8/3/2010
La bufera sulla vexata questio delle intercettazioni non tende a placarsi e non si riesce a trovare un pacato equilibrio tra le inderogabili esigenze della magistratura di colpire la criminalità e l’eccesso nell’utilizzazione di uno strumento di indagine, che la moderna tecnologia permette di adoperare in maniera invasiva ed offensiva della privacy dei cittadini.
In Italia si spende ogni anno un miliardo di euro per intercettazioni telefoniche, la cifra più alta in Europa e, secondo le dichiarazioni del ministro della Giustizia in Parlamento: “è probabilmente intercettata una grandissima parte del nostro paese”.
I cittadini onesti, la maggioranza della popolazione, sono contenti naturalmente che i delinquenti vengano inchiodati alle loro responsabilità ed i latitanti catturati (da mesi si susseguono incessantemente trionfali bollettini da parte delle forze dell’ordine, grazie unicamente alle intercettazioni telefoniche ed ambientali), ma è turbata dalla possibilità che anche piccole marachelle, dalle corna all’assenteismo, dalla raccomandazione per l’esame del figlio o per un posto di lavoro, possano costituire filone per un’indagine o possano divenire, attraverso i mass media, di pubblico dominio.
Un pericolo tanto più reale da quando le procure, impossibilitate a provvedere in prima persona attraverso gli organi di polizia giudiziaria ed i carabinieri a svolgerle in prima persona, hanno delegato gran parte del lavoro ad agenzie esterne, al di fuori di gare e concorsi, che non sempre si sono dimostrate affidabili e che possono facilmente essere manipolate da servizi segreti, più o meno deviati, o da poteri occulti, più o meno forti.
Il grande orecchio sta divenendo, attraverso la lettura degli sterminati faldoni delle intercettazioni, consultabili dopo il deposito degli atti (invece di rimanere rigorosamente coperti da segreto) un vero e proprio genere letterario, nel quale si rispecchia un’Italia cialtrona e dedita all’imbroglio ed alla corruzione, mentre il telefonino, in un paese falsamente cattolico, è divenuto una sorta di confessionale, una propaggine dell’io, una forma insostituibile di dipendenza, in grado di fornire un’ebbrezza più di una droga o della pratica di un sesso divenuto sempre più verbale che reale.
Spulciare queste centinaia di migliaia di pagine ci permette di constatare un linguaggio volgare e sgrammaticato fatto di non più di 200- 300, parole tra le quali troneggiano trionfanti ad ogni rigo: cazzo, fica, culo, un intercalare incessante e sorprende come i nuovi furbetti del quartierino siano audaci e sfrontati nel raccontarsi le loro magagne, pur sapendo di essere quasi certamente ascoltati.
Una nuova smisurata tangentopoli che rischia di strangolare la democrazia, ma la situazione è diversa, prima si rubava per fare politica, oggi si fa politica per rubare.
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