venerdì 23 marzo 2012

Mostra su Correggio a Parma, una rassegna superstar

27/10/2008


Una delle più importanti mostre dell’anno è quella sul Correggio, che si tiene a Parma e sarà visitabile fino al 25 gennaio 2009.

La fama del pittore risente della vicinanza storica di titani assoluti come Leonardo e Raffaello, Michelangelo e Tiziano, che hanno da sempre calamitato l’interesse degli appassionati e degli storici dell’arte, ma questa rassegna, la quale vede riunita per la prima volta tutta la sua 
produzione oggi trasportabile nella cornice delle sue straordinarie cupole, che ci permettono di percepire la novità di uno spazio infinito dilatato fino all’inverosimile, sarà l’occasione per un rilancio definitivo dell’artista nell’Empireo dei grandi geni del Rinascimento.
Le sue ardite concezioni spaziali precorrono i tempi e saranno riprese dagli artisti artefici del Barocco, dal Lanfranco al Rubens.
Uno dei primi tasselli del percorso museale è costituito dall’appartamento della badessa Giovanna da Piacenza, sito nel cuore della città in un monastero benedettino. Non è certo una piccola celletta adatta alla preghiera ed alla contrizione, bensì un vero e proprio appartamento, nel quale l’aristocratica badessa soleva trascorrere i suoi pomeriggi con familiari, amici ed intellettuali intrattenendo colte discussioni umanistiche. Sarà lei a guidare il pennello del Correggio nella sua creazione, il quale dividerà la volta in sedici spicchi, ricoprendola con un’illusionistica pergola vegetale dotata di un’apertura ovale per ogni settore da cui si affacciano bellicosi puttini (fig. 1 - 2). 


Quindi allestisce alla base una serie di lunette che evocano immagini leggiadre di divinità pagane con l’impressione di un’impalpabile materialità marmorea, tra le quali spicca una sensuale Giunone, ignuda, dalle mani e dai piedi legati e dalla folta chioma fluente. 
Infine troneggia su un antico camino una Diana cacciatrice con arco e frecce (fig. 3), mentre sulla biga guidata dalle cerve si avvia verso una battuta di caccia. Un’immagine solare di trionfo delle greggi e delle messi, un potente inno propiziatorio di serena fiducia e di gioia pagana.


Il Correggio nella cupola della chiesa di San Giovanni Evangelista realizza, tra il 1520 ed il ’24, con grande sicurezza espressiva un affresco dal prodigioso effetto illuministico con la figura del Cristo incastonato tra gli apostoli (fig. 4), i quali danno l’impressione non di timorati vecchioni, bensì di maschi bellissimi, palestrati e monumentali, comodamente adagiati tra le nuvole dense e grumose; non più le nuvole svolazzanti della pittura romana, ma nuvole padane fatte di materia umida e palpabile, vere e proprie macchine teatrali in grado di salire nell’alto dei cieli.

Nella cupola del Duomo il pittore, tra il 1526 al ’30 esegue l’Assunzione della Vergine (fig. 5 - 6) il suo testamento artistico, un cantico solenne al delicato confine tra realtà e sogno, tra carne e spirito, tra umano e divino. Egli ci regala l’immagine di un Paradiso impregnato da gioia e colore, affollato di santi ed angeli musicanti, che circondano la Vergine, mentre nei pennacchi si ergono solenni i santi protettori della città.



