atroce rito d’iniziazione ed imprime nella mente le gerarchie ferree che sovraintendono il feroce microcosmo darwiniano: il culto della brutalità, l’ambiguo scambio di ruoli con l’autorità, lo scontro tra i clan tradizionali e quelli emergenti dei musulmani; una realtà documentaria delle carceri francesi, che ha dimenticato il romanticismo della vecchia mala corsa, emula dei gangster del Padrino.
La preda deve trasformarsi in predatore, un denuncia che diventa metafora di una società malata, afflitta da lacerazioni sociali, politiche, etniche e religiose; una paziente metamorfosi in profeta, perché bisogna prevedere il futuro ed i cambi nella gerarchia del potere.
I due protagonisti sono splendidi Tahar Ramin è Talik, il giovane, Niels Arestrup è l’iracondo e spietato boss corso, che strappa il novellino ai confratelli arabi, facendone prima un lacchè e poi un sicario. Le loro interpretazioni richiamano quelle mitiche di Pacino, Redford, Newman, mentre la regia ha il ritmo dello Scorsese di Casinò o del Buscemi di Animal Factory.
150 minuti interminabili che scandiscono solennemente la durata di un piccolo capolavoro.


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17/2/2010

Paranormal activity, un film da vietare, ma a tutti

Una inutile bufera mediatica si è accesa su Paranormal activity e sul divieto di visione ai minori per la presunta atmosfera di terrore provocata dalla pellicola.
Si è scomodato lo stesso ministro Bondi e la sempre presente Mussolini, creando una indiretta pubblicità al film, che a nostro parere andrebbe si vietato, ma a tutti, essendo una stupidità assoluta, girato da dilettanti con una telecamera low cost, in un solo ambiente ed in maniera maldestra con immagini mosse, per cui, alla fine lo spettatore rimedia un penetrante mal di testa, che aumenta il desiderio di farsi restituire i soldi del biglietto, veramente truffati.
La scena si svolge integralmente tra una camera da letto ed un salotto, gli interpreti sono due, anzi tre considerando il fantasma, che però si fa solo sentire, lei è belloccia ma in sovrappeso, lui assolutamente insignificante.
La presenza di un’entità estranea nella vita della fanciulla viene vista come una maledizione alla quale è impossibile sfuggire, persino gli esperti di demonologia se la fanno sotto e si dichiarano incapaci di risolvere la situazione. Una tavoletta spiritica permette di mettersi in contatto con il quid misterioso senza però prevedere le sue mosse future. Un finale imprevedibile taglia corto ad ogni ipotesi, mentre scorrono i titoli, che millantano trattarsi di un episodio realmente accaduto.
Costato 15.000 dollari, ha incassato fino ad oggi 110 milioni, a dimostrazione che con una ben orchestrata campagna promozionale si può far passare per capolavoro un’emerita minchiata.


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14/2/2010

Lourdes il film del dubbio
Annunciato da un battage pubblicitario spropositato Lourdes, della regista austriaca Jessica Hausner, alla fine risulta un melenso incrocio tra documentario e film da cineforum senza riuscire ad avvincere lo spettatore, che esce dalla sala sbigottito, soprattutto per il finale spietato, che non riveliamo, aperto a numerose interpretazioni, tutte intrise da tristezza e malinconia.
Esce nei cinema nel giorno dedicato alla Madonna di Lourdes per sfruttare forse la benevolenza divina e con la speranza del miracolo di sbancare il botteghino, dopo i premi ed i riconoscimenti della critica, sia cattolica che laica. 
La trama racconta il viaggio della speranza di Christine interpretata da una bravissima Sylvie Testud, affetta da sclerosi multipla e costretta sulla sedia a rotelle, che arriva a Lourdes, più da pellegrina laica e curiosa che da credente e si ritroverà protagonista di un miracolo, che susciterà su di  lei curiosità, ma principalmente invidia e pettegolezzo. Intorno scorre impietosamente descritto il mondo dei malati, degli accompagnatori, i riti, le attese, i dubbi, le speranze, lo sfruttamento economico e la spiritualità reale che animano il santuario, fino ad una felliniana festa finale, nella quale ballano allegramente assieme preti e suore, accompagnatori e crocerossine, mentre dal palcoscenico impazza il karaoke.
Impagabili alcune battute come la barzelletta imperniata sul week end che debbono trascorrere Gesù e la Madonna: 
“Vogliamo andare a Betlemme?”, 
“No sempre lo stesso posto”
“Allora andiamo a Gerusalemme?”
“Che noia, di nuovo”
“Rechiamoci a Lourdes?”
“Si”, esclama la Madonna, “Lì non ci sono mai stata!”
O alcune domande che vengono poste al prete come:”Dio è buono o onnipotente?”. Quesiti ai quali è impossibile rispondere senza cadere nel patetico. 
In conclusione un film che si può vedere, ma che si può tranquillamente anche perdere.


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8/2/2010

Il Concerto un film da Oscar

Un film assolutamente da non perdere è il Concerto, diretto da Radu Mihaileanu, regista del famoso Train de vie e Vai e vivrai.
In questo suo ultimo lavoro egli supera se stesso e pare un Fellini scatenato, infatti richiama il celebre maestro, non tanto di Prova d’orchestra, ma nella sua insuperabile capacità di mescolare realtà e fantasia, satira e politica, comicità e dramma  e di trasformare un branco di straccioni ubriachi, adattatisi ai più loschi mestieri, nella mitica orchestra del Bolshoi.
Scandita da un ritmo intenso ed avvincente la trama è imperniata su un vecchio direttore d’orchestra, Filipov, interpretato magistralmente da Alexei Guskov,  umiliato nell’era di Breznev per non aver licenziato i suoi orchestrali ebrei e costretto a lavare i pavimenti del teatro dove per anni era stato una stella. Egli riesce fortunosamente ad intercettare un fax che invita l’orchestra del Bolshoi ad esibirsi a Parigi e diabolicamente pensa di sostituirsi ad essa, ricreando la sua vecchia compagine dispersa nei meandri della nuova Russia.
Ingaggia un lestofante amministratore di nostalgie comuniste e comincia a ricercare i suoi vecchi compagni, naufraghi del socialismo reale, che sopravvivono ai margini di una Mosca cafona e neo capitalista, facendo i mestieri più improbabili: chi recluta comparse per discorsi politici, chi strimpella note nei matrimoni megagalattici dei nuovi gerarchi, chi fa colonne sonore per film porno, chi è tornato al suo campo rom.
Condotto fortunosamente a Parigi questo branco di sbandati in un baleno si disperde in mille traffici clandestini, vendendo telefonini cinesi o caviale, anche tra i tappeti ed i cristalli dell’austero teatro Chatelet, disertando le prove e mettendo a dura prova i nervi del direttore ed degli organizzatori, ma il giorno fatidico dell’esibizione, come per magia, tutti saranno presenti in eleganti abiti da cerimonia.
Come solista al primo violino vi è una giovanissima diva francese, la cui vita sarà sconvolta dall’evento, ma non vi diciamo come e perché.
Il finale interminabile, da antologia, è ritmato dalle note travolgenti del Concerto n. 35 per violino ed orchestra di Caikovskij(eseguito dall’orchestra sinfonica di Budapest), che strappa lacrime ed emozioni alla platea, trasformando per incanto il putrescente sogno comunista in  musica immortale e le persecuzioni di un popolo in un intricato dramma familiare.
Assolutamente da non perdere.

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