lunedì 19 marzo 2012

Domenico Gargiulo, il “Maggiore tra i minori”

18/6/2007


Domenico Gargiulo, detto Spadaro dal mestiere del padre, che fabbricava spade, è senza dubbio l’allievo più importante del Falcone nella cui bottega entrò nel 1628.
Molto apprezzato in vita e molto richiesto per i suoi quadri di cavalletto, di recente grazie alla monografia ed alla mostra dedicatagli dalla Daprà, l’artista ha goduto di un rinnovato interesse per la sua multiforme attività e per la posizione che ebbe la sua produzione sul panorama figurativo dell’epoca. In alcuni filoni iconografici infatti, quali le scene di martirio, le favole narrate in figure terzine nei palcoscenici inventati dal Codazzi, nei quadri di storia e cronaca cittadina e principalmente nella pittura di paesaggio è da considerarsi, oltre che un innovatore, un vero e proprio caposcuola, la cui opera troverà epigoni ed imitatori ben oltre il secolo XVII.


Egli amava ritrarre  i tumultuosi avvenimenti della Napoli vicereale: eruzioni, epidemie e rivolte, indagati con occhio attento al più piccolo dettaglio ed alle stesse fisionomie dei protagonisti, inoltre paesaggi intricati e misteriosi rappresentati con rara maestria, angoli suggestivi di rocce, marine brulicanti di barche e pescatori.
Dall’attento studio delle stampe del Callot e di Stefano della Bella, che circolavano nell’ambiente falconiano, prese ispirazione per le sue caratteristiche figurine allungate con la testa piccola e per il modo di assemblare i personaggi nelle composizioni più affollate.
Seppur da collocare tra i minori in un secolo ricco di superstar, bisogna almeno concedergli il privilegio di essere considerato il “Maggiore dei minori”.


La presenza al suo fianco nella bottega del Falcone del giovane Salvator Rosa lo incoraggiò a dipingere i suoi primi paesaggi e le sue prime vedute. Egli inoltre entrò in contatto con la pittura fiamminga ed olandese, che poté conoscere sia a Napoli nelle grandi collezioni private, oppure in un ipotetico viaggio a Roma non documentato. Prende ispirazione dalla cerchia dei Bamboccianti: Cerquozzi, Sweerts e Miel, come certa è la sua conoscenza di Lorrain, Dughet e del giovane Poussin.
Da quest’amalgama nasce il Gargiulo paesaggista, tra i massimi del secolo, con un’attività durata quasi quarant’anni e quindi attraversando tutte le correnti pittoriche dell’epoca dal naturalismo al pittoricismo.


Dal 1635 al 1647 il Gargiulo collaborò col Codazzi, bergamasco, specialista in architetture fantastiche, che il nostro pittore animerà con figurine vivacissime. Un sodalizio durato quasi quindici anni, cementato da una fraterna amicizia, che riscosse un enorme successo tra una folta clientela di collezionisti privati ansiosi di abbellire le proprie dimore con quadri di piccolo formato dei due pittori.
Nel quinto decennio un vicendevole scambio culturale si ebbe tra il Gargiulo e lo Schonfeld, un pittore tedesco che soggiornò a Napoli per oltre dieci anni, specializzato in soggetti biblici e scene di martirio.
Un lungo rapporto di lavoro è documentato tra lo Spadaro ed i frati della certosa di San Martino: nel 1638 affresca il coro con Scene bibliche e Storie dei Certosini su finti arazzi, in seguito, dal 1642 al 1647, è incaricato di affrescare il Quarto del Priore con una serie di paesaggi in cui si nota l’influsso della pittura nordica. Il Gargiulo continuerà ad avere un rapporto preferenziale con i monaci della certosa, ove troverà rifugio e salvezza durante la terribile peste del 1656, che decimò la popolazione napoletana e spazzò via un’intera generazione di pittori.


Al termine del calamitoso morbo volle rappresentare lo scampato pericolo in un gigantesco ex voto Rendimento di grazia, ricco di sessantotto personaggi tutti rappresentati con precisione fisionomica, dal cardinale Filomarino allo stesso pittore, che ci fornisce in questa tela il suo unico autoritratto, ai monaci dai volti rubizzi e  giocondi e dallo sguardo stralunato.
Fece parte anche lui, nel 1635, come altri artisti della cerchia falconiana, della grande commissione per abbellire il palazzo del Buen Retiro di Filippo IV a Madrid, ove lasciò più di un dipinto e numerosi disegni, con soggetti di storia dell’antica Roma, oggi conservati al Prado.
Nelle pale d’altare a figure grandi il Gargiulo non si espresse a grossi livelli e nelle poche con certezza attribuitegli dalla critica quali l’Ultima cena del 1641 nella chiesa della Sapienza e la Madonna con Bambino e Santi per Donnaromita è da considerarsi semplicemente un minore stanzionesco.