L’effetto illusionistico è prodigioso e ci fa apparire la cupola più alta e più grande, mentre, scandalosamente, gambe, braccia e glutei si agitano senza sosta per tenersi miracolosamente a galla sul gran vuoto della navata; è un Paradiso attraversato da un movimento turbinoso di corpi più che di anime, corpi giovani e belli, taluni nudi, come quello della nostra progenitrice Eva. Esso attrae irresistibilmente lo sguardo dello spettatore, meravigliato, più che dall’incessante dinamismo delle figure, dall’idea, così lontana dai canoni medioevali, di un Paradiso statico, gerarchicamente immobile ed indifferente alle passioni del cuore, mentre i suoi occhi contemplano un movimento incessante di membra, che turbò i pacati sentimenti dei fabbricieri, committenti dell’opera.
Purtroppo nessuna foto è in grado di riprodurre adeguatamente l’effetto grandioso del librarsi di stuoli di corpi celesti tra nubi inondate dal sole, una sensazione riservata unicamente ai visitatori, i quali, grazie a speciali impalcature dotate di ascensori, si potranno portare a distanza ravvicinata al capolavoro.
Anche nei dipinti, come la celebre Notte (fig. 7 ) della Gemaldegalerie di Dresda, il Correggio, utilizzando sapientemente la luce, riesce a far convergere lo sguardo dell’osservatore dove egli vuole, mentre nella parte alta della composizione vi è netta la sensazione di cieli spalancati con angeli che volteggiano agili sulle nubi.


Dopo gli affreschi la mostra offre pale d’altare, dipinti sacri e profani, tutti contraddistinti da una pennellata fluida, morbida, calda e sensuale, sia che siano rappresentate sante o madonne, sia che si tratti di dee o di semplici donne. Siamo al confronto di una pittura voluttuosa per quella esplorazione tattile e partecipe del corpo femminile, indagato ed esplorato in ogni piega con attenzione minuziosa.
Un viso dolcissimo che invita alla carezza o un seno appena accennato, ma così fiero e volitivo sotto le vesti da fornire la lucida consapevolezza di una nudità segreta quanto prepotentemente anelata.
La donna del Correggio è libera e moderna, non è schiava del pregiudizio religioso e sa essere madre orgogliosa, ma solo dopo essere stata amante appassionata, pronta al concepimento come al peccato. “Le sue Maddalene somigliano alle donne di Parma: reali solo fino a quando  dura il suono dei loro passi” (Alberto Bevilacqua).
Tra i dipinti di soggetto religioso vogliamo segnalare il Matrimonio mistico di S. Caterina con San Sebastiano (fig. 8 ) del Louvre, dipinto intorno al 1525, nel quale il fulcro emotivo della scena è focalizzato nel dolce intreccio delle mani che attira magicamente gli sguardi dei personaggi.


Entrambi appartenenti alle collezioni della Galleria di Parma sono il Martirio di Placido, Flavia, Eutichio e Vittorino (fig. 9 ), nel quale i protagonisti sono in preda all’estasi del supplizio e se ne compiacciono e la Madonna di San Girolamo (fig. 10 ) che il pittore affronta inserendo audacemente l’iconografia tradizionale di una Sacra conversazione in un lussureggiante paesaggio.


Di ben più potente impatto emotivo sono poi i quadri di argomento mitologico, eseguiti a partire dalla metà degli anni Venti, intrisi da una predilezione nella descrizione del corpo femminile, scandagliato amorevolmente in ogni piega dell’epidermide.
Venere, Mercurio e Cupido (fig. 11) conservato alla National Gallery di Londra ed eseguito intorno al 1525 e Venere, satiro e Cupido (fig. 12 ) del Louvre, di poco posteriore, furono commissionati per essere esposti in coppia e rappresentano la dea dell’amore prima ben sveglia e poi placidamente addormentata. Nel primo dipinto la divinità, dalle forme prorompenti, assurge a protettrice del matrimonio e dell’amore coniugale, mentre nel sonno l’abbandono dei sensi dà via libera alla concupiscenza ed al piacere sessuale. Nella tela londinese Mercurio insegna a leggere Cupido in un clima di intimità e serenità familiare ed il corpo nudo di Venere, per quanto si stagli vigoroso nell’opulenza delle forme, non suscita gli stessi lubrici desideri erotici di quando, nella tela parigina, la dea assume una posa sfacciatamente provocante con una studiata torsione del tronco atta ad esporre i tesori della sua morbida carne.


