18/5/2008
Da alcuni giorni Napoli brucia senza sosta a tutte le ore, bruciano in cento luoghi i cumuli di spazzatura, ai quali cittadini inferociti appiccano le fiamme innalzando roghi sacrificali generatori di micidiale diossina, ardono i campi rom, situati nella disperata periferia cittadina, ad opera di criminali applauditi da una folla divenuta intollerante e xenofoba, bruciano “e cervelle” a tutti i napoletani che, stretti tra rifiuti ubiquitari, criminalità diffusa, traffico impazzito e disoccupazione da record, vedono la loro città abbandonata ad un destino atroce, ma soprattutto va in fumo definitivamente una grande e gloriosa capitale dopo 2500 anni di storia invidiata, che non ha conosciuto né il ghetto, né l’Inquisizione, costretta ad un’esistenza da quarto mondo senza speranza di riscatto o di redenzione.
Il fuoco ha sempre rappresentato un segno di purificazione e di rigenerazione, dalla Bibbia alle antiche vestali romane, ma le fiamme napoletane sono quelle dell’inferno dantesco, simbolo di un castigo divino al quale non ci si può opporre, producono solo cenere e distruzione.
La furia devastatrice che si sta scatenando in questi giorni è sintomo di un malessere che ha colpito il cuore pulsante e la stessa anima tollerante della città.
Gli zingari non sono i soli disperati che vivono ai margini della società, vi sono moltitudini di accattoni, di senza casa accampati all’addiaccio, di sbandati che vivono alla giornata, di disoccupati costretti ad una minacciosa quanto sterile protesta.
Attenti che non venga in mente a qualcuno che si possa risolvere questo ed altri problemi scatenando un gigantesco falò.
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