Ben altra qualità il Gargiulo raggiunge nei quadri di storia e cronaca napoletana, popolati da santi, eroi e gente della plebe, prelevati dalla coloratissima realtà dei vicoli napoletani. Tra questi ricordiamo la Rivolta di Masaniello, Piazza Mercatello durante la peste del 1656, l’Eruzione del Vesuvio, il Largo di Mercato e tanti altri quasi tutti conservati nel museo di San Martino. In tutte queste tele il pittore ebbe modo di manifestare le sue doti di brillante illustratore della vita cittadina ed una partecipazione sentimentale ai destini di Napoli e dei napoletani; il tutto attraverso un uso raffinatissimo e personale di macchie cromatiche, dal denso impasto con una pennellata libera, grassa, estrosa, efficace nel descrivere i tempestosi sentimenti dell’animo umano e lo scorrere ineluttabile degli avvenimenti.
Scampato alla peste il Gargiulo lasciò la certosa ed il De Dominici racconta che frequentò la bottega di Aniello Mele, commerciante di quadri, dove ebbe modo di frequentare Andrea Vaccaro, Giovan Battista Ruoppolo e soprattutto Luca Giordano da cui trasse alcuni elementi neo veneti, che gli fecero ingentilire la sua pittura, che acquistò colori più luminosi e caldi. Le opere dell’ultimo periodo identificate dalla critica non sono numerose come nei primi anni della sua attività, tra queste la più famosa è la Circoncisione della collezione Molinari Pradelli.


Egli proseguì la sua attività fino agli ultimi anni della sua vita come è testimoniato da una polizza di pagamento del 1670, reperita nell’archivio del Banco di Napoli, in cui il pittore riceve trenta ducati per un quadro raffigurante San Gennaro, di palmi 4x5, forse quello oggi in collezione della Ragione a Napoli.
Alla fine della trattazione sulla vita e sulle opere di Domenico Gargiulo bisognerà cominciare a correggere la sua data di morte, tradizionalmente ritenuta il 1675, da una lettera informativa sullo stato delle arti a Napoli fatta conoscere dal Ceci, che Pietro Andreini inviò al cardinale Leopoldo De Medici, in cui dichiarava che” Micco Spadaro, pittore di figurine e paesi, morì che sono tre anni”. Il Ceci riteneva che tale nota fosse stata inviata nel 1678, ma grazie alle ricerche del Ruotolo (1982) si è identificata la data esatta nel 20 settembre 1675, per cui l’anno della morte deve retrocedere al 1672.
Discepoli ed imitatori il Gargiulo ne ebbe tanti, a giudicare anche dall’enorme numero di quadri che continuamente ed erroneamente gli vengono attribuiti.


Il De Dominici nell’affermare che”lo Spadaro ebbe molti discepoli” si sofferma su quelli ritenuti da lui più significativi: Ignazio Oliva che “imitò il maestro nel fare paesi e marine”, il “superbo” Francesco Salernitano, che “attese alle figure grandi”, Giuseppe Piscopo che dalla bottega di Aniello Falcone era passato a quella di Domenico dedicandosi”alle figure piccole, insino alla misura di circa un palmo” essendo negato per quelle più grandi(di lui il De Dominici non citò alcun dipinto in particolare, affermando invece che piccole “Istoriette e belle tavolette” di Piscopo si potevano trovare in collezioni private); nel cappellone sinistro della chiesa dei Girolamini c’è un dipinto a lui attribuito, datato al 1647, che raffigura i Santi martiri Felice, Cosma Alepanto e compagni. Sembra comunque che l’artista fosse soprattutto pittore di piccole battaglie come le due dipinte nel 1649 per la collezione di Antonio Ruffo a Messina e di soggetti vetero testamentari come il Tobia e l’angelo e la Rebecca al pozzo ricordati nel 1725 nell’inventario della collezione di Francesco Gambacorta duca di Limatola. Ed infine Pietro Pesce, “che ne conseguì tutti i generi e modi” e del quale la critica ha identificato alcune sue opere firmate, di recente passate ad un’asta Finarte a Napoli, di ambientazione notturna, come ne erano presenti altre nella raccolta del principe Ettore Capecelatro identificate in un inventario da Labrot.

Foto di Dante Caporali

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