venerdì 30 marzo 2012

La psicanalisi ed il tabù della verginità

8/2/2010


Freud nel suo famoso libro La vita sessuale, diviso in tre saggi, dedica uno di questi a trattare il problema del tabù della verginità femminile. Egli comincia il suo contributo esaminando l’aspetto etnologico:” Poche singolarità della vita sessuale dei popoli primitivi sono così sorprendenti per il nostro modo di sentire come la valutazione che essi fanno dell’illibatezza femminile. A noi l’alto valore che il corteggiatore ripone nella verginità della donna sembra così naturale e ovvio, che quasi ci troviamo imbarazzati se dobbiamo spiegare il perché del nostro giudizio. La pretesa moderna che la ragazza non porti nel matrimonio con un uomo alcun ricordo di relazioni sessuali con un altro, non è, a ben vedere altro che la continuazione logica del diritto all’esclusivo possesso di una donna, che forma l’essenza della monogamia, l’estensione di questo monopolio sul passato della donna”.
Freud afferma che attraverso la sua esperienza di terapeuta ha scoperto un aspetto fondamentale sulla vita amorosa della donna e cioè che l’uomo che soddisfi il desiderio d’amore di una vergine per lungo tempo ed a fatica soffocato ed abbia nel far ciò superato  la resistenza in lei costituitasi attraverso gli influssi dell’ambiente e dell’educazione, diventerà l’uomo con cui ella stabilirà un rapporto duraturo, mentre la possibilità di tale rapporto resterà sbarrata ad ogni altro.
Sulla base di questa esperienza si viene a creare nella donna uno stato di soggezione che garantisce la continuazione indisturbata del suo possesso e la rende capace di resistere a nuove impressioni e tentazioni estranee.
La situazione di soggezione sessuale fu segnalata la prima volta da Krafft Ebing, il quale descrive il fenomeno di una persona con un grado assolutamente alto di dipendenza e di mancanza di autonomia nei confronti di un’altra persona con cui ha rapporti sessuali. Questa soggezione può talvolta divenire estrema, fino a rinunciare ai propri interessi.
Meditando potremo notare che tale dipendenza, in certa misura, è assolutamente necessaria, se il legame che si instaura tra un uomo ed una donna deve avere una certa durata, come nel caso del matrimonio. Una qualche misura di soggezione sessuale è in effetti indispensabile al mantenimento dell’unione in una società civile, per tenere a bada le tendenze poligame che lo minacciano, un fattore di rilevante importanza nella nostra comunità.
Lo studioso ci spiega che le condizioni dal cui concorso deriva la soggezione sessuale sono da un lato un grado insolito di innamoramento e dall’altro uno sconfinato egoismo, accoppiato a debolezza di carattere. L’analisi di questi soggetti permette però di precisare il fattore decisivo rappresentato  dalla quantità di resistenza sessuale superata e la condizione è che ciò avvenga una volta soltanto.
La soggezione sessuale è pertanto più facile che si instauri, e più interamente, nelle donne che negli uomini.
Ritorniamo a Freud, il quale si interessa al comportamento degli uomini primitivi nei riguardi della verginità ed afferma che non è vero che essi non ripongano nessun valore all’illibatezza della loro sposa, anche se spesso è previsto che la deflorazione avvenga al di fuori del matrimonio. Al contrario egli ritiene che per le popolazioni primitive la deflorazione sia un atto importantissimo, diventato per questo oggetto di un tabù,di una proibizione di tipo religioso, anche se il costume a volte esige, invece di riservarlo allo sposo che costui eviti di compiere personalmente tale atto.
Freud ha studiato su tale argomento il materiale raccolto da vari etnologi e principalmente da Crawley, da Ploss e da Bartels ed è interessante compiere una carrellata su queste abitudini sessuali ad integrazione di ciò da noi già esposto nel relativo capitolo.
In molte popolazioni australiane la rottura dell’imene eseguita al di fuori del successivo matrimonio è una pratica molto diffusa; tale cerimonia consiste nella perforazione dell’imene da parte di una persona designata che non sia il marito, il quale deve assolutamente evitare di compiere la deflorazione come primo atto sessuale.
Presso i Dieri e le tribù confinanti, nel nord dell’Australia, vi è l’abitudine di rompere l’imene di una ragazza quando giunge alla pubertà. Nelle regioni di Portland e di Glenelg tale operazione è compiuta da una vecchia o talvolta si richiede ai bianchi di deflorare le ragazze. Altre volte la rottura artificiale dell’imene ha luogo durante l’infanzia, mentre se avviene all’avvento della pubertà è spesso legata ad un atto carnale cerimoniale.
