sabato 31 marzo 2012

Conclusioni, statistiche ed ipotesi sulla verginità

25/2/2010

L’imene come tutti gli organi e i tessuti del corpo umano deve avere una finalità o averla avuta in passato, come è il caso dell’appendice cecale, che con tutta probabilità rappresenta un residuo di un intestino primitivo in tempi in cui la nutrizione dell’uomo era diversa da quella attuale.
L’imene è posseduta da tutti i mammiferi, anche se in alcuni si presenta in maniera rudimentale; non rappresenta quindi un organo specifico della specie umana, per cui non potremmo trovare alcun significato teleonomico legato alle abitudini sessuali proprie della donna.
La presenza dell’imene integro se da un lato permette il fluire per gravità verso l’esterno del sangue mestruale, rende difficile ai germi, presenti in numero notevole nella zona perianale, di penetrare in vagina, nella quale, prima della pubertà, non è presente alcun sistema di difesa e di auto purificazione naturale. Il ph tende verso l’alcalinità il che crea un habitat favorevole all’instaurarsi delle infezioni. Viceversa con la pubertà il mutato quadro ormonale con l’innalzarsi del tasso degli estrogeni induce la formazione e lo sviluppo del bacillo di Doderlain, il quale, trasformando il glicogeno presente in vagina in acido lattico, provoca un abbassamento del ph verso l’acidità: una condizione negativa per lo sviluppo dei batteri ed il prodursi di infezioni vaginali.
Una volta creatosi questo sistema di difesa la funzione dell’imene viene a cessare per cui la sua integrità non è più necessaria e ciò viene a coincidere con il periodo dei primi rapporti sessuali, che, nella donna da poco fertile e mestruata, sono auspicabili per la riproduzione della specie.
Tale teoria cerca di giustificare la presenza dell’imene e  rappresenta una mia idea personale, sarà forse una descrizione poco romantica, ma allo stato delle attuali conoscenze scientifiche e alla luce anche dei dati etnografici e antropologici mi sembra per il momento la spiegazione più plausibile.
Vorremmo segnalare la spiegazione che viene data della verginità da un famoso zoologo Desmond Morris. Egli si esprime così sul problema nel suo noto libro la scimmia nuda: “Un’altra caratteristica concomitante, che sembra si manifesti unicamente nella nostra specie, è la conservazione dell’imene o verginità femminile. Nei mammiferi inferiori questo si manifesta come uno stadio embrionale durante lo sviluppo del sistema uro genitale, mentre nello scimmione nudo viene conservato come parte del processo di neotenia. La sua persistenza fa sì che la prima copula nella vita della femmina presenti qualche difficoltà. Poiché l’evoluzione si è spinta tanto avanti da rendere la donna il più reattiva possibile da un punto di vista sessuale, a prima vista sembra strano che essa si sia dotata di un meccanismo che si oppone al coito.
La situazione non è però tanto contraddittoria come sembra. Rendendo la prima copula difficile e persino dolorosa, l’imene  fa in modo che questa non venga effettuata alla leggera. Chiaramente durante l’adolescenza si ha un periodo di prova sessuale, di divertimento, in cerca di un compagno adatto. In questo periodo i giovani maschi non hanno alcun motivo valido per astenersi da una copula completa. Se tra i due membri della coppia non si viene a formare alcun legame, i maschi non si sono compromessi in alcun modo e possono continuare fino a quando trovino una compagna adatta. Se anche le giovani femmine si spingessero così lontano senza formare una coppia, esse potrebbero facilmente ritrovarsi gravide e avviate verso una situazione di maternità, prive però di un compagno che stesse loro vicino.
Mettendo un freno parziale a questa tendenza femminile, l’imene fa in modo che nella donna, prima di compiere il passo definitivo, si sia sviluppata una profonda partecipazione emotiva di tale intensità da farle accettare l’iniziale disagio fisico”(Morris).
Tale atteggiamento secondo lo scienziato favorirebbe anche il formarsi di una coppia fissa nella specie umana, rappresentando un fattore favorevole fondamentale per l’allevamento dei figli, che raggiungono la pubertà e la completa autonomia in ritardo rispetto ad esempio, al topo, al cane, all’elefante.
Una condizione che noi riteniamo decisiva per giustificare la monogamia della nostra specie, non spiegabile in base a considerazioni di ordine culturale.
