8/11/2006
La sua preziosa opera per Napoli ed il suo amore verso la città è talmente smisurato da porla su di un piedistallo idealmente più alto di tutti gli altri napoletani da ricordare.
La baronessa Barrac o, l’ultima vera regina di Napoli, negli anni Novanta con l’iniziativa, patrocinata dalla sua fondazione Napoli ’99, di Monumenti Porte Aperte ha fornito alla nostra città uno scossone culturale prodigioso e necessario. Da allora tutti i napoletani, riappropriandosi dei monumenti negati della propria città, hanno riacquistato una «memoria storica» del proprio glorioso passato senza la quale una civiltà è destinata lentamente a decadere e a scomparire.
L’eredità culturale ed artistica ha sempre rappresentato per la Napoli il motivo più forte di attrazione turistica e di studio, il suggello più inconfondibile di una straordinaria dimensione storica.
Una città d’arte deve però essere conosciuta principalmente dai suoi abitanti, i quali devono vivere quei monumenti e quei palazzi storici che conservano intatti i segni vitali della sua storia e della sua civiltà.
L’iniziativa, fortemente voluta dalla dottoressa Barracco, ha perseguito questo obiettivo, che è stato ampiamente realizzato ed in tal modo si sono potute intravedere con chiarezza le grandi possibilità di sviluppo che la città di Napoli potrà avere grazie alla sua cultura, al suo patrimonio storico-artistico ed alla sua straordinaria ricchezza monumentale.
Mirella creò nel 1984 la sua fondazione Napoli ’99, data carismatica ispirata alla rivoluzione napoletana, che tra le sue precipue finalità aveva la conoscenza della città per una maggiore salvaguardia della stessa e preconizzava l’importanza della scuola nella tutela del patrimonio culturale. Il primo convegno che organizzò la fondazione aveva un titolo emblematico «Il futuro del passato di Napoli».
Dopo molteplici iniziative sia culturali che mondane, di cui parleremo più avanti, la fondazione ha raggiunto il massimo della notorietà e della benemerenza da quando è cominciata l’operazione culturale di «Monumenti Porte Aperte». Tale iniziativa rappresentò un complesso esperimento, per la prima volta tentato in Italia, su ispirazione della famosa giornata «Portes Ouvertes sur les monuments historiques» ideata in Francia nel 1984 dal dinamico ministro della Cultura Jack Long. Essa ha usufruito negli anni successivi di uno straordinario successo di pubblico su tutto il territorio nazionale, permettendo a milioni di cittadini di visitare e riscoprire 9000 monumenti pubblici e privati tra cui la Banca di Francia, l’Eliseo, il Senato, l’Assemblea Nazionale, ma anche stazioni, industrie, music hall ecc.
In una recente guida alle piazze ed ai monumenti napoletani si può leggere quanto sia difficile entrare in certe chiese, oratori, o palazzi di notevole interesse; o perché sono sempre chiusi, o perché il custode è irreperibile ancorché lo si conosca, o perché per alcune chiese c’è solo il tempo per una frettolosa messa di mezz’ora la domenica, dopodiché prete e sacrestano se ne vanno per i fatti loro e beato chi li trova. È un peccato perché si perde la visione di molte opere d’arte ed alcune di notevolissimo valore ed interesse. Gli unici che se la possono godere, incontrastati, sono i ragni ed i topi.
Napoli per due giorni, come per miracolo diveniva una città accessibile grazie alla partecipazione ed alla collaborazione di tutte le istituzioni che aprivano le porte ad oltre 200 monumenti, la metà dei quali normalmente non visitabili per restauri, per abbandono o per mancanza di custodia.
La prima edizione vede oltre 100.000 cittadini varcare le porte finalmente aperte di monumenti chiuse da decenni.
La partecipazione dei cittadini è entusiastica e molti rinvengono per la prima volta nelle testimonianze di storia e d’arte della città i segni sicuri della propria identità culturale.
