giovedì 15 marzo 2012

Le battaglie di Aniello Falcone

9/1/2006



Un genere che incontrò larga affermazione nella pittura napoletana e lusinghiero successo tra i collezionisti fu la battaglia.
La nobiltà amava molto adornare le pareti dei propri saloni con scene raffiguranti singoli atti di eroismo o complessi combattimenti che esaltavano il patriottismo e l’abilità bellica, virtù nelle quali gli stessi nobili amavano identificarsi. 

A Napoli fu molto diffuso il sottile piacere della contemplazione della battaglia presso masochistici voyeurs, che prediligevano circondarsi, non di procaci nudi femminili dalle forme aggraziate ed accattivanti o di tranquilli paesaggi, né di severi ritratti o di languide nature morte, bensì di gente che si azzuffava a piedi o a cavallo, usando spade sguainate ed appuntiti pugnali, dando a destra e manca terribili fendenti in ariosi o fumosi, sereni o temporaleschi, pianeggianti o collinari scenari, ideali comunque per tali bisogne. 
Anche la Chiesa fu in prima fila nelle committenze, incaricando gli artisti di raffigurare gli spettacolari trionfi della Cristianità sugli infedeli, come la memorabile battaglia navale di Lepanto del 1571, che segnò una svolta storica con la grande vittoria sui mussulmani, divenendo ripetuto motivo iconografico pregno di valenza devozionale, replicato più volte per interessamento dell’ordine domenicano, legatissimo alla Madonna del Rosario, la quale seguiva benevolmente le vicende terrene dall’alto dei cieli. 
Altri temi cari alla Chiesa nell’ambito del genere furono ricavati dall’Antico e dal Nuovo Testamento, quali la Vittoria di Costantino a ponte Milvio(fig. 1) o il San Giacomo alla battaglia di Clavijo(fig. 2), argomenti trattati magistralmente e più volte dal Falcone che fu il più preclaro interprete dell’argomento. Sulle sue battaglie ha scritto pagine insuperate il Saxl nella sua celebre opera Battle scene without a hero, un’acuta ricerca che non ha trovato l’eguale nell’analisi di altri grandi battaglisti del Seicento quali Salvator Rosa e Jacques Courtois, detto il Borgognone. 


Nel Seicento le guerre erano purtroppo molto frequenti ed i pittori le potevano osservare da vicino, vedendo sfilare soldati di molti paesi con le loro uniformi e spesso lo stesso svolgersi degli scontri. Le battaglie dei pittori napoletani sono esaltate spesso da un cromatismo virile con una pennellata vivida e marcata, con dei rossi e degli azzurri molto forti, che danno la sensazione che si sia voluta ricalcare l’asprezza dei combattimenti e l’animosità dei contendenti. I combattimenti vengono rappresentati con grande accanimento, con le urla di dolore e di rabbia dei contendenti che sembrano travalicare dalla superficie della tela, per farci sentire il gemito dei feriti e dei moribondi. 
Mischie furiose con l’odio che sgorga dai volti corrucciati, cavalieri che si inseguono, bardati guerrieri in groppa a focosi destrieri, morti e feriti, bestemmie e gemiti e spesso anche le nuvole grigio scure e cariche di pioggia, che annunciano tempesta e sembrano partecipare dell’aria funesta che ovunque si respira. Scenari più pacati ci vengono proposti da pittori non specialisti che si cimentano sporadicamente nella battaglia, come il sommo Luca Giordano, il De Matteis e Giacomo del Po. 
Nella nostra città il genere muove i primi passi grazie a Belisario Corenzio, artista di origine greca, attivo fino al 1646, a lungo incontrastato ras negli appalti per le grandi imprese decorative. Numerosi suoi disegni, con finalità commemorative illustranti episodi guerreschi della vita di don Giovanni d’Austria, a partire dal 1580, si trovano in importanti musei e grandi collezioni private, quali il Metropolitan di New York e la Biblioteca Nazionale di Madrid, come anche nella collezione di Anthony Blunt ed in quella di John Witt, nel campo degli affreschi, invece, un ciclo molto significativo, eseguito sotto la sua direzione, si trova nella chiesa dei Ss.Severino e Sossio, con l’episodio centrale di Giosuè contro gli Amaleciti. I grandi protagonisti del genere furono Salvator Rosa ed Aniello Falcone, che ebbero la funzione di caposcuola con numerosi allievi tra i quali ricordiamo, citati dal De Dominici, Carlo Coppola, il più noto, Marzio Masturzo, Matteo di Guido e Giuseppe Trombadori. Alcuni di questi allievi a loro volta avevano la loro bottega con altri allievi, il che ha creato nell’ambito della conoscenza della pittura di battaglia a Napoli una grande confusione e la necessità di nuovi studi e approfondimenti per definire con certezza, nell’inestricabile groviglio di opere, le attribuzioni precise. 
Salvator Rosa nei suoi quadri di battaglia dà libero sfogo al suo irrefrenabile istinto per il pittoresco, imprimendo alle sue composizioni un respiro ampio con un anelito ad idealizzare i combattimenti che, ambientati in un lussureggiante paesaggio con sullo sfondo ruderi di templi e severi edifici, trasmettono allo spettatore una viva emozione, oltre alla meditazione sugli oscuri motivi che scatenano i più bassi istinti dell’uomo. Esemplari di tale stile sono la celeberrima Battaglia del Louvre, posta di fronte alla Gioconda e la meno nota, ma non meno potente, Battaglia della Art Gallery di Auckland(fig. 3). Le sue battaglie furono giustamente definite dai suoi contemporanei ideali o eroiche ed impressero al genere uno sviluppo antitetico all’indirizzo realistico perseguito dal Borgognone. 


