articolo pubblicato domenica 6 aprile 2008 su: "scena illustrata"
Una delle più importanti mostre italiane dell’anno Salvator Rosa tra mito e magia si aprirà il 19 aprile a Napoli nel museo di Capodimonte e sarà visitabile fino al 29 giugno. Saranno visibili quasi cento dipinti, oltre ad alcune raffinate incisioni, in una nuova elegante sede espositiva intitolata al compianto Raffaello Causa.
La rassegna, attesa da decenni, doveva interessare in un primo tempo solo il tema a lui caro delle stregonerie, delle allegorie filosofiche e dei ritratti, ma in seguito si è deciso di proporre anche alcuni significativi esempi di quadri di paesaggio e di battaglia, generi nei quali la fama dell’artista fu ampia e meritata.
Sono inoltre esposte delle bambocciate ed alcuni dipinti di autori coevi, tra cui uno splendido Ribera, per gli opportuni raffronti con la pittura napoletana del tempo. Sarà così possibile, in alcuni spazi del secondo piano del museo, dedicato al secolo d’oro, paragonare le battaglie dell’artista con quelle di Aniello Falcone e di Andrea De Lione e si potrà, forse, identificare l’autore della grandiosa Mischia tra cavalieri ritenuta autografa dal Causa e progredite le conoscenze sull’argomento, sospinta nel limbo degli ignoti, anche se di grande valore.
Streghe ed incantesimi
Le tele provengono da musei italiani, europei e americani, come la Galleria d’Arte Antica di Roma, la Galleria Palatina di Palazzo Pitti di Firenze, la National Gallery di Londra, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Metropolitan Museum di New York e da importanti collezioni private, principalmente inglesi, difficilmente accessibili al grande pubblico.
Le opere sono state selezionate da un comitato scientifico internazionale, composto da Nicola Spinosa (presidente), Marco Chiarini, Brigitte Daprà, Sybille Ebert-Schifferer, Helen Langdon, Wolfgang Prohaska, Aurora Spinosa e Caterina Volpi, a conferma dell’autorevolezza delle attribuzioni dei numerosi inediti che vengono proposti per la prima volta.
Musica
Sulla copertina del catalogo troneggia il logo della mostra rappresentato dal celebre autoritratto della National Gallery che invita alla meditazione con la sua celebre frase:”Aut tace aut loquere meliora silentio” La personalità dell’artista per essere apprezzata va collocata nel panorama della pittura seicentesca e per chi volesse approfondire questo aspetto consigliamo la consultazione del nostro saggio sull’argomento
Salvator Rosa, eredita dal Ribera il vezzo per i tipi volgari, l’amore per le espressioni tragiche e la gioia nel rappresentare le sofferenze umane, mentre dal Falcone recepisce la simpatia per la macchietta e la grande abilità nel dipingere le battaglie. Presto lascerà Napoli, che rimarrà sempre nel suo cuore e conserverà il suo spirito partenopeo e la sua vena naturalistica, anche quando divenne una delle maggiori personalità del Seicento italiano e l’eco della sua fama percorse fino al Settecento tutta l’Europa.
Battaglia eroica
Nel 1635 si trasferisce a Roma dove ha contatti con l’ambiente dei Bamboccianti, con Claude Lorrain e Nicolas Poussin e comincia a cogliere del paesaggio il suo aspetto pittoresco. Di questo periodo sono l’Erminia e Tancredi e la Veduta di una baia conservati nella Galleria estense di Modena e l’Incredulità di San Tommaso del museo civico di Viterbo.
Costretto a fuggire da Roma per le sue pungenti recite satiriche sotto la maschera napoletana di Pascariello Formica, nel 1640 il Rosa si rifugiò a Firenze sotto la protezione del cardinale De Medici, in un ambiente culturale di scienziati e letterati nel quale si rinfocolarono le sue ambizioni di umanista e filosofo stoico. Scrive le sue Satire e viene influenzato da artisti come Jacques Callot e Filippo Napoletano. Il paesaggio naturale, spoglio, selvaggio e carico di mistero, diventa scenario per la rappresentazione idealizzata di episodi della vita di grandi filosofi e di grandi personaggi storici, come nel Cincinnato chiamato alla fattoria e nell’Alessandro e Diogene, entrambi nella prestigiosa collezione Spencer ad Althorp o nella Selva dei filosofi conservata a Firenze a Palazzo Pitti.
