"Canta Napoli" era l'irriverente quanto famoso grido di presentazione che Gegè Di Giacomo, l'indimenticabile, quanto impareggiabile batterista del complesso di Carosone, lanciava al pubblico.
Negli anni è diventato sinonimo della stessa musica di Carosone, che prendeva in giro la moda del momento con le sue ironiche canzoni quali "Stu fungo cinese", "Tu vuo' fa' l'americano", "O' russo e' a rossa", senza però trascurare nessuna delle caratteristiche fondamentali della canzone napoletana, quali il sentimentalismo, la carica umana, l'orecchiabilità. Si trattava di una presa in giro quasi sacrilega, ma impregnata sempre da un grande amore ed un profondo rispetto per la forza evocatrice di sentimenti insita nella canzone napoletana.
Renato Carosone nasce a Napoli nel 1920, a Vico Santa Maria Apparente, nel cuore antico della città. A 17 anni comincia la sua carriera artistica, scritturato dalla compagnia Russo di arte varia, (recitato, cantato, ballato) e sbarca in Africa orientale a Massau, ove rimane per nove anni, con la sola interruzione del periodo di leva militare.
Nel 1946 il rientro a Napoli ove nel 1949 nasce un trio destinato a grande successo: Gegè Di Giacomo alla batteria, Van Wood (il futuro astrologo olandese) alla chitarra e Renato al pianoforte.
L'esordio è allo "Shaker", il 27 settembre, il locale della gioventù dorata napoletana a cavallo degli anni '50 e '60.
In seguito la carriera di Carosone conoscerà mille momenti magici: dal duetto con Luis Armstrong al "Caprice" di Milano all'esordio con Benny Goodman alla Carnegie Hall di New York nel 1958.
Ed inoltre musica e canto assieme a Carmen Miranda, a Gene Kumpe e Genny Milligan.
Il grande merito di Carosone, per il quale è ritenuto unanimemente il padre del neapolitan power, è stato quello di far sposare la canzone napoletana con la musica americana. Un'accelerata di ritmo alla tastiera, invece della canonica strimpellata di mandolino.
Un'opportuna e ben dosata commistione di ritmi e suoni tra swing, jazz e musica tradizionale napoletana. Le nostre canzonette si sono dovute adattare ai ritmi frenetici del bolgie woogie, del fox trot e del mambo.
Carosone, nato artisticamente nei nights, in un periodo in cui imperava il jazz, ha sempre ritenuto che i napoletani abbiano un cordone ombelicale con l'America, che non può essere reciso e che ci porta a fare i conti con la musica che arriva da lì. Né può esserci una pedissequa imitazione delle note di oltre oceano, fare "l'americano" con le parole della sua famosa canzonetta, bensì è utile prendere in prestito il ritmo americano, un veicolo potentissimo di comunicazione ed unirlo al dialetto napoletano, che come l'inglese si presta benissimo, avendo tutte le desinenze tronche.
Dal 1949 al 1959, dieci anni di successi con canzoni famosissime da "Torero" a "Maruzzella" a "Caravan petrol", da "O saracino" a "Pigliate 'na pastiglia"; da "Ho giocato tre numeri al lotto" a "Mo vene Natale”.
Tutta la sua musica presenta come sottofondo degli strani rumori di vecchie ocarine, di trombe d'auto, di rivoltelle scacciacani e di barattoli vuoti di conserva.
Una felice vita coniugale con la moglie Italia, sposata nel 1938 a Massau, fino a che, all'improvviso, nel 1959 l'annuncio di ritirarsi per sempre dalla scena: "Ritengo superato il mio genere e voglio scendere dalla ribalta vivo, prima di cominciare ad annoiare" dichiarò Renato in televisione, davanti alle telecamere di "Serata di Gala" il 7 settembre del 1960. Ma pare che all'origine del ritiro ci fosse un voto da rispettare, che, Carosone, religiosissimo, aveva fatto alla Madonna.
Quindici anni di assenza dal palcoscenico, impiegati anche a rinnovarsi ed a studiare e poi davanti alle pressanti insistenze di Sergio Bernardini, "patron" di Bussola domani, il quale, firmò ed offrì al cantante un assegno in bianco, la decisione di ritornare sulla scena con un concerto che si rivelò un vero successo.
