22/7/2009
Cambiare la normativa sulle concessioni balneari
La camorra non è soltanto quella che si interessa di usura ed estorsioni ed ha il grilletto facile, camorra è anche, consenzienti le istituzioni, poter godere come proprietà personale della concessione di un tratto di spiaggia, pagando quattro soldi al demanio e creandosi una rendita di centinaia di migliaia di euro ogni anno.
Vi sono stabilimenti balneari passati di padre in figlio che valgono, se ceduti, milioni di euro, in aperta violazione della legge, che prevede un limite massimo di sei anni di durata della concessione con la possibilità di un solo rinnovo, una norma mai applicata e divenuta poco più efficace di una grida manzoniana.
Per fortuna è intervenuta l’Unione europea con una reprimenda ed una richiesta di maggiore liberalizzazione del settore, con la messa all’asta di decine di migliaia di licenze da tempo scadute, eventualità che apporterebbe un fiume di danaro nelle magre casse dello Stato.
Se solo si volesse rispettare la legge, l’evento, in un’Italia dominata dalle caste più dell’India, costituirebbe un vero e proprio maremoto in grado di spazzare antichi ed ingiustificati privilegi a danno di una concorrenza impotente, ma soprattutto dell’erario, che incassa miserevoli rendite a fronte di un patrimonio incommensurabile.
Al cartellino rosso dell’Europa(invito ad adeguarsi alla direttiva 4908/2008) negli ultimi tempi si sono aggiunte decisioni coraggiose di alcuni Tar, che hanno annullato numerose licenze concesse dalle capitanerie di porto, perché “era necessario indire previamente una gara” o della Corte dei Conti, che ha condannato alcuni amministratori che avevano prolungato sine die alcune concessioni rilasciate decine di anni or sono.
Le associazioni dei gestori sono sul piede di guerra ed hanno chiesto un congelamento delle licenze fino al 2020, sperando che nel frattempo della questione non si interessi più nessuno e “tutto cambi purché nulla cambi”.
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