Contemporaneamente dipinge grandiose scene di battaglie che nella loro monumentalità si risolvono anche esse in solenni rappresentazioni ideali. Uno spirito epico anima le sue tele come una fiamma, una torrida febbre percorre le sue composizioni di grandi dimensioni, dotate di un ricco paesaggio con città sullo sfondo, ruderi di templi ed edifici lontani che smorzano in parte la tragicità delle scene. Nelle mischie furibonde si riesce a cogliere il senso di un dramma cosmico come quello della guerra.
Negli ultimi anni del suo soggiorno fiorentino i suoi interessi artistici si allargano ai temi esoterici della magia e della stregoneria, infatuato dalla cultura magico filosofica di Giovan Battista Della Porta, ricordiamo Streghe ed incantesimi, eseguito nel 1646, alla National Gallery, mentre la sua pittura sempre più scura nei toni si concentra sulla rappresentazione allegorica di temi morali ed idee filosofiche come nella Fortuna conservata al Paul Getty museum di Malibu.
Animo estroso e bizzoso il Rosa fu pittore e disegnatore, incisore e poeta, letterato e polemista, teatrante ed erudito, un personaggio veramente complesso, dal temperamento vivace ed animoso, insofferente della società del suo tempo, sdegnoso del volere dei committenti, ma nello stesso tempo ansioso di essere ammirato.
Autoritratto di salvator Rosa
Tornato a Roma nel 1649 è ambito da facoltosi committenti ed è richiesto dalle maggiori corti europee principalmente per i suoi paesaggi, spesso animati da vivaci figurine ed imitati fino alla fine del Settecento. Lo scenario è spesso quello del sud con le sue rocce ed i suoi panorami aspri e severi, resi con una certa dose di libertà espressiva e di fantasia, che non permette mai di identificare con precisione i luoghi rappresentati. Il fogliame è reso con grande accuratezza e spesso sono presenti le caratteristiche torri di avvistamento presenti in tutte le nostre coste flagellate dalle incursioni dei saraceni. Le figure dei contadini sono riprese nell’atto di animare la conversazione con una gestualità tipica delle popolazioni meridionali. La scelta dei colori cupi ed ombrosi è una costante della paesaggistica rosiana che tende a rappresentare le sue scene al tramonto, per rendere l’atmosfera più raccolta e più intimo il discorrere dei personaggi.
Particolare
Salvator Rosa conservò sempre nel cuore la sua città natale, trasfondendone nelle sue pitture il carattere gioioso, la proverbiale saggezza e tolleranza dei suoi abitanti. Nei suoi paesaggi, nelle sue marine, nelle sue bo¬scaglie vivo è il ricordo dei panorami conosciuti ed ammirati da ragazzo, come pure la sua matrice natura¬listica funzionerà negli anni come imprinting culturale dal quale l’artista non potrà mai prescindere. Dopo aver a lungo prediletto la bambocciata, il Rosa passò al paesaggio, di cui fu promotore di uno schema ideale, subordinando l’idea del vero all’idea del bello e richiedendo alla rappresentazione quiete e dignità espressiva. Egli sceglieva alberi maestosi, montagne imponenti, laghi silenziosi, esaltando la bellezza del paesaggio, nel quale inseriva volentieri piccoli personaggi a piedi o a cavallo: pastori, mandriani, contadini.
La sua adesione al paesaggio classico fu ad ogni modo non totalizzante, sia per la presenza vivificante di figurine, sia per un certo gusto per il pittoresco in grado di rompere il felice equilibrio del paesaggio ideale. I suoi lavori risentono inoltre della sua visione stoica della realtà, perché non bisogna dimenticare che il Rosa fu anche scrittore e poeta. La natura rappresentata è selvaggia con radure boscose ed alberi dai rami e dai tronchi spezzati, rocce scoscese, boschi ombrosi con aperture su brani di cielo azzurro.
La piena scelta classicistica della sua pittura risale agli anni 1639 ’40, quando l’artista risiede a Firenze. ma conserva sempre vivo nella sua mente il ricordo de: luoghi natii, di Capri e di Ischia, della costa puteolana come di quella sorrentina.