Il Rosa nelle sue affollate composizioni seppe amalgamare magistralmente i vari elementi con contrapposizioni cromatiche, facendo emergere e risaltare i dettagli di maggiore presa emotiva sullo spettatore. Il Falcone, viceversa, rappresentava un combattimento senza eroi, un dogma perseguito dalla maggior parte dei suoi allievi, con l’attacco che si svolge in primo piano con cavalieri dagli elmi piumati in sella a rampanti destrieri e sullo sfondo un susseguirsi di una miriade di episodi minori, il tutto con una partecipazione corale all’evento, senza che in nessuna parte del dipinto ci sia una scena prevalente. 
Aniello, il cui pomposo epiteto di Oracolo delle battaglie fu coniato dal Giordano, è poco noto per i suoi quadri non combattivi..., non solo agli appassionati, ma anche agli stessi critici, che per anni hanno ristretto la loro attenzione a questo genere da lui portato a grande successo, con una bottega dove esercitavano i più affermati specialisti del settore. 
Il suo principale committente fu Gaspare Roomer, che gli ordinò numerosissimi dipinti, ispirati all’Antico Testamento ed alla Gerusalemme Liberata, molti dei quali esportati in Fiandra. Anche altre famose famiglie nobili napoletane furono affezionate collezioniste delle sue opere, come i Caracciolo, i Firrao e gli Spinelli di Tarsia, che giunsero a possedere nelle loro quadrerie decine dei suoi dipinti. 
La sua fertile produzione è stata solo in parte recuperata e della stessa la critica non riesce con precisione a definire la cronologia, essendo poche le tele firmate, partendo dalla Battaglia del Louvre (fig. 4) del 1631, che ci mette però in mostra un artista già maturo, fino all’affresco dello scontro tra Israeliti ed Amaleciti, realizzato nella villa già Roomer di Barra. E’ la produzione giovanile quella che ancora ci sfugge, ad eccezione di pochi esempi, tra cui sono da segnalare Scontro fra armati con due cavalli caduti, conservata a Salisbury nella collezione Wilton House e la Battaglia degli Albigesi, di collezione privata fiorentina (fig. 5)in cui in uno scontro tra turchi e cristiani, con sullo sfondo la Certosa di San Martino e Castel Sant’Elmo, compare un santo, che non è San Gennaro e che alcuni critici hanno identificato con San Giovanni di Dio. La sua concezione della battaglia senza eroi, in cui la mischia è la vera signora della scena, fu accolta unanimemente dagli specialisti napoletani, che proseguirono questa impostazione fino al pieno Settecento. 


Una figura di battaglista, la cui opera in passato è stata confusa con quella di Aniello Falcone e che si sta ora delineando con precisione, è quella di Andrea Di Lione, una personalità alla cui rivalutazione lavora alacremente da anni con pazienti ricerche archivistiche una giovane studiosa napoletana, la dottoressa Notari, alla quale spetta il merito di aver ristabilito con certezza, grazie al reperimento di un documento notarile, la data di morte del Falcone.

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