venerdì 30 marzo 2012

Una mostra per ricordare Federico Zeri

16/10/2009

Nel panorama molto ricco di mostre di pittura inaugurate in Italia in questi giorni, un posto particolare occupa una rassegna organizzata dalla Fondazione Zeri a Bologna presso il museo archeologico per ricordare l’opera di uno dei maggiori storici dell’arte del secolo scorso.
Federico Zeri, dietro l’immagine è il titolo della originale mostra, articolata in tre sezioni, in una delle quali sono esposte 12 opere dal Duecento al Trecento, a documentare alcuni casi celebri nei quali il suo fiuto infallibile riuscì a correggere madornali errori attributivi. Vi è poi una selezioni di immagini prelevate dalla sua sterminata fototeca, ricca di circa trecentomila scatti, quasi tutti in bianco e nero. 
Ed a tale proposito vorremmo segnalare a tutti gli interessati che questo inestimabile tesoro è in rete a disposizione di tutti gli studiosi, che possono attingere al materiale amorevolmente raccolto da Zeri in una lunga vita completamente dedicata all’arte, a differenza dell’archivio Longhi di Firenze, la cui consultazione è riservata a pochi eletti e deve avvenire in loco. 
Confesso che personalmente ho compulsato per mesi tutte le foto(alcune migliaia) dedicate alla pittura napoletana, ricavandone notevoli spunti per approfondire le mie ricerche.
Federico Zeri era nato a Roma nel 1921 e morì nella sua principesca dimora di Mentana nel 1998. Allievo di Pietro Tosca (che ebbe come discepolo anche il suo acerrimo nemico Argan) entrò giovanissimo in contatto con i due numi tutelari dell’epoca Roberto Longhi e Bernard Berenson, anche loro fieri rivali.
Il primo incontro con lo studioso americano avvenne nella sua villa “I Tatti” vicino Firenze e durò rigorosamente dalle 16,32 alle 16,54, il tempo che il grande santone dell’arte poteva dedicargli sottraendolo ai suoi studi. Zeri fece un’ottima impressione, infatti Berenson ricordò l’incontro nei suoi Diari. Anche Longhi fu colpito dal suo ingegno e lo invitò a collaborare alla sua celebre rivista Paragone, fino a quando, nel 1957, Zeri pubblicò Pittura e Controriforma, un libro fondamentale, che ingelosì il vate fiorentino, dal carattere ispido e saturnino e fu la fine del sodalizio.
Fu molto amico di Giuliano Briganti, altro grande isolato nel mondo della critica d’arte, mentre fu sempre tenuto a distanza dagli accademici Argan e Brandi e dalla Palmina Bucarelli, la gran signora della Galleria di arte moderna, più volte sbugiardata nelle sue attribuzioni. Per un periodo gli fu vicino come allievo Vittorio Sgarbi, che scimiottò anche il titolo di un suo celebre libro, fino a quando le due forti personalità non entrarono in rotta di collisione.
Celebre fu la sua dichiarazione che metteva in dubbio l’autenticità del Trono Ludovisi, ritenuto dagli esperti oltre oceano un capolavoro della scultura greca del V secolo a.C. e per lui un clamoroso falso ottocentesco.
Raggiunse letteralmente un orgasmo culturale quando riuscì a smascherare la burla di alcuni giovani buontemponi, che finsero di aver ripescato delle teste, giudicate intempestivamente dal gotha dei docenti, Argan in testa, eseguite dal Modigliani; mentre lui, in una memorabile trasmissione televisiva, ne dimostrò la grossolana contraffazione, grazie agli stessi studenti, che, in diretta, davanti alle telecamere, ne riprodussero un’altra identica con l’ausilio di un banale Black&Decker.
Fu per lui un trionfo e l’inizio di una collaborazione al piccolo schermo come anfitrione rissoso, in abiti sontuosi, con la sua benevole pappagorgia ed i suoi occhi penetranti, velati da una proverbiale diffidenza.
Cominciò la fama della sua infallibilità attribuzionistica e la ricerca del suo segreto di principe dei conoscitori. Segreto che lui riassumeva in uno studio approfondito dell’opera da esaminare tenendo conto del contesto nel quale era stata realizzata. Se doveva esprimere un parere su foto pretendeva che fossero rigorosamente in bianco e nero, perché asseriva che il colore impedisce di isolare le forme. Una competenza sterminata unita ad un occhio in grado di vedere dove gli altri non vedono e di fare raffronti con la sua immensa fototeca.
Ebbi il privilegio di conoscerlo, anche se per poco più di un’ora, nella sua lussuosa villa, debordante di libri ubiquitari e di opere d’arte, grazie ad un grosso antiquario milanese in visita per mostrargli alcune foto e chiedergli un parere. Rimasi sbalordito, infatti Zeri, dopo un’occhiata alle diapositive fece un rapido cenno ad un suo assistente, che dopo pochi minuti ritornò con le medesime foto dei dipinti in esame. Confessò quanto fosse facile attribuire un quadro, bastava averlo già visto…
Prima di congedarci ci raccontò un paio di barzellette scollacciate e fu felice di ascoltarne una da me, che apprezzò moltissimo per la volgarità, assicurandoci che l’avrebbe recitata in un party di nobildonne al quale doveva recarsi in settimana.
Osteggiato in Italia veniva idolatrato all’estero, dove grandi musei come il Metropolitan ed il Getty Museum o celebri università da Harvard alla Columbia lo ritenevamo poco meno di un idolo. 
Non fu mai professore, perché era l’indiscusso maestro di tutti i docenti, piccoli miopi nani al cospetto di un gigante.
Amava raccontare barzellette da trivio anche nei più raffinati salotti, dove scatenava il rossore compiaciuto di signore d’annata incantate dal suo eloquio forbito. Frequentò il bel mondo da Greta Garbo al conte Cini ed intrattenne un vasto epistolario con membri dell’aristocrazia internazionale, i quali pendevano dalle sue labbra, come il celebre collezionista Contini Bonaccossi, che gli scriveva continuamente chiedendogli pareri.
Riascoltare la sua voce registrata mentre si visita la mostra, rivedere i suoi filmati televisivi, ci avvicinerà a questo mostro sacro dell’erudizione e tutti dobbiamo essergli grati dell’aver donato la sua esaustiva fototeca all’università di Bologna, alla quale va il plauso, dopo lungo lavoro di digitalizzazione, di averla messa a disposizione degli studiosi di tutto i mondo in quel regno senza padroni e senza confini costituito da internet.

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