Nelle tribù australiane praticanti l’esogamia l’imene è perforato artificialmente prima che gli uomini abbiano accesso alla ragazza in un ordine stabilito, l’atto si divide in due parti: perforazione e coito. Tale importante preliminare del matrimonio è diffuso anche tra i Masai, popolazione dell’Africa equatoriale, mentre tra i Sakai(Malesia), i Botta(Sumatra) e gli Alfoer(Celebes) è il padre della sposa a compiere la deflorazione.
Nelle Filippine esistono degli uomini la cui professione è deflorare le spose, in cui l’imene non fosse stato lacerato nell’infanzia da una vecchia adibita a tale scopo. Tra le tribù eschimesi è l’angelok, il sacerdote a sverginare tutte le spose.
La spiegazione fornita da Freud a queste consuetudini è legata all’orrore del sangue, in genere presente al momento della deflorazione.
Molti primitivi hanno timore del sangue, considerato la sede della vita, per cui il tabù della verginità può essere collegato a quello della mestruazione, rispettato quasi senza eccezione tra i “ selvaggi”. L’uomo primitivo spesso associa il fenomeno del flusso mestruale, per lui misterioso, al morso di uno spirito animale, quale segno del rapporto sessuale con questo spirito.
Freud avanza una seconda spiegazione, forse meno pertinente della prima per giustificare il terrore di deflorare una donna nell’uomo primitivo.
Egli osserva che questi soggetti siano spesso preda di disposizione all’angoscia, che apparirà più intensa in tutte le occasioni che implicano qualcosa di nuovo o di inspiegato tale da turbarli. Il primo rapporto sessuale rappresenta per loro certamente un atto grave da generare l’angoscia della prima volta, a maggior ragione se vi è spargimento di sangue.
Crawley, un etnologo che ha studiato per tutta la vita queste popolazioni, fornisce una terza spiegazione personale del tabù della verginità, collocandolo in un ampio contesto che abbraccia l’intera vita sessuale della donna. Egli ritiene che siano tabù non solo il primo rapporto, ma anche altre particolari situazioni quali mestruazioni, gravidanza, parto e puerperio.
L’osservare tali limitazioni comportamentali ci fa dubitare della presunta libertà sessuale dei selvaggi, sottoposti a tante solenni restrizioni, anche se talvolta l’esplosione della sessualità scavalca tutte le inibizioni, di solito sembra debba soggiacere a divieti più ampi di quelli attuati nel mondo ritenuto civile.
Ove l’uomo primitivo vede un pericolo egli pone un tabù, basato spesso su un timore verso la donna, vista come una creatura diversa dall’uomo, strana e misteriosa, per cui apparentemente ostile. Egli ha paura di essere contaminato dalla sua femminilità e di mostrarsi incapace.
L’effetto rilassante del coito sulle tensioni, può essere temuto, alla pari della percezione dell’influenza che la donna acquista su di lui attraverso il rapporto sessuale. In questa visione non vi è niente di arcaico, niente che non sia ancora vivo tra noi. 
L’abitudine che abbiamo più volte osservato di risparmiare allo sposo la deflorazione è rispettata perché si crede in tal modo di evitare proprio al futuro marito qualcosa di particolarmente pericoloso. Noi invece abbiamo notato in precedenza in che maniera dovrebbe derivare uno speciale vincolo della donna verso l’uomo che l’ha sverginata.
Se potessimo ritenere decaduti nell’uomo moderno il timore del sangue ed il senso di angoscia del primitivo, potremmo ritenere del tutto assenti i pericoli insiti nella deflorazione, ma di nuovo l’analisi psicoanalitica ci pone davanti dei rischi e dei nuovi problemi. Lo studio del comportamento di donne che vivono oggi ed appartengono al nostro stadio di civiltà ci illumina su questo grave pericolo e perché esso minacci proprio il futuro marito. Esso esiste effettivamente e l’uomo primitivo con il tabù della verginità si difende da un pericolo percepito, sebbene di natura psichica.
Noi riteniamo reazione normale che la donna dopo il coito abbracci l’uomo al culmine del soddisfacimento, esprimendo così la sua gratitudine ed un pegno di soggezione durevole, ma ciò capita eccezionalmente dopo il primo amplesso, spesso deludente per lei, che  rimane fredda ed insoddisfatta, perché di regola ci vuole molto tempo e la frequente ripetizione dell’atto sessuale prima che esso sia in grado di gratificarla.