Carosone, dopo tanti anni di inattività, si trovò nelle condizioni di chi, dopo aver smesso di fumare da tanto tempo, accetta una sigaretta e dopo averla fumata si accorge di non poter fare a meno di riprendere il vizio. E così Renato prepara il suo ritorno sulla scena; attraverso una trasformazione del suo look, perché non ama operazioni nostalgia in stile Amarcord e non vuole riproporre soltanto le sue vecchie canzoni. Per cui, affianco ad un repertorio, che, a dispetto dei tempi e delle mode è sempre gradito e suscita commozioni ed ammirazione anche tra i giovanissimi; Carosone trasferisce dalla canzone al pianoforte l'umorismo dei suoi vecchi successi ed inoltre prende pezzi classici come quelli di Schubert, Bach, Beethoven, Paganini e Rossini e li arrangia alla sua maniera, con uno stile più stravagante forse, ma più divertente.
Da una band numerosa, affiatata e scatenata Carosone diventa soltanto un pianoforte, una chitarra e la sua voce, ma si accorge che così riesce ad esprimersi più liberamente ed al pubblico di oggi piace così. Renato ci confessa che la sua scelta è dettata anche da motivi contingenti, perché oggi non è facile trovare professionisti seri, disposti al sacrificio e che non rincorrano soltanto grossi compensi. Tutti vogliono guadagnare tanto ed al primo raffreddore non rispettano gli impegni e ciò oggi avviene in tutti i campi e non è soltanto una cattiva abitudine dei musicisti o degli artisti in generale.
Ogni tanto Carosone interrompe per anni la sua attività artistica, per ritirarsi e meditare e a studiare nuova musica e poi all'improvviso un nuovo ritorno, accolto sempre da un grande successo di pubblico, come a Gaeta nel 1988. Ma l'esordio più clamoroso è quello al Festival di Sanremo del 1989, che vede debuttante un arzillo ed intramontabile Carosone, il quale, a 66 anni, porta ad un grande successo di pubblico "Na canzuncella doce doce" firmata da Claudio Mattone.
Sorprende che proprio Carosone, che aveva parodiato l'italica kermesse per eccellenza con la sua riproposta di "E la barca tornò sola", acconsente con spirito giovanile, di partecipare alla manifestazione per rinnovarsi, senza accettare l'invito ad intervenire come ospite d'onore, ma accettando il gioco al massacro dei voti e delle giurie. Il solo scopo è quello di poter cantare una melodia in cui crede, una canzone tenera senza tempo, difficile da definire in cui c'è un pianoforte come quello che Renato si porta sempre appresso e senza il quale non sa proprio vivere.
Alcuni anni fa, in occasione di uno dei tanti ritorni di Carosone alla scena, nella piazzetta di Capri, ebbi modo dopo lo spettacolo di cenare con Renato ed alcuni amici comuni da "Gemma" e fu l'occasione per discorrere sull'avvenire della musica napoletana e sui nuovi interpreti del genere quali Pino Daniele, Eduardo Bennato e James Senese.
Carosone affermò senza ombra di dubbio che la canzone napoletana tornerà con certezza a vivere momenti di gloria, perché essa possiede una sua autonomia, un suo motore e prima o poi, tornerà prepotentemente a galla. L'interesse verso la nostra melodia è manifestato anche dai continui omaggi che le vengono resi da autori non partenopei, come Lucio Dalla, Paolo Conte o Anna Oxa.
Verso i cantanti della nuova generazione Carosone disse di apprezzarli molto, perché pur battendo un sentiero diverso dal suo, essi avevano avuto il coraggio di rompere con le tradizioni, pur senza oltraggiarle. Inoltre, a lui che fu maestro e fondatore del neapolitan power non dispiace che nella nostra canzone convivano senza problemi presente, passato e perfino il futuro.
Negli ultimi anni Carosone ha scoperto una nuova aspirazione artistica, che è diventata per lui più di un hobby: la pittura, a cui Renato dedica molte ore al giorno per preparare una grande mostra personale.
Che Renato ritenendosi superato come cantante abbia voluto riciclarsi come pittore? Non ci sarebbe da meravigliarsi conoscendo la versatilità e l'ansia di rinnovarsi del personaggio.
Nessun commento:
Posta un commento