venerdì 30 marzo 2012

I cicli decorativi ad affresco di Agostino Beltrano

20/11/2009

Nel corso del V decennio del secolo Beltrano esegue numerosi cicli decorativi ad affresco a dimostrazione di una notevole abilità nel settore.
Il più conosciuto viene realizzato tra il 1644 ed il 1645 nella cappella dedicata all’Immacolata Concezione, la seconda a sinistra entrando nella chiesa di S. Maria degli Angeli a Pizzofalcone. Sull’altare maggiore si trova la pala eponima eseguita da Massimo Stanzione, citata in tutte le antiche guide della città, mentre raramente vengono citati gli affreschi che decorano la cappella; il De Dominici riteneva che la tela fosse rimasta incompiuta per la morte dell’artista, opinione risultata erronea dopo un restauro eseguito tra il 1957 ed il 1960. 
Il biografo attribuiva correttamente gli affreschi al Beltrano, ma li collocava cronologicamente dopo il 1659, al ritorno del pittore dalla Francia, esilio dovuto al presunto uxoricidio della moglie Diana De Rosa, più nota come Annella di Massimo.
Quattro pagamenti, datati tra il 15 novembre 1644 ed il 6 aprile dell’anno successivo, per un totale di 400 ducati, hanno definitivamente chiarito il periodo di esecuzione, che in precedenza anche la Novelli Radice aveva ipotizzato dopo il 1656. 
Nell’indradosso sono raffigurati in cornici rettangolari di legno dorato l’Annuncio a S. Gioacchino(fig. 1) e l’Annunciazione a S. Anna(fig. 2), mentre al centro in formato ottagonale è rappresentato l’Eterno Padre.


Della prima scena sono presenti in collezioni private alcune derivazioni, la prima(fig. 3), presentata alla mostra su Micco Spadaro tenutasi a Napoli nel 2002, ritenuta dalla Ambrosio il bozzetto preparatorio per l’affresco, ma più probabilmente dipinto autonomo, nel quale le figure si stagliano con gesti teatrali, mentre una luce calda illumina il paesaggio sullo sfondo con sottili gradazioni di toni dal dorato al marrone; una seconda(fig. 4), reperita nell’archivio Zeri, presenta alcune varianti, dalla posizione dell’angelo ad una cascata sullo sfondo.


Ritornando all’affresco possiamo notare un imprinting stanzionesco nell’impaginazione della composizione, mentre nell’Annunciazione a S. Anna l’Ambrosio ha sottolineato una somiglianza con la figura di S. Francesco di Paola presente nella cupola della chiesa di Donnaregina Nuova realizzata nel 1655.
Anche per la figura dell’Eterno Padre è stato operato un confronto dalla studiosa verso l’affresco raffigurante l’Incoronazione della Vergine posto nella volta della seconda cappella destra in S. Maria la Nova, il quale, nell’esecuzione, rispetta in pieno i canoni stanzioneschi e si rifà alla tela di identico soggetto che il divino cavaliere eseguì nel 1647 per il soffitto della navata della chiesa napoletana di Regina Coeli.
Il Beltrano realizzò anche l’affresco di tutta la volta della campata corrispondente alla cappella dell’Immacolata, ricevendo un pagamento finale di cento ducati il 6 aprile 1645.
Nella cupola sono rappresentate quattro scene ispirate al Vecchio Testamento, in particolare al secondo libro dei Re(18,13) dove si narra dell’invasione di Sennacherib. Gli affreschi, uno dei quali è illeggibile, sono accolti da cornici di forma trapezoidale e raffigurano l’Assedio di Gerusalemme(fig. 5), il Pagamento del tributo a Sennacherib(fig. 6) e lo Sterminio degli Assiri(fig. 7).



Nel primo episodio appare evidente l’ispirazione ad Aniello Falcone, un influsso che durò a lungo nella carriera dell’artista, anche quando, cominciata una collaborazione con Stanzione, il pittore addolcì la sua maniera. La battaglia viene ripresa per scansioni parallele con in primo piano le groppe poderose di alcuni destrieri e lo immancabile soldato caduto a terra nella mischia, un’immagine di grande eloquenza che raggiunge l’acme nel secondo episodio, nel quale è rappresentato lo Sterminio degli Assiri.
Negli altri due episodi è evidente, come segnalato dalla Ambrosio, un riferimento ai modi del classicismo bolognese di derivazione romana, che, a partire dal terzo decennio, influenzò l’ambiente artistico napoletano. Compaiono inoltre alcune figure che rappresentano una sorta di firma nascosta del Beltrano come il fantolino a braccia distese presente nel Pagamento del tributo, che compare identico nel Miracolo di S. Alessandro(fig. 8), dipinto nel 1640 o nel 1646 e nel Martirio di S. Apollonia(fig. 9) in collezione Calbi a Napoli.


