sabato 31 marzo 2012

La pillola, cinquanta anni, ma non li dimostra

2/5/2010

Non parliamo della pillola che fa tanto discutere in questi giorni, la RU486, né dell’altrettanto vituperata pillola del giorno dopo, bensì della più innocente pillola contraccettiva, a lungo conosciuta con il nome del suo scopritore Pincus, il medico portoricano, che mezzo secolo fa cominciò a diffonderla.
Sembra ieri, soprattutto per chi come il sottoscritto, si è battuto in prima linea, nelle file dell’A.I.E.D. e sulle pagine dei giornali, per la sua commercializzazione in Italia, dove anacronistiche leggi fasciste, tese a preservare l’integrità della stirpe, vietavano, pena la reclusione, addirittura di parlare dell’argomento.
Sul mercato americano entrò in commercio il 9 maggio 1960 ed il Time titolò in prima pagina: “La pillola che libera il sesso”.
Per l’Italia questo anniversario non esiste, perché solo nel 1971 la Corte Costituzionale abrogò le norme che vietavano la contraccezione e nel 1976 la pillola entrò ufficialmente nel prontuario farmaceutico nazionale, anche se prima, in verità, il prodotto circolava come regolarizzatore dei cicli mestruali.
I primi anni una propaganda pseudo scientifica imputava alla pillola una serie di effetti collaterali nefasti, del tutto scomparsi con l’entrata in commercio di prodotti dal dosaggio ormonale sempre più basso, dalla cellulite all’aumento di peso, dalla facilitazione all’insorgenza dei tumori alla frigidità e la sterilità.
Ma le donne avevano imparato a conoscere il loro corpo ed i loro bisogni primari, tra i quali al primo posto liberarsi dalla schiavitù delle gravidanze indesiderate. 
Le femministe approntavano ambulatori improvvisati, erano gli anni avventurosi del C.I.S.A. ed insegnavano alle donne a guardarsi con lo specchietto tra le cosce per scrutare quell’oscuro oggetto del desiderio tanto ambito dai maschi, che era poi soltanto una fessura anatomica.
La Chiesa prese subito una severa posizione contro la pillola del diavolo, eserciti di sacerdoti esortavano le donne ad utilizzare unicamente il metodo Ogino Knaus, altamente insicuro, con i suoi calcoli astrusi o al massimo il metodo Billings, che richiedeva una disgustosa ed inaffidabile valutazione quotidiana del muco cervicale.
Nel 1968 Paolo VI incluse nella sua enciclica Humanae Vitae un anatema contro il farmaco e papa Wojtyla nel 1990 rincarò la dose vietando anche l’uso dei metodi naturali.
Le donne, anche cattoliche praticanti, non seguirono questi assurdi diktat, a partire dalle più giovani, che nascondevano il blister negli stivali dagli sguardi indagatori dei genitori, sicuri della loro verginità. Volevano divenire più libere e consapevoli, anche se poi sono divenute più precocemente disponibili.
Attribuivano un potere catartico ad un farmaco, anche se sono state sempre in poche ad adoperarlo, per pigrizia ed ataviche paure. Ancora oggi, in assenza di qualunque programma contraccettivo e nell’ignoranza dei precetti basilari dell’educazione sessuale, le italiane sono agli ultimi posti in Europa nell’utilizzo della pillola: il 16%, contro il 40% della Francia ed il 50% dei paesi scandinavi.
Le conseguenze sono un reiterato ricorso all’aborto, soprattutto tra le adolescenti ed il perpetuarsi di antiche credenze, come sia sufficiente lavarsi le parti intime con la Coca Cola per non rimanere incinta!

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