20/7/2007
Il Giordanismo costituì per decenni una realtà vera e pulsante nel patrimonio artistico napoletano, perché, all’ombra del grande maestro e della sua affollata bottega, partorì una quantità sterminata di dipinti di diversa qualità, che, per decenni, sono stati confusi o contrabbandati sotto il nome del Giordano e che ora la critica, avendo cominciato a distinguere la non sempre netta linea di demarcazione tra i lavori di Luca e l’opera dei suoi allievi più dotati, riesce a definire con sempre maggiore precisione.
Della notevole consistenza numerica della bottega del Giordano abbiamo autorevoli testimonianze, dal De Dominici al Baldinucci ed al Palomino, i quali tenevano a puntualizzare anche che da essa sbocciarono ben pochi talenti dotati di completa autonomia artistica: «di così numerosa scuola, a pochi solamente fu conceduto il bel dono di esser pittori, e d’imitare in parte il suo bel modo di fare» (De Dominici).
L’entourage del Giordano costituiva, più che un cenacolo, una vera e propria impresa commerciale, che affiancava il maestro nel soddisfare le sue sempre più numerose commissioni. Le opere licenziate, spesso corredate della firma del Giordano anche se eseguite quasi completamente dalla bottega, seguono il criterio quanto mai moderno del rapporto qualità prezzo; riferisce a conferma il De Dominici: «Luca aveva tre sorti di pennelli, uno d’oro, uno d’argento ed un altro di rame, con i quali soddisfaceva a’ nobili, a’ civili, ed a’ plebei, e che a tutti e tre questi ceti corrispondea col merito dell’opera proporzionata al prezzo».
Sappiamo che il numero degli allievi era tale «che non capivano nell’appartamento ove egli dipingeva»; di molti di essi sappiamo soltanto il nome, ma non conosciamo le opere, anche se lentamente qualche documento di pagamento sta salendo a galla da quel gran mare pescoso che è l’archivio storico del Banco di Napoli.
Ventotto furono, a parere del De Dominici, i discepoli degni di essere ricordati; tra questi segnaliamo Nicola Russo, documentato dal 1674 al 1702 e citato anche nelle «Aggiunte» all’Abecedario dell’Orlando del 1733, mentre il Giannone lo considerava tra i migliori seguaci del maestro. La sua prima opera è del 1674, un San Rocco nella confraternita dei SS. Cosma e Damiano, mentre la più importante è un Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia nel coro di Santa Caterina a Formiello. In molti lavori collabora con suo cognato Gaetano Brandi, esperto in apparati scenografici. La Madonna del Rosario in San Domenico Soriano, ricordata dal De Dominici, che citava il pittore come Nicolò Rossi e riteneva l’opera eseguita in collaborazione col Giordano, è del 1690.
Dal 1689 è iscritto come membro nella corporazione dei pittori dei santi Luca e Anna. Oltre che come frescante è abile anche nella pittura di genere; ritrae con successo animali e si cimenta anche come battaglista, come dimostra un suo lavoro di discreta qualità, pubblicato di recente e conservato in una collezione privata di Parma.
Raimondo De Dominici, padre del famoso biografo, collabora col maestro in opere impegnative come le tele del Duomo di Napoli ed è così bravo ad imitare lo stile giordanesco che «le sue copie di Luca, con pochi suoi ritocchi, erano date ai padroni per originali di sua mano».
Altro imitatore del maestro fu Anselmo Fiammingo «alcune delle cui opere, ritoccate dal maestro furon date, o mandate per originali»; pedissequi ripetitori dello stile giordanesco furono anche Aniello Rossi e Matteo Pacelli che seguirono il maestro in Spagna, mentre Onofrio Avellino fu specializzato nel copiare le battaglie del Giordano, tra cui un «Giosuè che ferma il sole» replicato più volte.
Di altri allievi ci rimane soltanto il nome che non riusciamo però a collegare ad opere certe: Domenico di Marino, Giovan Leonardo Pinto, Antonio Di Simone, Alberto Arnone, Nicolò Di Lione e Francesco Testa. Perduti nel nulla anche i numerosi frequentatori della bottega del Giordano specializzatisi a dipingere su cristallo: Andrea Vincenti, originario di Lecce, Domenico Perrone, Francesco Della Torre, Domenico Coscia e Carlo Garofalo, il più noto, il quale raggiunse il maestro in Spagna mentre era impegnato all’Escorial.
La presenza di tanti artisti, imitatori dello stile giordanesco ed oggi scomparsi nel mare magnum dell’anonimato, ci deve far essere molto cauti nell’accettare come autografe tante opere che circolano sul mercato o che trovano dimora in tante, anche importanti, collezioni private.
Una piacevole eccezione è costituita dalla scoperta sul mercato antiquariale napoletano di tre dipinti su vetro, di notevole qualità, chiaramente giordaneschi, uno dei quali siglato DC P(inxit), raffigurante un angelo che porge dell'acqua a Cristo. Ed ecco ricomparire dopo un oblio secolare un allievo del sommo Giordano, citato dal De Dominici, quale specialista nella pittura su cristallo e mai ricomparso all'attenzione degli studiosi.
Un piccolo passo verso una maggiore conoscenza del glorioso secolo d'oro della nostra pittura.
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