Nei pennacchi della cupola, incorniciati in eleganti decorazioni di stucco dorato compaiono quattro figure di profeti, che secondo l’interpretazione che ne faceva la Novelli Radice rappresentano personaggi biblici legati all’episodio dell’invasione da parte di Sennacherib: Ezechia, sua moglie , il profeta Isaia ed Erodoto che tramandò la vicenda. I personaggi alla luce di una più attenta lettura raffigurano invece il profeta Davide(fig. 10), il profeta Ben Sira(fig. 11), figlio di Sira ed il profeta Geremia(fig. 12). Questi personaggi si inseriscono dinamicamente nello spazio limitato a loro disposizione, a dimostrazione che il Beltrano ha ben appreso la lezione del Lanfranco, conosciuto nel 1635 al tempo dei lavori nella Cattedrale di Pozzuoli protrattisi molti anni. Egli con grande abilità fa compiere alle figure torsioni del busto e rotazioni nelle gambe, oltre ad utilizzare con sapienza i vivaci contrasti chiaroscurali.



Evidenti somiglianze possono apprezzarsi tra la figura del Davide ed il San Procolo raffigurato nel Martirio dei Ss. Procolo, Filippo e Gennaro(fig. 13), documentato al 1634 – 35 ed il S. Alessandro del già citato Miracolo di S. Alessandro(fig. 8).
I peducci rammentano”la qualità espressiva, formale e pittorica delle figure dei dodici apostoli  nelle semilunette nella Certosa di San Martino, eseguite dal Lanfranco tra il 1638 ed il 1639, per la loro concezione monumentale, il modellato scultoreo e la stesura pittorica libera”(Barisani).
Prima di questi affreschi Beltrano aveva certamente collaborato con Massimo Stanzione, il quale gli gira uno dei pagamenti ottenuti per i suoi affreschi nel soffitto di San Paolo Maggiore, purtroppo oggi parzialmente visibili perché gravemente danneggiati durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale e dei quali proponiamo una foto precedente la devastazione (fig. 14), secondo Willette, probabilmente al Beltrano venne affidato il compito di trarre bozzetti ad olio dai disegni delle singole scene fatti da Stanzione, in particolare rivelano la mano del Nostro la Lapidazione di San Paolo a  Lystra(fig. 15), transitata presso Finarte a Roma nel 1989 ed oggi in collezione privata milanese. 





Negli ultimi mesi del 1645 Beltrano è impegnato a dipingere ad affresco scene della vita di San Nicola nella cappella eponima, la IV entrando a sinistra, della chiesa della Pietà dei Turchini, come attestano due pagamenti, uno del 15 settembre e l’altro del 22 novembre del 1645. Nel primo vengono corrisposti al pittore 10 ducati”a compimento di D.ti 40, atteso l’altri D.ti 30 l’ha ricevuti in più volte de contanti in conto del prezzo di quadri dieci tra grandi e piccoli che ha da fare… quali quadri hanno da essere a fresco de tutta bontà et perfectione de che se n’abbia da stare a iuditio del padre Alessandro Falcone della Compagnia di Gesù”; nel secondo si attesta il pagamento di dieci ducati”per conto di D. 100 per il prezzo della pittura che fa nella cappella del glorioso S. Nicola di Bari”.
Il Galante, trascurando le notizie del De Dominici, il quale riferiva che su di un pilastro della cappella era segnato l’anno 1646, assegnava erroneamente il ciclo al Balducci.
Il Beltrano ottenne la commissione, a parte i suoi meriti, anche perché nella chiesa avevano lavorato alcuni suoi familiari, dal suocero Filippo Vitale, autore del celebre Angelo custode, a sua moglie Diana De Rosa, alla quale la critica ha restituito unanimemente le due tele oggi poste ai lati dell’altar maggiore: Nascita e Morte della Vergine(fig. 16 - 17), le quali, dopo un recente restauro, appaiono nel fulgore dei colori originali; senza trascurare l’autorità del cugino Andrea Vaccaro, che a breve sarebbe entrato tra i governatori del Conservatorio della Pietà dei Turchini.