Vengono ripercorsi itinerari tradizionalmente poco noti o riservati a studiosi d’arte o a rari turisti stranieri.
Le strade del centro di Napoli con i suoi decumani ed i suoi cardini antichissimi si popolano come per incanto di strani personaggi, mischiati alla plebe che normalmente anima i vicoli: signore elegantissime e profumate e signori in giacca e cravatta che sfogliano avidamente libri di arte, oltre all’immancabile e preziosissima guida stampata ad ogni edizione dal benemerito «Il Mattino» patrocinatore dell’iniziativa. Nelle edizioni successive è l’intera cittadinanza, con punte di 1.000.000 di visitatori nel 1994 a partecipare in massa ad un evento la cui rilevanza non è solo culturale, ma impronta fortemente anche aspetti civili e sociali del centro storico napoletano.
Le conseguenze di un tale successo di pubblico hanno portato alla riapertura di oltre 50 chiese napoletane, alcune di grande importanza, le quali normalmente chiuse hanno riaperto i battenti con del personale formato e qualificato a tale scopo.
Le varie edizioni di «Monumenti Porte Aperte» oltre a promuovere l’amore e la conoscenza della città con i suoi spazi monumentali hanno anche suggerito alle istituzioni un’ipotesi di grande attualità sociale, cioè la possibilità che un patrimonio artistico così inesauribile possa costituire una risorsa economica di valore inestimabile e possa trasformarsi nel volano di un moderno progetto turistico, che cambi il volto ed il futuro della città.
A tale scopo alcune edizioni avevano previsto, a fianco degli itinerari monumentali, la possibilità di visitare gli ateliers degli artisti (pittori, scultori, fotografi ecc.) e le botteghe degli artigiani, che con il loro lavoro rappresentano una componente fondamentale della produzione culturale. Una volta emersa la città d’arte è necessario far emergere una realtà culturale ancora più sommersa di quella monumentale: l’artigianato artistico che, se opportunamente incoraggiato, tanto fiato potrebbe fornire alla dissestata economia napoletana.
Una fetta importante della tradizione artistica napoletana è legata alle botteghe degli artigiani, alle loro creazioni spesso uniche ed originali. Essi rappresentano il cuore di una tradizione con i suoi segreti che si tramandano di generazione in generazione.
Napoli è ricca di laboratori con gloriose tradizioni culturali: dal mitico ospedale delle bambole di via San Biagio dei Librai alle tante botteghe di corniciai, librai, tappezzieri, rilegatori, tipografi e creatori di pastori e di presepi, tutti testimoni di attività plurisecolari.
Dopo essere stata una manifestazione prevalentemente dei napoletani nelle ultime edizioni si è visto che una grossa fetta di coloro che affollano chiese e palazzi, biblioteche e musei proviene dall’immenso hinterland cittadino. Persone civilissime che si accostano alle opere d’arte con avidità di conoscere e con rispetto reverenziale, segno evidente che la diseredata periferia non è una terra popolata da diavoli, come raccontano alcuni viaggiatori del Settecento, parlando della plebe napoletana, bensì da gente che sente il bisogno di accostarsi alle «meraviglie» della capitale. Napoli ritorna dunque ad essere capitale nel senso proprio che nel passato le era riconosciuta dai «regnicoli», come somma dei valori di arte e di storia di cui essa è pregia.
Queste grandiose manifestazioni hanno permesso sull’onda del loro successo il restauro di molti monumenti d’arte ma è auspicabile che a ciò venga affiancato il recupero del piccolo edificio adiacente spesso sgarrupato. Ciò permetterebbe di migliorare la vivibilità del centro storico che a Napoli, città fittamente abitata da secoli, ha una delle maggiori estensioni del mondo.
Il turismo e con esso l’economia cittadina potrebbe avere un enorme impulso.
