6/3/2009
Il più sovrano maestro in pitturaFino al 29 giugno sarà visitabile presso il complesso del Vittoriano di Roma una grande mostra su Giotto ed il Trecento, ricca di 150 pezzi tra sculture lignee, codici miniati oreficerie e venti autografi del sommo maestro.
Saranno esposte anche opere di Cimabue, Taddeo Gaddi, Simone Martini, Pietro da Rimini, Ambrogio Lorenzetti, Nicola e Giovanni Pisano, Pietro Cavallini ed Arnolfo di Cambio a sottolineare l’influsso di Giotto sulla pittura italiana del tempo; in particolare molto belli sono una Testa di Redentore di Pietro Cavallini, un San Pietro di Simone Martini ed un altorilievo rappresentante la Madonna della Natività di Arnolfo di Cambio.
Giotto lavorò nelle maggiori città italiane da Roma a Napoli, da Firenze a Milano, ma purtroppo la testimonianza del suo lavoro è ridotta alla misera ombra di pochi lacerti e la rassegna cerca di dare conto della sua influenza attraverso gli esiti degli artisti a lui coevi. Un esempio tra tutti quello di Napoli dove il maestro soggiornò per cinque anni alla corte dei D’Angiò ed affrescò le immense pareti della chiesa di S. Chiara e della Cappella Palatina in Castel Nuovo; purtroppo lo scorrere inesorabile del tempo e l’incuria degli uomini hanno distrutto il suo lavoro, visibile, molto parzialmente, solo negli sguanci di alcuni finestroni.
Una mostra nella mostra è costituita da “L’altro Giotto” una postazione virtuale che consente di ammirare i suoi più celebri cicli pittorici e di scoprire gli itinerari giotteschi nelle città che lo ospitarono.
Giotto, come tutti i grandi geni, è un rivoluzionario, che precorre il suo tempo e ne stravolge per sempre i suoi canoni espressivi, come Dante fonda l’unità linguistica e culturale italiana, lui stabilisce le regole del segno e della prospettiva.
Nato nel 1267 in un’umile famiglia di contadini diverrà una star incontrastata, contesa tra le corti della penisola, dalla Napoli angioina alla Milano viscontea, fino alla committenza pontificia; raggiungerà una fama mai più eguagliata, né da Raffaello, né da Caravaggio.
Dante ne fissò il prestigio in tre versi immortali (Credette Cimabue nella pittura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, si che la fama di colui è scura), anche se oggi la critica non riconosce più i vincoli di discepolato tra Cimabue ed il Nostro, ma solo un’influenza parziale dal Cavallini.
La sua fu una pittura essenzialmente religiosa ed unitaria, come la poesia di Dante, che nasce viva ed è immortale perché Dio e l’uomo interagiscono in un rapporto costante. La poetica medioevale ebbe il suo apice nel Cantico delle creature, un inno tridimensionale incarnato su Dio, l’uomo e la natura, in un rapporto paritetico di continuità, nel quale Creatore, creature e creato rappresentano un unicum indivisibile.
Il maestro fiorentino fu un pittore medioevale, ma nello stesso tempo un moderno, come Dante che, tra tanti poeti antichi, ci appare quasi un contemporaneo.
La pittura bizantina era statica e ieratica, mentre i personaggi di Giotto sono creature vive, che corrono sulla via tracciata da Dio senza fatica, anzi colmi di gaudio e genuina felicità.
Tra le opere esposte risaltano una Madonna con il Bambino in trono e due angeli proveniente dalla chiesa di San Giorgio alla Costa di Firenze ed il polittico della Madonna col Bambino ed i santi Nicola da Bari, Giovanni Evangelista, Pietro e Benedetto, detto di Badia, composto di cinque scomparti a cuspide triangolare.
Un altro splendido polittico giunge dal North Carolina museum of art di Raleigh, mentre la cimasa del polittico Baroncelli viene da San Diego in California.
Altre opere di rilievo sono il Santo Stefano del museo Horne di Firenze, la Madonna col Bambino della National Gallery ed il polittico Stefaneschi della Fabbrica di San Pietro in Vaticano.
La visita alla mostra può avvicinarci a comprendere il misterioso fascino e l’enigma del grande pittore e può costituire un perentorio invito a visitare i luoghi dove fu raggiunto il culmine dell’arte giottesca: negli affreschi della Basilica superiore di Assisi e nella Cappella degli Scrovegni di Padova, lirici i primi, tragici i secondi. Essi rappresentano una lezione di stile ed un invito alla salvezza, in un’epoca come la nostra che si preannuncia più cupamente medioevale che classica o rinascimentale.
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