Gli affreschi originariamente erano dieci e rappresentavano episodi della vita di San Nicola. Sono stati realizzati sfruttando abilmente lo spazio ridotto delle pareti e della volta e, per quanto molto rovinati, mostrano il ricordo di una vivace ricchezza cromatica ed una piena adesione alle soluzioni prescelte da Stanzione nei suoi cicli decorativi eseguiti nel corso degli anni Quaranta.
Le scene visibili oggi raffigurano in alto San Nicola in gloria tra gli angeli, a destra San Nicola dispensa la comunione(fig. 18), a destra in alto Gesù dispensa la comunione al Santo, alla parete di sinistra in basso, Contemplazione dell’urna con i resti del santo(fig. 19 – 20), in alto, San Nicola guarisce uno storpio(fig. 21).
Ogni rappresentazione è definita da cornici di stucco.




La decorazione attuale risulta dimezzata rispetto a quella originaria ed è formata da due tondi, da un ovale centrale nella volta e da due scene della vita di San Nicola sulle pareti laterali.
Dell’immagine sull’altare, che al tempo del Galante ancora esisteva, è rimasta solo la cornice, mentre la posizione degli affreschi laterali, al centro delle pareti, deve essere quella primitiva. L’ovale centrale della volta rappresentante la Gloria di San Nicola,  è completamente illeggibile, solcato da una spaccatura intonacata che taglia in due, per lungo, la figura trionfante, un angioletto sulla sinistra e uno sulla destra conservano ancora qualche rilievo pittorico e sono tutto quel che resta.
Nei due tondi sono rappresentati la Nascita di San Nicola, di cui si conserva la sinopia, e un Miracolo, completamente appiattito nella resa dei rilievi; sulle pareti laterali la Traslazione e prodigiosa manna del corpo di San Nicola, a sinistra e su quella destra, il Santo comunica ai fedeli, del quale abbiamo già accennato e che riveste particolare importanza perché, ad un attento esame ci permette una constatazione, stranamente fino ad ora sfuggita agli studiosi, un ultimo squarcio di luce su questo personaggio che lentamente sta riemergendo dalle tenebre ove per tanti anni è stato dimenticato: nell’episodio del San Nicola che comunica i fedeli evidentissima, sulla destra della composizione, si staglia la figura di un nobile personaggio nella classica posa dell’autoritratto (fig. 18 – 18 bis), il volto del pittore ancora giovane somigliantissimo alla sola sua immagine che conosciamo(Il Giannone nella tavola VI, fig. 24, della sua opera sui pittori napoletani ci fornisce l’unica fisionomia che possediamo dell’artista, senza rivelarci da dove l’abbia presa), che ci guarda beffardo da secoli senza che noi ce ne fossimo accorti.
Un attenta lettura di questo ciclo decorativo ci permette di evidenziare alcune caratteristiche dello stile del Beltrano, come ebbe già a sottolineare la Novelli Radice in un suo articolo, fondamentale per la conoscenza dell’artista.
Come negli affreschi nella chiesa di S. Maria degli angeli a Pizzofalcone anche in questi il pittore aderisce a quella forma di caravaggismo mitigato di estrazione romana che si affermò a Napoli nel quarto decennio, il cosidetto naturalismo a passo ridotto. Se passiamo poi ad esaminare le singole figure possiamo constatare come nell’uomo che regge il miracolato è presente una definizione marcata della clavicola identica a quella dell’apostolo posto alla sinistra di Gesù nell’Ultima cena(fig. 22), firmata e datata 1648 e già nella Cattedrale di Pozzuoli.


Nella Contemplazione dell’urna di San Nicola(fig. 19), il profilo del re genuflesso, porta immediatamente al profilo del santo alle spalle del San Gennaro di Pozzuoli, inoltre si nota una manifesta similitudine con l’Adorazione dei Magi della Gentileschi, per l’atteggiamento della figura del re che, dal lato opposto, è simile a quello del re, spagnolescamente inginocchiato, nella pala di Artemisia (fig. 23), eseguita per la Cattedrale di Pozzuoli.