Pur con tutto il rispetto dovuto ad una teoria espressa da uno scienziato così autorevole ci sentiamo di dissentire e di poter muovere almeno tre obiezioni:
1) L’imene almeno nei mammiferi superiori è presente costantemente, anche se in maniera rudimentale e non rappresenta quindi una prerogativa della specie umana.
2) L’esperienza del dolore della deflorazione per trasmettersi necessita di un sistema di passaggio delle conoscenze difficilmente ipotizzabile nelle donne dell’età della pietra.
3) Quale significato funzionale dovrebbe avere l’imene, per quanto rudimentale, della cagna o della topolina?
Negli ultimi anni, dopo il rapporto Kinsey, sono state eseguite numerose indagini statistiche sul numero di donne che giunge vergine al matrimonio, nelle varie aree geografiche e culturali ed anche sull’importanza che viene attribuita dall’uomo al valore dell’illibatezza.
In tutti i paesi occidentali si è assistito negli ultimi decenni ad un calo verticale della percentuale di donne che giunge vergine al matrimonio, la quale può essere calcolata in Italia, secondo recenti indagini dell’A.I.E.D., intorno al 30% circa, con una diversa distribuzione tra nord e sud del paese. Tali statistiche sono più o meno in linea con altre simili effettuate negli ultimi anni in Francia, Inghilterra e Stati Uniti.
Gli uomini assegnano all’illibatezza un’importanza inferiore che in passato, ma le percentuali non sono in linea con il numero vertiginoso di donne che giungono deflorate alle nozze. In ogni caso si assiste in tutto il mondo occidentale ad un calo considerevole della valutazione dell’importanza della verginità femminile nella misura in cui cresce l’indipendenza economica e l’emancipazione della donna. Tale andamento sta però registrando negli ultimi 2 – 3 anni una leggera inversione di tendenza, come se i giovani tendessero lentamente a ritrovare dei valori del passato, che erano stati quasi completamente abbandonati.
Abbiamo in precedenza osservato come gli anatomici e gli zoologi studiosi di anatomia comparata hanno segnalato un aumento percentuale delle donne  prive di imene o in possesso di imeni di dimensioni ridotte. Questa circostanza potrebbe essere interpretata come il segno di un diminuito significato funzionale dell’organo e potrebbe costituire una conferma indiretta della nostra teoria, secondo la quale, la creazione nell’interno della vagina di sistemi biologici di autoconservazione del ph e di conseguenza di difesa verso le infezioni dall’esterno sta diminuendo il significato funzionale di “barriera” che poteva ragionevolmente essere attribuito in passato all’imene. Al di la del suo significato funzionale sotto il profilo biologico abbiamo visto come gli uomini abbiano sempre attraverso i secoli attribuito a questa barriera ed alla sua integrità un profondo significato culturale ed abbiano creato un tabù, il quale, anche se diminuito di validità negli ultimi decenni, persiste immutato nell’inconscio collettivo.
Per secoli la donna è stata considerata una proprietà privata dell’uomo, una merce, ma oramai la concezione della verginità legata a questi principi è divenuta anacronistica e tramontata quasi completamente nel mondo occidentale.
Ma il tabù della verginità non è legato soltanto a meschine considerazioni di ordine economico; gli studi psicoanalitici ci hanno fornito infatti più di una chiave di lettura di questo tabù e ci hanno dimostrato che esistono delle basi psicologiche molto forti radicate anche nella psiche delle donne moderne ed emancipate.
Al momento della deflorazione sono presenti due aspetti fisici molto importanti e caratterizzanti: la perdita di sangue e il dolore. 
L’uomo civile non possiede lo stesso terrore del sangue che nutrono le popolazioni primitive, per cui i meccanismi “ematici” alla base del tabù si può affermare che siano oggi quasi completamente inesistenti o quanto meno possano essere rimossi.
Diverso è per il dolore che spesso la donna avverte al momento del primo rapporto; esso spesso è alla base, con altri meccanismi psicologici che abbiamo in precedenza studiato, dell’ostilità che nella donna si accende nei riguardi dell’uomo con il quale ha il primo rapporto sessuale.
Una tecnica adeguata, un eccesso di attenzione e di tenerezza ed un po’ di vasellina o altro lubrificante adoperato preliminarmente possono annullare o ridurre notevolmente il dolore del primo amplesso, spegnendo così uno dei meccanismi, attraverso cui si instaura l’ostilità della donna.

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