domenica 18 marzo 2012

Riapre la chiesa di Donnalbina

18/4/2007





Finalmente, dopo soli trenta anni di chiusura, riapre, in occasione del Maggio dei monumenti, la chiesa di Santa Maria di Donnalbina, una delle più ricche di opere d’arte della città.
Il complesso di Donnalbina affonda nel pieno medioevo le sue origini ed il motivo del suo nome è confuso nella leggenda. In età ducale la zona era denominata Albinense, altri si collegano invece ad una torre eretta in età romana da un certo Albino, ma noi preferiamo seguire un’invenzione letteraria moderna creata dalla fertile penna di Matilde Serao la quale, nelle Leggende napoletane, narrò la storia delle tre figlie del barone Toraldo, un nobile del Sedile di Nilo vissuto ai tempi del re Roberto d’Angiò. Le tre fanciulle donna Regina, Donna Ròmita e Donna Albina erano innamorate dello stesso uomo e non potendo averlo decisero di monacarsi, fondando i tre famosi conventi napoletani. Tra tanti dubbi e fantasie sappiamo con certezza che un monastero esisteva già nei primi anni del IX secolo, quando in esso si rinchiuse Euprassia, figlia del duca di Napoli, alla quale si può ricondurre la fondazione del cenobio benedettino.


Benedettine furono anche le monache provenienti dai soppressi monasteri di Sant’Agata a Mezzocannone e di Sant’Agnello al Cerriglio, che, nel 1563, entrando nel convento, portarono con loro reliquie di ogni genere, dall’ubiquitaria spina della corona di Cristo  alla gruccia di sant’Agnello e finanche un pezzo di grasso di san Lorenzo, che si liquefaceva nella ricorrenza del martire ed una mammella di sant’Agata. Un repertorio che oggi può sembrare stupefacente e fantasioso, ma che all’epoca dava grande prestigio ad un monastero.
La chiesa medioevale non esiste più e quella che noi visitiamo è stata realizzata nel Seicento per l’intervento prima di Bartolomeo Picchiati e poi, sul finir del secolo, di Arcangelo Guglielmelli.
Entrando in chiesa si è accolti, sulla sinistra, dal monumento funebre del celebre compositore Giovanni Paisiello, una modesta realizzazione dello scultore Angelo Viva. Un bagno di luce si irradia dai finestroni e permette una perfetta visione dell’insieme, mentre lo sguardo si perde ad ammirare lo spettacolare soffitto in legno dorato, realizzato da Sabbato Daniele nel 1701 su disegni dell’architetto Antonio Guidetti, nel quale sono incastonati i grandi dipinti di Nicola Malinconico: al centro un’Assunzione, firmata, di lato un Sant’Agnello che scaccia i Saraceni, mentre la terza tela, un Martirio di Sant’Agata risulta perduta. Sono opere intrise da una dinamica spazialità ed animate da colori cangianti di ascendenza giordanesca. Negli stessi anni il pittore realizzava anche una serie di otto tele poste tra i finestroni della navata raffiguranti santi dell’ordine benedettino. Sul coretto della controfacciata è collocato un dipinto murale, molto rovinato, sempre del Malinconico, che rappresenta l’Entrata di Gesù in Gerusalemme.


Il parapetto della cantoria, la grata dell’abside e tutte le gelosie furono realizzate nel 1699 da Sabbato Daniele, esse sono dominate da un elegante rameggio a labirinto e nella loro superba imponenza richiamano a viva voce i più celebri, ma non più belli, manufatti realizzati in San Gregorio Armeno. La zona absidale contiene una panoramica dell’attività del Solimena nell’ultimo decennio del Seicento. Un vasto programma decorativo, in parte perduto, che va dalla decorazione della cupola, quasi scomparsa, alle Virtù dipinte nei  pennacchi, ad otto sante vergini rappresentate tra i grandi finestroni del tamburo. Tutte opere eseguite tra il ‘92 ed il ‘95, mentre la serie di sei tele poste ai lati del transetto, di altissima qualità, sono eseguite tra il 1696 ed il 1701. Esse sono: a destra l’ Adorazione dei Magi, il Sogno di Giuseppe e la Fuga in Egitto, a sinistra la Natività, la l’Annunciazione e la Visitazione. Sono dipinti che testimoniano il passaggio del Solimena dai modi barocchi e pretiani a soluzioni compositive nelle quali palpabile è il gusto classicista.
La zona absidale ospita uno spettacolare altare, datato 1692, con la cona che sale vertiginosamente lungo la parete, rivestito da multicolori marmi policromi dal cromatismo avvincente, nel quale risaltano motivi floreali e tarsie madreperlacee. La straordinaria bellezza ha fatto ipotizzare nelle schede della Soprintendenza la mano di Cosimo Fanzago, ipotesi non compatibile con la data di esecuzione. Al centro si trovava un quadro firmato del Simonelli, una Visitazione sostituita nel 1892 da una statua lignea settecentesca raffigurante l’Immacolata, che fu posta in una nicchia realizzata a bella posta. Una trasformazione che non piacque a Benedetto Croce, che dalle pagine di Napoli nobilissima,  con lo pseudonimo di Don Fastidio,  la definì “qualche cosa tra l’ostrica di Mucchitello e il gelato alla crema”.


Nelle cappelle laterali, quattro per lato, sono tornati dall’esilio dai depositi numerose tele sulle quali è opportuno soffermarsi, anche per correggere i numerosi errori nei quali sono incorse sia le antiche guide sia i recentissimi depliant, che pubblicizzano l’apertura della chiesa.
Partendo dal lato destro nella prima cappella vi è un’Immacolata tradizionalmente assegnata al Solimena, attribuzione accettata anche dalla Napoli Sacra, certamente opera di un ignoto e modesto seguace; nella seconda si trova una Natività di buona fattura di uno stanzionesco orbitante tra De Bellis e Marullo, ai lati a momenti dovrebbero ritornare due piccole tele di Domenico Antonio Vaccaro, due Santi vescovi, firmati e datati 1736. 


Sul lato sinistro nella prima si trova una dipinto, interessante esito di un pennello femminile, un San Francesco di Sales e Giovanna Francesca di Chantal (una poco nota santa francese vissuta a Digione nel Cinquecento), realizzato nel 1752 (non nel  1723 come altrove indicato) dalla pittrice pugliese Teresa Palomba; nella terza vi è un’antica tavola del primo Cinquecento, una Dormitio Virginis di ignoto, che potrebbe essere assegnata, in via ipotetica,  a Pietro Befulco oppure a Mario di Laurito ed infine nella quarta, che presenta alle pareti un ricco rivestimento marmoreo messo a punto nel 1730 da Francesco Raguzzino è collocata una Madonna con Maria Maddalena e San Giovanni Evangelista ai piedi della Croce, che in passato era ricoperta da un crocefisso ligneo oggi non più presente, la cui presenza nascondeva la sigla dell’autore, Andrea(e non Domenico Antonio come altrove indicato) Vaccaro, inducendo gli studiosi ad ipotizzare la mano del Marullo.
Dal 1942 il monastero è affidato alla Congregazione di Don Orione, che svolge meritorie iniziative a favore di portatori di gravi handicaps fisici e psichici. 


In anteprima assoluta, venerdì 4 maggio alle ore 17, grazie alla cortese disponibilità di padre Angelo De Ninis, gli Amici della chiese napoletane potranno visitare, con la guida del sottoscritto, chiesa e monastero e per l’occasione sono invitati a partecipare tutti gli appassionati.

Foto di Dante Caporali - Foto dell'inaugurazione: Laboratorio fotografico Soprintendenza

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