Nella Comunione dei fedeli(fig. 18), ritroviamo ulteriori similitudini con il Martirio del Duomo di Pozzuoli, infatti la struttura dell’affresco risulta identica con le figure mezzane dei martiri in attesa della decollazione, che qui diventano i fedeli genuflessi in primo piano, mentre la folla, ravvicinata per lo spostamento della rappresentazione verso la superficie, è racchiusa dalle medesime colonne sullo sfondo. Al centro il San Nicola ritratto con icastica aderenza ad un modello reale. E sulla destra, lo ripetiamo l’autoritratto criptato del Beltrano(fig. 18 bis).

La caduta dei rilievi cromatici dà la possibilità di osservare questi lavori nell’essenzialità del disegno e di seguire alcune idee particolari, utili a determinare nuove fonti di apprendimento per l’opera del Beltrano.
Per il generale andamento disegnativo vengono in mente alcune soluzioni già in precedenza adottate da Belisario Corenzio, tanto che si potrebbe formulare l’ipotesi che il Nostro abbia potuto frequentare la bottega del maestro, prima di subire l’influenza dello Stanzione.
Dal riesame della situazione pittorica napoletana al vaglio dei più recenti studi, sappiamo che negli anni in cui il Beltrano si avviava a compiere i primi passi, lo Stanzione non si era ancora affermato nelle felici formule che travolsero l’andamento artistico napoletano, ed anzi era ancora egli stesso alla ricerca dei suoi definitivi connotati di stile, come dimostrano alcuni suoi lavori dei primi anni del Trenta, ancora permeati di naturalismo battistelliano.
Del resto, il numero stesso e l’importanza delle commissioni pubbliche che furono affidate a Corenzio, indica che le sue formule piene di brio, accreditate dalla sua straordinaria capacità compositiva e dalla vivace sensibilità cromatica, benché tenacemente tardo manieristiche, soddisfacevano ancora, a secolo inoltrato, buona parte del gusto corrente e per tanto è lecito figurarsi che egli avesse un foltissimo seguito.
Il suo patrimonio figurativo ben si prestava ad essere rivisitato con lo spirito dei neonaturalisti attivi a partire dagli anni Trenta. Agostino, al di là del suo discepolato, acclarato dai documenti, presso la bottega di Gaspare De Populo, avrebbe potuto seguire questo indirizzo, e questo è quanto lasciano pensare gli affreschi della Pietà dei Turchini, anche nel loro attuale modesto stato di conservazione.
Un altro ciclo di affreschi  viene citato dal De Dominici ” in S. Maria la Nova la volta della cappella del Beato Salvatore d’Orta è assai ben condotta con azioni del Santo assai ben espresse e con bella freschezza di colore, avendo nelle centinature dipinto due miracoli del medesimo e nel mezzo la B. Vergine coronata dalla SS Trinità”, che ritiene realizzata l’opera dopo il 1660. Notizia ripresa dal Galante, che parla di un’Immacolata e dal Rocco, che attribuiscono i lavori ad Aniello Beltrano o Beltrama, pittore mai nominato dalle fonti.
La critica, anche la più avvertita(cfr la scheda sul pittore a pag. 117 del catalogo di Civiltà del Seicento), ha ritenuto perdute queste decorazioni, tratta in errore dalle continue trasformazioni avvenute nel tempio, ma grazie alle puntigliose ricerche della Novelli Radice, rese difficili dalla quasi totale scomparsa dei documenti riguardanti la chiesa, si è potuto appurare che la seconda cappella a destra è proprio quella decorata dal Beltrano, confortati anche da quanto riferito nel coevo manoscritto del De Lellis, nel quale si legge che la seconda cappella era dedicata al Beato Salvatore.
Probabilmente il culto del santo fu trasferito in seguito in una cappella della crociera, da dove poi scomparve completamente durante un rifacimento settecentesco, confermato dalla presenza sulle pareti di dipinti eseguiti da Benedetto Torre: un Sogno di San Giuseppe ed una Sacra Famiglia, firmata e datata 1775. Il cambiamento fu probabilmente legato ad un cambio di proprietà, che portò alla rimozione dei “due miracoli nelle centinature” che non si confacevano alla nuova intitolazione della cappella alla Natività.
La decorazione discretamente conservata raffigura l’Incoronazione della Vergine(fig. 24 – 25) e prende chiaramente ispirazione dalla tela omonima(fig. 26) eseguita da Stanzione nel 1647 per il soffitto della chiesa di Regina Coeli.