Questa frigidità iniziale a volte tende a cronicizzarsi, nonostante la tenerezza e gli sforzi del marito e la genesi di questa patologia è insita in ciò che accade la prima volta. Dopo la deflorazione a volte si instaura un’ostilità verso l’uomo e questi impulsi rendono difficile la relazione, per cui il pericolo che corre l’uomo nello sverginare una donna e nell’attivazione di queste disordinate pulsioni. Il primo coito mobilita una serie di impulsi paradossali, che non scattano negli amplessi successivi.
Uno dei motivi che può concorrere all’innescarsi di tale meccanismo è da imputare al dolore che è causato alla vergine dalla rottura dell’imene, ma questo fattore, pur importante, non è da solo decisivo, perché bisogna valutare anche l’umiliazione narcisistica successiva alla distruzione di un organo che in molte culture porta ad un diminuito valore di una donna deflorata.
Un ulteriore motivo di delusione risiede nella circostanza che nella donna moderna aspettativa ed appagamento non sempre vanno d’accordo; il sesso a lungo considerato un divieto, quando viene consentito non soddisfa le attese.
Un analisi dell’evoluzione della libido, ottenuta attraverso numerose indagini psicoanalitiche, mette in evidenza che molti desideri sessuali dell’infanzia creano nella donna una sua formazione che anela solo vagamente al coito, per cui, il marito, sostituto dei sogni infantili, viene rifiutato come inadeguato.
Tanto più questa resistenza psichica verso il primo atto sessuale è tenace, tanto più il rifiuto come ostilità verso il marito verrà ad instaurarsi e basterà anche una piccola diminuzione della potenza virile ad accentuarlo. A tal proposito i costumi dei popoli primitivi ci appaiono saggi, affidando il compito della deflorazione ad un anziano, ad un prete o ad uno specialista, che sostituisca la figura paterna.
Questo delicato meccanismo psicologico ci fa ragione del tanto oppugnato “ius primae noctis” esercitato dal castellano medioevale, come sostenuto in passato da Storfer ed anche da Jung, il quale, nel suo aureo libretto L’importanza del padre nel destino dell’individuo, ha interpretato correttamente la diffusa istituzione delle “Notti di Tobia”, cioè il costume della continenza nelle prime tre notti dopo le nozze, come un riconoscimento del diritto del patriarca.
Possiamo trovare altri surrogati paterni che confermano le aspettative derivanti da questa nostra analisi con il fatto che spesso la deflorazione in passato venisse affidata addirittura alla divinità o quanto meno ai loro simboli. Infatti in alcune contrade la sposa novella doveva sacrificare l’imene al Lingam ligneo ed a quanto ci riferisce Sant’Agostino la stessa usanza esisteva nel cerimoniale matrimoniale romano del suo tempo con l’attenuante che la giovane donna doveva soltanto sedersi sul gigantesco fallo di Priamo.
In strati ancora più profondi della psiche femminile giacciono le radici di un altro motivo, il quale forse può essere dimostrato come il principale colpevole della paradossale reazione di ostilità verso l’uomo ed il cui influsso si scatena appunto al momento del primo coito, quando nella donna si attivano anche altri antichi impulsi, oltre quelli precedentemente descritti, che si oppongono decisamente alla funzione ed al ruolo femminile. Alcune donne attraversano uno stadio infantile durante il quale invidiano ai fratelli il segno della virilità e si sentono scoraggiate e minorate a causa della sua mancanza o meglio a causa della sua riduzione.
Adler ha identificato in questo comportamento la volontà di essere un uomo e ha dato a questo atteggiamento il nome di protesta mascolina. Freud ha parlato di “invidia del pene” ed ha incluso questo atteggiamento nel più ampio “complesso di evirazione”.
Il padre della psicanalisi ci descrive un caso capitato nella sua pratica professionale privata di una reazione abnorme di una giovane sposa allo sverginamento, in cui si evince nella storia evolutiva della psiche della donna l’attraversamento da bambina della fase virile in cui è presente l’invidia del pene maschile. Durante l’analisi ella confessò il suo desiderio di evirare il marito e di voler conservare il suo pene. In questa invidia bisogna scorgere l’avversità della donna verso l’uomo che per primo l’ha posseduta.
Ferenczy, altro famoso psicoanalista, cultore di paleobiologia, riconduce l’ostilità che scatta nella donna verso l’uomo al momento della deflorazione al periodo in cui i sessi si sono differenziati. Egli ritiene infatti che originariamente la copula avvenisse tra due individui consimili, di cui uno dei due divenne più forte ed obbligò il più debole a sopportare l’unione sessuale.
