11/3/2008
Dopo un lungo periodo di torpore negli studi sul Seicento napoletano, l’uscita quasi simultanea di tre libri sull’argomento ha vivacizzato il dibattito, che sembrava assopito sui tanti problemi del secolo d’oro ancora in attesa di essere approfonditi.
L’ingegner De Vito ha proposto il suo consueto volume di ricerche edito da Electa dedicato quest’anno alla memoria di un grande studioso: Oreste Ferrari fra i massimi esperti della pittura barocca italiana. Esso raccoglie saggi di Vincenzo Abbate, Arnauld Brejon de Lavergnée, Elio Catello, Maria Lucia Cavallo, Giuseppe De Vito, Loredana Lorizzo, Eduardo Nappi, Serenita Papaldo, Mario Alberto Pavone, Emilio Ricciardi, Pierre Rosenberg, Renato Ruotolo, Giuseppe Scavizzi, Erich Schleier, Nicola Spinosa e Federico Trastulli. Come sempre elegante la veste iconografica che alterna in gran numero foto a colori ed in bianco e nero. Un appuntamento da non perdere che prosegue meritoriamente dal 1982.
Il secondo volume, sempre edito da Electa, raccoglie e cataloga i dipinti del XVII secolo di scuola napoletana appartenenti alle collezioni borboniche e postunitarie.
Il libro di grande formato contiene numerose splendide foto a colori a piena pagina ed esaustive schede compilate da un pool di specialisti diretti da Nicola Spinosa. Ad esso dedicheremo una specifica recensione.
La terza opera fa una panoramica sui pittori a Napoli nel primo Seicento ed è scritto da Stefano Causa, editore Dante e Descartes.
Si tratta di una corposa dissertazione di oltre 300 pagine corredate da quasi 200 immagini, purtroppo in bianco e nero e di qualità non all’altezza della qualità dell’esposizione.
Causa approfondisce tutta una serie di punti oscuri, in particolare sugli sviluppi della scuola stanzionesca e concorre a delineare sotto una nuova luce le personalità di artisti come Antonio De Bellis ed Andrea Vaccaro, per il quale conferma l’impegno a licenziare quanto prima una esaustiva monografia.
Il testo è caratterizzato da un’eleganza del dettato che gareggia con quella del padre Raffaello, impareggiabile cantore del Seicento napoletano e spesso si ha l’impressione di leggere un brano di Proust e non una proposta attributiva.
Molto attenzione è anche dedicata alla storiografia artistica con continui riferimenti ai lavori di Roberto Longhi, di Ferdinando Bologna e di Raffaello Causa, senza trascurare i contributi anche minimi di giovani storici dell’arte, da poco impegnati al fianco dei più esperti, come Viviana Farina e Giuseppe Porzio.
Di Agostino Beltrano vengono presentati alcuni inediti: un dipinto dall’incerta iconografia per il quale è stato proposto l’originale titolo di Vergini savie e vergini stolte (fig 01) ed un Martirio di San Bartolomeo (fig 02) pregno di pathos, conservato nel museo di Reggio Calabria.
Sull’ancora misterioso Bartolomeo Bassante si cerca di fare luce innanzitutto espungendo la celebre Adorazione dei pastori del Prado, la cui firma apocrifa ha creato a lungo confusione sull’artista ed inoltre assegnandoli un San Sebastiano curato da S. Irene ed un Matrimonio mistico di S. Caterina (fig 03 – 04) entrambi in collezione privata.
Numerose sono le nuove proposte attributive su Pacecco De Rosa e mi soffermo solo su quelle non contenute nella mia monografia sull’artista (consultabile anche sul web Pacecco De Rosa opera completa). Cominciamo da una S. Lucia condotta al martirio (fig 05) del museo di Gand, per passare poi ad un San Giovanni Battista (fig 06) di qualità molto bassa, conservato a Malta nel museo della capitale La Valletta. Molto interessante è la Salomè che presenta ad Erode la testa del Battista (fig 07) della pinacoteca Parmigiani a Bedonia, mentre dubbia a mio parere è l’attribuzione dello Orfeo (fig 08) del museo di Besancon, eseguito in collaborazione con un ignoto animalista nordico nel secondo trentennio del Seicento.
Rimanendo nell’ambito di artisti da me trattati in monografie, del Marullo(consultabile anche sul web Giuseppe Marullo opera completa) finalmente possiamo vedere la foto completa della splendida Rachele col suo gregge (fig 09) già in collezione Garzilli a Solofra, datata 1678 e della quale avevo illustrato la parte centrale con una foto a colori fornitami dall’amico Pinto, il primo indagatore dello artista atellano.
Di Onofrio Palumbo, un artista oggetto da tempo dell’interesse del Causa, viene proposto un dipinto molto interessante, un Bodegon con figura (fig 10) di ubicazione ignota, eseguito in collaborazione con Giovan Battista Recco.
La massima attenzione viene poi dedicata ad Antonio De Bellis al quale è dedicato un intero capitolo con l’originale appellativo di terzo fuochista ed una serie di nuove e calzanti attribuzioni da un Noè ebbro (fig 11) di collezione privata, segnato dal patognomonico scorcio di panorama con il cielo imbronciato, che ritroviamo in tante sue realizzazioni ad un Ritrovamento di Mosè (fig 12) della National Gallery di Londra, di chiara derivazione lanfranchiana. Seguono una S. Cecilia (fig 13) del museo di Grenoble, variamente attribuita negli anni ed un San Sebastiano curato dalle pie donne (fig 14) del museo di Louviers in Francia. E per finire una splendida S. Lucia (fig 15) ed una Pietà (fig 16), entrambe di collezione privata.
La straordinaria carrellata si conclude nel nome del Vaccaro in attesa della promessa monografia con una languida S. Lucia (fig 17) ed un Martirio di San Lorenzo (fig 18) entrambi ad ubicazione sconosciuta, uno sfarzoso Trionfo di Davide (fig 19) di collezione privata, che non ha niente da invidiare rispetto al gemello di Capodimonte ed una Madonna del Rosario (fig 20) elegante e monumentale, di proprietà dell’autore.
Nessun commento:
Posta un commento