Tra la tela di Stanzione, dipinta per una visione frontale e la decorazione del Beltrano vi sono sostanziali differenze, non tanto nell’iconografia, identica, quanto negli atteggiamenti assunti dai personaggi e nella luce, che nel lavoro del divino cavaliere, nel pieno dei suoi mezzi espressivi, proviene da sinistra ed investe frontalmente la Vergine ed il lato destro di Cristo, creando, con un sapiente uso del chiaroscuro, dolce e levigato, una naturale intimità tra il Figlio e la Madre, mentre nella trascrizione ad affresco, la scena, sacra e familiare al tempo stesso, si traduce in una visione barocca, anche se alcuni brani, tra cui la figura del Padre e del Figlio sono ripresi letteralmente, con le fisionomie che richiamano alcuni personaggi ritratti nella Pietà dei Turchini, in particolare il volto del San Nicola. I colori conservano l’abituale consistenza pesante come nei peducci della cappella dell’Immacolata nella chiesa di S. Maria degli angeli a Pizzofalcone.
Per la collocazione cronologica dell’affresco, più che il lavoro dello Stanzione, bisogna considerare la data apposta(1649) sotto due grosse tele, con identica iconografia, conservate nella chiesa di S. Maria del Popolo agli Incurabili. Di queste una(fig. 27 – 28), di maggiori dimensioni(340 – 235), firmata per esteso, dopo essere stata per decenni nella stanza del vice commissario degli Ospedali riuniti, è stata di recente restaurata e restituita all’antico splendore, mentre una seconda(fig. 30), più piccola, anche essa firmata e datata, giace in uno stato di conservazione miserevole.





Prima di accennare alla cupola della chiesa di Donnaregina Nuova bisogna considerare  un ciclo decorativo, certamente autografo, collocato nell’atrio del palazzo Maddaloni a Napoli, del quale la critica non si è ancora interessata, nonostante un cenno della sua esistenza lo si trovi già in una guida al Maggio dei monumenti pubblicata dal quotidiano  Il Mattino nel 1993, nella quale la Maietta, nel descrivere molto brevemente gli affreschi, li collocava nel periodo della maturità dell’artista.
Essi, perfettamente restaurati, rappresentano un’Allegoria della casa Carafa(fig. 31 – 32 – 33) e richiamano a viva voce l’autografia del Beltrano negli angeli, identici a quelli raffigurati in altri quadri del pittore e nelle lunghe trombe, sovrapponibili a quella con la quale viene avvertito dell’imminenza del Giudizio universale il San Girolamo(fig. B1), già nella chiesa di S. Agostino degli Scalzi, documentato al 1649, una data che si può proporre anche per questi affreschi.
L’ultima opera ad affresco del Beltrano è la grande cupola(fig. 034) della chiesa di Donnaregina  Nuova, una commissione di grande impegno, eseguita nel 1655, documentata da due pagamenti pubblicati dal Delfino, nei quali non è indicata la data di completamento dei lavori.
I peducci ricordati dal De Dominici(con gli Evangelisti) sono andati perduti, ma le decorazioni tra i pilastri ci sono giunte insieme a quelle della cupola.
Gli affreschi raffigurano il Paradiso; nei lunettoni laterali sono rappresentati sulla sinistra Cristo e la Maddalena e sulla destra San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista, mentre nella zona inferiore compaiono figure allegoriche.
L’artista si mostra orientato su soluzioni accademiche di derivazione stanzionesca, ma un giudizio più oculato potrà essere espresso soltanto quando un meticoloso studio fotografico ne prenderà in esame i particolari, alcuni dei quali, aiutati da un binocolo, sembrano di buona qualità.
La critica oramai è in grado di riconoscere alcuni suoi caratteri stilistici originali quali i disegni delle figure affusolate ed una cromia chiara con pochi toni di base, molto vicina allo stile tardo dello Stanzione, per cui  possiamo attenderci di identificarlo in altre decorazioni, che attendono ancora il nome dell’esecutore, sia a Napoli che in provincia.

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