Sono numerosi i motivi di ordine psicologico che abbiamo elencato e che danno luogo nella donna alla reazione paradossale per cui si scatenano sentimenti di ostilità più o meno coscienti verso l’uomo che primo si unisca a lei.
L’esplosione di sessualità ancora acerba che si scatena sull’uomo spiega il senso del tabù e ci fa comprendere la prescrizione prevista in molte culture intesa a proteggere da tali pericoli proprio il marito, cioè l’uomo che deve entrare in una vita comune durevole con questa donna. Ai livelli più alti di civiltà l’importanza da noi segnalata di fronte a questi pericoli sembra passare in secondo piano di fronte alla promessa di soggezione e di fronte ad altri motivi ed allettamenti, per cui la verginità viene oggi considerata un bene tangibile al quale l’uomo non è obbligato a rinunciare, ma l’analisi psicologica dei disturbi matrimoniali ci svela come i motivi che inducono la donna deflorata a vendicarsi non sono del tutto estinti nemmeno nella vita psichica della donna moderna. Una conferma è fornita dal numero molto alto di donne frigide ed infelici in un primo matrimonio, che, sciolto questo, diventano mogli tenere e compiacenti di un secondo marito, come se la reazione arcaica si fosse esaurita sul primo uomo. 
Il tabù della verginità è stato sempre presente attraverso i secoli ed è tuttora vivo, anche se assopito, nella nostra vita civile. L’anima popolare lo conosce e spesso gli scrittori si sono serviti di questo materiale per i loro lavori.
I motivi da noi esposti hanno trovato la loro più potente rappresentazione in un noto personaggio drammatico, nella Giuditta della omonima tragedia di Hebbel, dove la protagonista è una di quelle donne la cui verginità è protetta da un tabù. Il suo primitivo marito rimase paralizzato durante la prima notte di matrimonio da un’angoscia misteriosa e non ebbe più il coraggio di toccarla. Ella esclama orgogliosa:” la mia bellezza è velenosa come la belladonna, il suo godimento porta pazzia e morte”.
Quando gli Assiri assediano la città ella concepisce il piano di sedurre il generale che li comanda con la sua bellezza e di annientarlo, nasconde perciò sotto un motivo patriottico uno sessuale. Dopo la deflorazione per opera di questo gagliardo, che si vanta di essere forte e rozzo, ella attinge la forza della sua rivolta per tagliargli la testa, diventando così la liberatrice del suo popolo. Decapitare in questo caso equivale simbolicamente alla castrazione, di conseguenza Giuditta è la donna che castra l’uomo da cui è stata deflorata, come voleva fare nel suo sogno la giovane sposa di cui ci parla Freud.
Hebbel  ha deliberatamente fornito un sostrato sessuale al racconto patriottico tratto dagli Apocrifi del Vecchio Testamento, variando il testo della Bibbia, ove manca ogni accenno alla sconvolgente notte nuziale di Giuditta; egli probabilmente con la sottile sensibilità del poeta ha percepito il motivo ancestrale che era andato perduto nella versione tradizionale ed ha restituito alla materia il precedente contenuto.
Spesso agli psicoanalisti capita di incontrare pazienti presso le quali le opposte reazioni di soggezione e di ostilità sono ambedue giunte ad espressione ed hanno mantenuto un intimo nesso tra di loro. Ci sono donne di questo genere che sembrano dissolversi completamente nei loro mariti senza potersi liberare di loro. Appena passano a rivolgere il  loro amore su un altro uomo l’immagine del primo, sebbene non più amato, interviene con effetti inibitori. Lo studio analitico insegna allora che queste signore sono indubbiamente ancora soggette ai loro primi mariti, ma non più per amore, ma per soggezione come fossero incatenate. Non riescono a liberarsi da loro perché la loro vendetta su di essi non si è compiuta, in molti casi non hanno neppure fatto giungere a livello cosciente l’impulso vendicativo.
In conclusione possiamo perciò affermare che la deflorazione non ha la sola conseguenza di legare durevolmente la donna all’uomo; essa scatena anche la reazione arcaica di ostilità verso di lui, la quale può assumere forme patologiche che si manifestano abbastanza di frequente attraverso fenomeni inibitori della vita amorosa nel matrimonio e alla quale si può ascrivere la circostanza di una migliore riuscita delle seconde nozze.
Il sorprendente tabù della verginità, l’orrore con cui presso i primitivi lo sposo evita la deflorazione trovano la loro piena giustificazione in questa reazione ostile e paradossale. 

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