La serie degli amori di Giove commissionata all’artista dal duca di Mantova Federico II Gonzaga, per farne dono a Carlo V in occasione della sua incoronazione imperiale a Bologna nel 1530, è costituita da 4 straordinari dipinti, che rappresentano allo stesso tempo un prodigio di erotismo accoppiato ad un uso innovativo dello spazio.
La Leda ed il cigno (fig. 13 ) dello Staatliche museen di Berlino faceva coppia con la celebre Danae (fig.14) della Galleria Borghese di Roma. Eseguita intorno al 1531-33 la Leda narra dell'acrobatico amore di Giove, trasformatosi in cigno, con la figlia di Testio, conquistata con un'irruenta incursione del flessuoso collo nel seno accogliente della fanciulla.


La tela emana  un afrore erotico inquietante tale aver indotto uno dei suoi proprietari, il duca di Orleans, in un impeto di ottusa pudicizia, a sfregiarla, costringendo i restauratori ad un lungo, difficile e delicato lavoro.
La vita degli uomini è breve, mentre quella delle opere d'arte può illudersi di sfidare l'eternità, una sensazione che trova conferma se seguiamo la trafila della Leda in questo scorcio di millennio: a Mantova con Federico II, a Madrid con Filippo II, a Praga con Rodolfo II, a Stoccolma con Gustavo Adolfo, a Roma con Cristina di Svezia, a Bracciano con gli Odescalchi, a Parigi dagli Orleans, a Berlino con Federico II di Prussia, ancora a Parigi con Napoleone, fino alla sua momentanea ultima destinazione nel museo di Berlino.
La Danae, icona purissima del fascino muliebre, è semisdraiata sul letto, mentre Cupido, indicando il pube, solleva spavaldo il lenzuolo che la ricopre, in modo che Giove, in veste di pioggia d'oro, possa più facilmente penetrarla. Il corpo della fanciulla è di sorprendente modernità, non una corposa ed ipercolesterolemica matrona romana dalle forme debordanti, ma una top model fresca di coiffeur, con gambe scattanti, seno piccolo e sodo ed un'epidermide alabastrina da sembrare una statua morbida come cera fusa.
La stessa vena erotica pervade le due tele coeve Giove ed Io (fig. 15 ) e Ratto di Ganimede (fig. 16 ) provenienti dal Kunsthistorisches di Vienna ed ispirate alle Metamorfosi di Ovidio. Nella prima composizione il padre di tutti gli dei, trasformato in nube, stringe in un tenero abbraccio Io e la ninfa si abbandona senza timore alla stretta impalpabile del dio, le cui labbra ectoplasmiche la baciano appassionatamente. Nella scena di rapimento il corpo prassitelico del fanciullo vola verso il cielo dell'Olimpo dove diverrà coppiere degli dei, per nulla spaventato dall'aquila-Giove e si stringe alle piume del rapace senza tentennamenti, senza sorpresa. Ganimede rimane sospeso alle ali divine mentre un cane incredulo osserva questo assurdo decollo, che si svolge in un panorama lussureggiante e con un effetto illusionistico che richiama a viva voce la Visione di San Giovanni nella cupola della chiesa eponima di Parma.


Ganimede assurge a simbolo di una nidiata di cupidi ed amorini, che inducono alla meditazione: angelo o putto birichino? Innocente adolescente o giovanetto compiacente?; è sempre arduo discernere la linea sottile che separa purezza e peccato nella pittura di Correggio.
Questa confusione è comune durante il Rinascimento che vede spesso sovrapponibili ragazzi e santi, mito e religione. Un tipo languido di fanciullo che fu ripreso in tempi moderni da Luchino Visconti nel definire il candido personaggio di Tadzio nel film Morte a Venezia o da Pierre et Gilles nelle loro morbose fotografie, nelle quali, sulla scia del messaggio iconografico del Correggio di adolescente divino, metà eros e metà angelo, ci inviano i loro  ambigui modelli di misteriosa giovinezza, incerta tra maschile e femminile, fungendo da moderni archetipi del lato oscuro ed inafferrabile della bellezza.

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