Venezia ha soltanto 70 mila residenti e di essa si occupa il mondo intero, Napoli nella sua area più antica ospita oltre 500.000 abitanti, in gran parte giovani che possono costituire una molla energica per la ripresa dell’economia cittadina. Napoli può farcela a risorgere e le folle entusiaste che l’hanno percorsa in lungo ed in largo lo dimostrano.
Dopo aver conosciuto la sua opera più importante cercheremo ora di conoscere un po’ più da vicino questo personaggio così vulcanico ed affascinante.
Mirella Stampa nasce a Napoli nel 1942 in una famiglia della buona borghesia napoletana e dimostra sin dagli anni del liceo dei notevoli interessi intellettuali.
Raccogliendo le confidenze di chi a Napoli la conosce dai tempi in cui frequentava il «Suor Orsola Benincasa» si ha l’immagine di una ragazza riservata e presa più dalla partecipazione a conferenze e dibattiti che dalle feste da ballo, sempre attenta alle tematiche sociali che si dibattevano ai suoi tempi, senza mai accedere o travalicare nel femminismo allora tanto di moda. Il suo abbigliamento privilegiava le gonne a pieghe ed i mocassini a tacco basso, più che gli abiti all’ultima moda.
Una grossa ammirazione verso le figure di quelle donne che con il loro impegno culturale avevano profondamente inciso sulla nuova identità femminile nella società e una predilezione particolare per Virginia Woolf, argomento della sua tesi di laurea in letteratura inglese, seguita da una raccolta di saggi sullo stream of consciousness pubblicata dall’editore Liquori.
Dopo la laurea, specializzatasi in inglese, Mirella ha insegnato per vari anni presso l’Università di Reading in Inghilterra e poi presso il City College dell’Università di New York. Tornata a Napoli ha insegnato per vari anni nella scuola prima di divenire ricercatrice presso la facoltà di lettere dell’Università.
Nel 1970 il matrimonio con Maurizio Barracco, rampollo di una delle più famose e ricche famiglie napoletane; la festa nuziale a Villa Emma a Posillipo fu da favola e a Napoli ne parlano ancora.
Gli impegni familiari, aumentati con la nascita di due figlie, che ogni mattina la baronessa accompagnava personalmente a scuola, l’organizzazione di una dimora sterminata come Villa Emma, pur con l’aiuto di una efficiente servitù, aggiunti agli impegni universitari che avrebbero soddisfatto ampiamente qualsiasi donna, ma non la terribile Mirella, che, vuole fare sempre qualcosa di più, confrontarsi con orizzonti più ampi e soprattutto fare qualcosa di tangibile per migliorare il futuro di Napoli.
Sa di avere dinanzi un compito estremamente arduo, ma è sicura di riuscire nell’impresa anche se con pochi mezzi a disposizione. Si definisce un «boy-scout col temperino che si caccia in testa l’idea di dissodare la foresta vergine che è Napoli»; foresta vergine come chiamò La Capria nel suo libro «Ferito a morte».
Napoli ’99 nasce nel 1984 come fondazione con capitale privato, riconosciuta dal Presidente della Repubblica, e riesce a vivere ed a sviluppare le sue lodevoli iniziative grazie all’aiuto di amici sostenitori, personaggi importanti dell’economia e della cultura.
Per i progetti speciali la Fondazione si attiva per trovare finanziamenti tra gli sponsor privati, quasi sempre grossi enti, banche o aziende a partecipazione statale ed in tal modo risveglia energie e risorse economiche sui beni culturali così densamente presenti a Napoli.
Le prime iniziative tangibili, oltre all’organizzazione di convegni e dibattiti sul «caso Napoli» sono il restauro del grande plastico di Pompei, quello del Toro Farnese a cui segue dopo poco il recupero di tutta la collezione Farnese, fino all’importante restauro del superbo Arco di Trionfo sito all’ingresso del Maschio Angioino e simboleggiante il trionfo e la sovranità di Alfonso di Aragona sulla città di Napoli.