Negli anni successivi il Rosa si allontana gradualmente dalla visione classica della natura a vantaggio d: forme rese pittoricisticamente in chiave preromantica. «Non più il limpido cielo azzurro dei paesaggi ideali del periodo toscano, ma uno spazio dilatato e percorso da una luce fluida e suggestiva, nella quale le figure declamano una scena eroica» (Salerno).
Questo nuovo tipo di paesaggio realizzato da Salvator Rosa resterà legato al suo nome anche nel secolo successivo ed avrà un seguito affollatissimo di seguaci. falsari ed imitatori.
Gli ultimi anni della sua attività, dopo il 1660 il Rosa, anche per la pittura di paesaggio, utilizzò molto l’acquaforte, realizzando una nuova maniera monumentale, «lontana da quegli esiti così vibranti e a volte drammatici del periodo precedente: la pennellata forte e materica cede il posto ad una pittura trasparente e vibratile, attraverso tocchi nervosi, nulla cedendo al pittoresco e alla rappresenta¬zione descrittiva» (Pacelli). Oltre al paesaggio si dedicò a dipinti di soggetto filosofico e mitologico come l’Humana fragilitas del Fitzwilliam museum di Cambridge e lo Spirito di Samuele evocato davanti a Saul acquistato da Luigi XIV ed oggi al Louvre. Negli ultimi anni della sua attività ritornò al paesaggio, dipingendo una natura spoglia e solitaria come gli eremiti ed i filosofi che l’abitavano.
La maggior parte dei dipinti di Salvator Rosa è conservata dal Settecento in Inghilterra, dove la sua fama giunse all’apice grazie ad una biografia romanzata scritta nel 1824 da una fervente ammiratrice dell’artista Lady Morgan. Oltre manica egli fu apprezzato più che in Italia e molti videro in lui un precursore di Byron e del romantico ultra pittoresco. L’influsso del pittore italiano sugli artisti inglesi e sulla pittura olandese di paesaggio fu molto grande ed il paesaggio alla Salvator Rosa fu diffuso per molti anni dopo la sua morte grazie ad una serie di epigoni ed imitatori ed acquistò il carattere distintivo di un genere.
Salvator Rosa è senza dubbio il più prolifico disegnatore dell’età barocca, con oltre 800 fogli, con tecniche e formati diversi, che ci sono pervenuti. La sua produzione grafica è stata studiata in maniera esaustiva da critici stranieri quali il Wallace ed il Mahoney, autore nel 1965 di un ampio repertorio, che approfondisce in particolare i disegni eseguiti in funzione dell’utilizzo per l’incisione, attività alla quale l’artista si dedicò assiduamente nel settimo decennio del secolo e che è ben rappresentata nella rassegna.
Il Rosa, oltre a studi preliminari all’esecuzione di incisioni, soprattutto acqueforti, realizzò anche numerosi disegni destinati ad essere venduti come opere d’arte indipendenti, nei quali amò rievocare quei misteriosi paesaggi, aspri di rocce e densi di vegetazione con alberi morenti ed i classici rami spezzati, animati da figure di eremiti e da candide creature di un insuperabile epos virgiliano.
Egli si espresse con la più ampia libertà di esecuzione e pur riprendendo dal Ribera alcuni elementi, quali la rapidità del tratto e la semplicità del modellato, raggiunse apici sconosciuti al pur grande valenzano. Nell’acquerello, tecnica prediletta dal Rosa, riuscì ad ottenere effetti di luce di inusitata ampiezza; elevati livelli qualitativi gli erano altresì congeniali attraverso l’uso della penna e del gessetto. Fecondo ed apprezzato come incisore e come grafico, affidò alla diffusione dei suoi fogli gran parte della sua fortuna, che fu pari alla sua fama di pittore.
L’artista come è noto non ebbe allievi diretti, ma si servì soltanto di aiuti che sbozzavano le sue tele. Il De Dominici indica alcuni nomi come seguaci, mentre il grande successo dell’artista giunse fino al secolo successivo con un corteo di imitatori a volte anche molto modesti.
Oggi la critica, pur se ha in parte ridimensionato la figura artistica di Salvator Rosa, comunque gli riserva una posizione significativa nel panorama figurativo non solo italiano ma europeo e la grande mostra napoletana concorrerà a diffondere la sua conoscenza tra gli appassionati e gli studiosi.
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