22/2/2009
L’antica farsa del potere
Il denaro è l’indiscusso motore della storia, più della guerra o dell’amore, scatena le guerre, affama i popoli, condiziona la vita dell’uomo, creando rigide barriere economiche ed assurde divisioni in classi sociali.
I soldi rappresentano la droga più potente della quale quasi tutti sono succubi, affezionati come siamo a quei simpatici pezzi di carta, sporchi e stropicciati. Li desideriamo ardentemente, li conserviamo come reliquie nel portafoglio, per averli siamo anche disposti a lavorare come matti per tutta la vita, per averne di più siamo pronti a tradire un amico, a scavalcare un debole, ad ingannare un avversario.
Crediamo ciecamente che con il loro possesso si possa comperare tutto ciò che si desidera: oltre a vestiti, auto, cibo ed oggetti lussuosi anche il favore degli altri, l’onestà delle donne, la giustizia degli uomini, la coscienza del prossimo.
Questa schiavitù, sconfinante nell’idolatria, dell’uomo verso il denaro infonde un potere smisurato a chi lo detiene e lo amministra: le banche ed i banchieri, custodi del tempio della ricchezza, hanno sempre comandato più dei politici, costretti semplicemente ad eseguire le loro volontà, semplici notai di decisioni prese nelle ovattate ed irraggiungibili stanze dei vertici finanziari internazionali.
Questa realtà è ubiquitaria e costituisce un mondo ben distinto dai governi, una monade laica, internazionale, poliglotta, spesso collegata a poteri paralleli come la massoneria.
In occasione della attuale crisi finanziaria tutti gli Stati sono accorsi immediatamente al loro capezzale prendendo provvedimenti senza badare all’enormità delle somme impiegate e senza alcuna sicurezza di ottenere un risultato positivo.
Tutto il mondo della produzione e del consumo è in coma, dall’industria automobilistica all’elettronica, dal turismo all’edilizia, dalla grande distribuzione ai piccoli negozietti a gestione familiare, non considerando i singoli cittadini che vedono compromesso non solo il futuro ma anche il presente; nonostante questa situazione drammatica, solo per il salvataggio delle banche i governi all’unisono sono intervenuti senza nemmeno preoccuparsi di scovare e punire in maniera esemplare i responsabili e disegnare un nuovo assetto legislativo, che possa evitare in futuro il ripetersi di tali catastrofi finanziarie.
Dopo la crisi del 1929 furono varate regole severe per impedire gli eccessi che avevano portato alla grande depressione, si adeguarono l’America di Roosevelt e l’Italia di Mussolini, che nazionalizzò l’Iri e separò il credito ordinario da quello a lungo termine.
Oggi è molto difficile delineare un quadro in grado di tenere sotto controllo la finanza internazionale dopo il boom dei derivati, dei futures, la completa liberalizzazione dei movimenti dei capitali e l’ipertrofia dell’indebitamento, che ha prodotto la paurosa voragine di titoli tossici dentro i bilanci delle banche.
Alla base di questo disastro economico vi è il grave malessere di una società egoista ed edonista, malata di consumismo che vuole tutto subito e che per decenni, con la chimera di guadagni esorbitanti, ha attirato i migliori talenti, distogliendoli da altri impegni più produttivi per l’umanità come ideare nuovi farmaci o predisporre validi rimedi all’incombente cambiamento climatico.
In Italia i monarchi della finanza hanno sempre goduto di un prestigio smisurato, anche se non esibito e di una sorta di extra territorialità, basta ricordare Giuseppe Toeplitz, il quale costringeva in anticamera a lunghe attese il Duce senza che Mussolini osasse rimuoverlo o, in tempi più recenti, Raffaele Mattioli, mentre infuriava la guerra fredda, intrattenersi piacevolmente con Togliatti e restituirgli i Quaderni di Gramsci, da lui salvati rocambolescamente durante gli anni del fascismo.
Riccardo Cuccia passò indenne rivolgimenti interni ed internazionali, guardando sempre con sufficienza i capo tribù di piazza del Gesù e le loro beghe di correnti, il potere bancario fu ispiratore poi del terremoto giudiziario di Mani pulite e rappresentò il sogno proibito dei post comunisti, che brigarono senza ritegno per possedere finalmente un istituto di credito tutto loro, ripetendo inconsciamente un copione che rimane invariato da secoli e costituisce l’antica farsa del potere.
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