Questo Arco aveva subito l’affronto di una mano folle che con della vernice lo aveva deturpato. Un gesto disperato da parte di un disgraziato che oltre alla ragione aveva smarrito completamente la memoria storica della sua città e delle sue tradizioni culturali imbrattando con la sua disperazione un documento eccezionale in cui si sviluppano varie influenze culturali da quella fiammingo-borgognona a quella iberico-dalmata, a quella toscana culminando in una testimonianza storico-artistico di carattere prettamente mediterraneo di altissimo livello.
Napoli ’99 ha avuto come membri del suo comitato scientifico nomi di prestigio internazionale da Fernand Braudel a Jacques Le Goff; da Francis Haskell, a Gore Vidal, da Denis Mack Smith a Percj Allum. Tra i soci promotori personaggi come Anna Maria Cicogna e Barbara Berlingieri, Marella Agnelli e Bona Borromeo. Tra i finanziatori sponsor del calibro di Orazio Bagnasco, Cesare Romiti e Mario Valentino, oltre ad un numero imprecisato di amici sostenitori della fondazione.
Ed a tenere le fila di questa complessa organizzazione l’ultima regina di Napoli, Mirella «la terribile», instancabile nel passare con grande disinvoltura da una conversazione mondana con uno storico degli «Annales» ad un incontro con un finanziere.
La nascita di Napoli ’99 oltre a costituire un evento di fondamentale importanza sotto il profilo culturale è stata anche l’occasione per un eccezionale avvenimento mondano che ha avuto come cornice la splendida Villa in cui Mirella vive con il marito Maurizio.
Ed è opportuno e doveroso spendere ora qualche parola per parlare del barone Barracco consorte di Mirella che è stato sempre vicino alla moglie in tutte le sue iniziative e l’ha sostenuta col prestigio del suo nome che rappresenta un passaporto-passpartou per accedere a qualunque personaggio di statura internazionale.
Maurizio nasce a Napoli nel 1943 dal padre Alfonso detto «Fofò», brillante uomo di mondo e viaggiatore instancabile e da Gabj Robilant conosciuta a Parigi, donna bella e ricchissima intima di Coco Chanel e di tanti altri personaggi del jet set internazionale. La sua vita trascorre densa di impegni tra feste mondane e anni di studio molto intenso. Consegue tre lauree, tra cui il prestigioso «Master in business administration» a New York nel 1970. Una carriera rapidissima e a 27 anni è già amministratore delegato della «Veedal lubrificanti» una ditta dell’impero di Paul Gettj di cui è amico oltre che vicino di casa, quando il grande vecchio prende alloggio nella sua mitica villa sull’isolotto della Gaiola a Posillipo.
Dal 1984 Maurizio, industriale, manager e presidente della SAEL ditta leader che si interessa di gomma e ceramica, è uno dei 7 consiglieri di amministrazione dell’Editoriale Corriere della Sera e siede anche nella stanza dei bottoni della sede napoletana della Banca d’Italia, presiede inoltre l’Arin, una rogna più che un’onorificenza.
Maurizio è l’ultimo erede di una prestigiosa famiglia che nei primi decenni dell’Ottocento possedeva un territorio sterminato che scendeva dalle montagne della Sila fino al mare. Oltre 30.000 ettari, il più esteso latifondo d’Italia. Terreni a grano, a pascolo, a bosco, a frutteto oltre a vigneti ed aranceti a perdita d’occhio. Una regione intera con villaggi, laghi e castelli e con degli allevamenti di bestiame che potevano pascolare per tutto l’anno sempre e solo sulle terre di proprietà della famiglia. I Barracco si schierarono con Garibaldi dopo avere vissuto a lungo nell’orbita dei Borbone.
Numerosi nella famiglia furono i personaggi importanti: deputati, senatori, vescovi, studiosi.
