28/5/2008
Ischia non è soltanto una località giustamente famosa in tutto il mondo per le sue bellezze naturali, ma anche uno scrigno di preziose testimonianze storiche, che spaziano dall'VIII secolo a.C. ai nostri giorni.
Le chiese, poco meno di cento, un numero enorme rispetto agli abitanti, costituiscono la punta di diamante di questo patrimonio artistico ancora poco esplorato dagli studiosi e pressoché sconosciuto alle centinaia di migliaia di frequentatori dell'isola.
Le condizioni per usufruire di queste ricchezze sono tutte presenti: i luoghi di culto e le opere esposte sono per la quasi totalità restaurati di recente e aperti dalla mattina alla sera a fedeli e visitatori, al di là degli orari delle funzioni religiose, una cosa impensabile a Napoli, dove chiese famosissime sono negate alla fruizione. I custodi dei luoghi sacri sono sempre gentilissimi e spesso appassionati studiosi.
L'unica pecca la mancanza, salvo rare eccezioni, di opportune targhette sotto i dipinti e le sculture ed all'ingresso delle chiese, che forniscano ai visitatori le necessarie informazioni sugli artisti e sulle opere esposte.
I dipinti del Seicento napoletano sono numerosi e per quanto poco noti anche agli stessi specialisti meritano di essere conosciuti. Sono disseminati nelle chiese di tutti i comuni isolani.
Sull'altare maggiore della chiesa di Sant’Antonio alla Mandra ad Ischia Porto troneggia una Madonna col Bambino, incoronata da due putti, con a sinistra San Francesco ed a destra Santa Chiara (fig. 1). Fu portata dalle Clarisse, che la conservavano nella loro chiesa, sita sul Castello. Stranamente nelle schede della Soprintendenza viene ritenuta opera accademica denotante i modi di Andrea Vaccaro,mentre è, a nostro parere, autografa del maestro con richiami alle delicatezze di un Pacecco De Rosa, in particolare nel volto dolcissimo della Vergine.
Presso la chiesa della Pietà a Casamicciola spettacolare è la pala d'altare sempre di Andrea Vaccaro, siglata, una Pietà (fig. 2) percorsa da un brivido di luce calda e sensuale. Essa è una replica autografa, di differente formato, della tela, commissionata dal duca delle Pesche ed oggi conservata a Napoli, nella quadreria del Pio Monte della Misericordia. Il quadro è, senza ombra di dubbio, assieme al quadro del Preti conservato a Forio, la più importante opera seicentesca conservata ad Ischia. Impregnata da un palpitante caravaggismo, solo in parte addolcito dai preziosismi pittorici importati in area napoletana, intorno al 1635-40, dal Van Dyck. Il colore sembra sciogliersi nella luce che, con estrema delicatezza, avvolge pietosamente la figura del Cristo.
Va posta cronologicamente, come giustamente proponeva Raffaello Causa, dopo le altre Pietà eseguite dal Vaccaro ed oggi conservate nel museo Correale di Sorrento, nel palazzo Arcivescovile di Napoli e nel museo di Reggio Calabria.
Nel comune di Barano il gioiello della chiesa di Sant’Anna, che da solo merita una visita, è un quadro, frutto di una donazione e di recente restaurato, rappresentante San Giuseppe con il Bambino (fig. 3). La tela è generalmente assegnata a Niccolò De Simone, una attribuzione calzante, ma a nostro parere suscettibile di variazioni, sempre nell'ambito della scuola stanzionesca. Essa, proveniente dalla zona presbiteriale, è oggi collocata sulla parete destra, e raffigura un'iconografia alquanto rara: il Santo, a mezzo busto, ha in braccio il Bambino, avvolto in un candido panno, verso il quale volge un tenero sguardo, ricambiato dalle braccia protese verso di lui in uno slancio affettuoso.
La pennellata, densa è associata a preziosismi cromatici e fini dolcezze di modellato, mentre nel volto del San Giuseppe, possono leggersi tratti di bonaria severità, che hanno indotto erroneamente in passato a classificare l'opera nella scuola del Ribera o addirittura del Caravaggio Altri due pittori, che potrebbero tranquillamente essere gli autori del dipinto sono Agostino Beltrano e Nunzio Rossi. In ogni caso la tela, collocabile cronologicamente a metà del Seicento, è una delle più belle conservate ad Ischia del secolo d'oro della pittura napoletana.
Sempre a Barano, donato alla chiesa Di San Giovanni Battista nel 1886 da don Mattia Baldino, come recita una lapide sita nella zona presbiteriale, vi è un quadro molto interessante raffigurante il Santo, con i fianchi avvolti da un manto rosso, seduto, con la mano destra rivolta verso l'alto ed un agnello in basso che gli fa compagnia (fig. 4). Il quadro, anche se rovinato e di difficile lettura, può essere assegnato a Massimo Stanzione, in una fase molto antica e poco documentata della sua attività, intorno agli anni Venti, quando ancora si potevano riscontrare nella sua pittura echi battistelliani.