Un suo antenato Giovanni è il primo grande mecenate della famiglia; appassionato di archeologia raccoglie negli anni una grande collezione di reperti delle civiltà orientali, egizi, sumeri, assiri e babilonesi, ed alla fine dona tutto alla città di Roma incluso il palazzo dove abitava e ciò costituisce oggi il museo Barracco situato vicino a Piazza Navona.
Maurizio vive a Posillipo a Villa Emma, detta Villa delle Cannonate perché fu scambiata per un fortilizio nemico dalle navi spagnole che cannoneggiavano la città. La dimora settecentesca, confina con Villa Rosbery, residenza napoletana del Presidente della Repubblica ed è arroccata a picco sul mare di fronte all’isola di Capri, isolata dalla città da un immenso parco di pini, oleandri, gigantesche piante di ibiscus in fiore e delicati esemplari di peonie rosse dal profumo tenue ed indimenticabile.
Al primo piano una serie di saloni con centinaia di quadri alle pareti, porcellane preziose e mobili d’epoca; al secondo piano le camere da letto.
Nella cornice di questa splendida villa nasce come evento mondano Napoli ’99 con una festa principesca che raccoglie i fuochi d’artificio dell’alta società ed i toni seri degli studiosi chiamati a raccolta per la nascita di una Fondazione che rappresenta un atto di amore per la splendida città del golfo e del Vesuvio, ridotta a pezzi dalle amministrazioni comunali e dallo sfruttamento di tutte le risorse umane e naturali.
«Erano secoli che non si vedeva tanta bella gente a Napoli» mormorano in coro gli esperti di mondanità. «Riviviamo i tempi favolosi in cui Capri agli inizi degli anni Sessanta era la regina incontrastata del jet set internazionale».
Quattrocento invitati partecipano alla grande festa che i Barracco danno nella loro stupenda villa di Posillipo con tutto il mare del golfo ai suoi piedi, per tenere a battesimo la neonata Fondazione.
Le più blasonate famiglie del nord quali i Cicogna, i Volpe di Misurata, i Valeri Manera si incontrano con le più famose di Napoli e del meridione, quali i Serra di Cassano, i Leonetti, i Del Balzo di Presenzano, i Pignatelli, i Capece Minutolo ed i Caracciolo. I grossi magnati dell’industria e della finanza quali i Bagnasco, i Nesi, i Romiti entrano a confronto col fior fiore degli intellettuali di tutta Europa da Jaques Le Goff a Ignacio Mattè Blanco, da George Vallet a Maurice Ajnard.
A ricevere ed intrattenere il fior fiore della «intellighenzia» straniera è presente una pattuglia comprendente tutti i più bei nomi della cultura italiana: da Giulio Carlo Argan a Salvatore Accardo, da Cesare Brandi a Domenico de Masi da Luigi Nono a Renzo Piano, da Roberto De Simone a Luigi Firpo, da Maurizio Scaparro a Vittorio Gregotti.
Tutti assieme ad ipotizzare degli scenari di risanamento per la realtà napoletana che in passato fu faro del pensiero umano da Gian Battista Vico a Benedetto Croce.
Misteriosamente la baronessa, instancabile, da alcuni anni si è fermata e la sua iniziativa, continuata dalle istituzioni, ha perso anno dopo anno smalto ed incisività.
Le sue benemerenze acquisite con ciò che ha fatto per Napoli la renderebbero in ogni caso degna di essere ricordata a lungo con affetto e gratitudine da tutti i napoletani; ma Mirella, ne siamo sicuri, nel pieno della maturità e delle forze riserva ancora chi sa quali sorprese per tutti noi.
Tutti i napoletani onesti e desiderosi di cambiare il destino della città, rompendo definitivamente col passato, sono rimasti rammaricati di questa sua decisione e sperano che in futuro ci siano dei ripensamenti, soprattutto oggi che, di fronte alla sfida nordista, Napoli deve dare fondo a tutte le sue energie per costruire un nuovo futuro memore dei fasti del passato.
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