In località Piedimonte nel comune di Barano, descriviamo una tela raffigurante l'Immacolata(fig. 5), conservata nella navata destra della chiesa di Santa Maria la Porta e indicata nelle antiche guide come opera della prestigiosa scuola del Murillo. L'opera è viceversa di scuola napoletana e, nonostante le devastanti ridipinture ne falsino la lettura, riteniamo di poterla assegnare a Giuseppe Marullo, uno stanzionesco attivo fino al 1685.
Nella chiesa di San Francesco d’Assisi nel comune di Forio vi sono numerosi tesori d'arte conservati, tra questi vi è la pala d'altare, di notevoli dimensioni, rappresentante la Vergine che dà la regola a San Francesco (fig. 6), firmata da Giuseppe Simonelli, un allievo ancora poco studiato del grande Luca Giordano. L'opera presenta una iconografia alquanto rara ed è collocabile cronologicamente all'ultimo decennio del XVII secolo. L'artista venne molto lodato dal De Dominici, il famoso biografo settecentesco, il quale raccontava che molti forestieri compravano a caro prezzo i suoi quadri, scambiandoli per autografi dell'illustre suo maestro.
Ed inoltre una Sacra Famiglia (fig. 7), che la Rolando Persico ha voluto attribuire al pennello di Anna Maria Manecchia, una poco nota pittrice, moglie di Nicola Vaccaro, presente a Forio nella chiesa di San Vito con la sua unica opera firmata e datata (1680).
Ma la chicca più preziosa della chiesa è custodita in sacrestia, visitabile a richiesta, grazie alla gentile disponibilità di padre Armando, un colto francescano, che sogna di allestire alle spalle dell'altare maggiore una piccola pinacoteca. Parliamo di una spettacolare Pietà (fig. 8), dai colori lividi e cianotici, da assegnare senza ombra di dubbio alla mano virtuosa di un gigante del secolo d'oro della pittura napoletana: Mattia Preti.
In passato la critica si è occupata del dipinto foriano ed ha adombrato l'ipotesi che potesse trattarsi di una copia. Ma sia le figure femminili che il volto del Cristo mostrano una morbidezza di tocco ed una preziosità materica che, vanamente, potremmo pretendere dalla mano di un copista, anche se molto abile. Se vogliamo invece vedere una copia di questa tela autografa, dobbiamo recarci al Prado, dove potremo ammirare lo stesso soggetto, ma di minore qualità, replicato da uno dei più noti allievi ed imitatori del Preti: lo spagnolo Pedro Nugnez de Villavicencio. Quanto siamo ricchi e spreconi noi napoletani! Conserviamo chiusa e non visitabile una tela di uno dei grandi maestri del Seicento europeo, mentre all'estero, in uno dei più celebri musei del mondo, espongono la copia....
La tela foriana va, viceversa, collocata nel primo periodo maltese dell'artista, poco dopo il 1660, quando il Preti, non potendo reggere la rivalità con il più giovane Giordano, si ritira nella tranquillità dell'isola di Malta, da dove, con inesausta fertilità, continuerà per quasi quaranta anni ad inviare le sue opere in Italia ed in Europa.
La chiesa forse più nota non solo di Forio, ma dell’isola, è quella del Soccorso, immortalata in un francobollo e posta su di un promontorio dal quale aiutandosi con un po’ di fantasia si può intravedere il mitico raggio verde. Nella seconda cappella vi è, firmata e datata, 1633, da Cesare Calise, una grossa tavola con Sant'Agostino, Santa Monica e San Nicola da Tolentino (fig. 9). Il quadro, del tutto ignaro della doppia permanenza a Napoli del Caravaggio e della sua rivoluzionaria lezione, gronda retrivo tardo manierismo e pregnanti rimembranze della pittura di Raffaello, ma ci permette di conoscere un pittore indigeno che le fonti ci rammentano attivo anche nel capoluogo.
Nel Duomo, intitolato a San Vito, di Forio alla sinistra dell’ingresso è collocata una splendida tela di autore ignoto rappresentante il Martirio di Santa Caterina d’Alessandria (fig. 10) e più precisamente il momento in cui, miracolosamente la santa si libera del supplizio ed un vento divino scaraventa lontano gli aguzzini. Il quadro tradisce la mano di un abile tardo manierista protrudente nel Seicento, mentre il volto ed i capelli della martire richiamano i modi pittorici fracanzaniani. Dello stesso sconosciuto autore sono conservate in sacrestia due lunette con differenti scene di martirio.
Per chi volesse approfondire l’argomento consiglio di leggere il mio libro Ischia sacro, guida alle chiese di Ischia consultabile sul web
http://www.guidecampania.com/ischiasacra/
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