1/12/2008
Tra le tante importanti mostre che attualmente si svolgono a Roma (Picasso al Vittoriano, da Rembrandt a Vermeer alla Fondazione Roma) la più completa, la più bella, la più sensuale è senza ombra di dubbio quella su Giovanni Bellini, che si può visitare fino allo 11 gennaio alle Scuderie del Quirinale.
Si tratta di una retrospettiva che prende in esame i tre quarti della produzione dell’artista, proveniente dai più importanti musei del mondo, incluse alcune celebri pale d’altare spostate per la prima volta dalla sede originaria come lo spettacoloso Battesimo di Cristo (fig. 01) della chiesa di Santa Corona a Vicenza, una mirabile sintesi di umanità divina e realtà naturale con le figure immerse in uno splendido paesaggio.
Giovanni Bellini occupa una posizione centrale nello svolgimento della pittura italiana, sessanta anni a dipingere senza un attimo di sosta, dalla metà del Quattrocento al 1516, anno della morte, con una traiettoria artistica che parte dagli esempi del Mantegna, di Antonello da Messina e dei nordici, soprattutto Jan Van Eyck e Roger Vanderweyden, dai quali apprende l’utilizzo di una luce calda che scandisce i piani del reale, per giungere, nell’ultimo decennio di attività, a dialogare con gli astri nascenti della civiltà pittorica veneziana partoriti dalla sua fertile lezione: Giorgione ed il giovane Tiziano.
Soprannominato il Giambellino, da Zuan Bellin, nasce a Venezia intorno al 1435 – 38, una data che studi recenti hanno posto in avanti di circa un decennio, figlio del celebre pittore Jacopo, fratello di Gentile, che famoso sarebbe diventato, cognato di Andrea Mantegna, che nel 1453 sposa la sorella Nicolosia.
Dimostra di conoscere la sintesi forma luce colore di Pietro della Francesca, unita alla nitidezza e precisione ottica della pittura fiamminga, la sua tecnica, partita dall’uso della tempera, maturerà fino ad adoperare l’olio a tal punto da impastare direttamente le forme con i polpastrelli.
Realizzerà figure perfettamente immerse nello spazio circostante, con una luce che accarezza i personaggi resi con un realismo sobrio ed un gusto minuzioso del particolare, oltre ad un’accuratezza descrittiva del dato naturale che giungerà a definire ogni specie botanica con stupefacente precisione.
La visione dei suoi quadri provoca un’intensa commozione per via di una luce delicata e sensuale che infonde la vita ai protagonisti della sua pittura, siano essi uomini o animali o la stessa natura, che sembra palpitare di vita spontanea.
I suoi colori morbidi accarezzano con eguale dolcezza la carne e la pietra. Le sue madonne hanno il volto sereno e rassicurante grazie ad un soave gioco di luce ed ombra, mentre la vegetazione si staglia sullo sfondo nitida e chiara.
Nell’impostazione dei suoi quadri vediamo applicata con prodigiosa preveggenza una delle tecniche adoperate oggi dal cinema: filtri morbidi per i primi piani sui volti e limpide messe a fuoco per il paesaggio.
Bellini ci fornisce rappresentazioni della natura precise fino al minimo dettaglio, pervasa da una profonda spiritualità, certo che tutta la materia è ugualmente sacra agli occhi del Creatore.
L’itinerario della mostra si apre con la spettacolare Pala di Pesaro(fig. 02), un’opera di grosse dimensioni, ritenuta “il punto zenitale della pittura italiana” dove tutto è infinita continuità prospettico spaziale, ma nello stesso tempo calma, luce, splendore, con una cornice che crea un continuum con la pittura, vero quadro nel quadro.
Seguono poi alcune sale dove si possono apprezzare gli esordi del pittore alle prese con le ripetute iconografie: Madonna col Bambino(fig. 03), Pietà(fig. 04 - 05), Cristo crocefisso.
Si giunge poi al cospetto di un capolavoro, la Pietà (fig. 06) conservata a Venezia nel Palazzo ducale, la quale, eseguita nel 1472, rappresenta la sua prima importante committenza pubblica per il Doge ed il governo della Serenissima, che utilizzerà i Bellini come pregevoli illustratori della storia della città e dell’oligarchia veneziana.
Una tavola che ci fornisce compiutamente il senso della pietas belliniana nei volti sofferenti della madre e di Giovanni, che una luce tremula rischiara facendo risaltare lo strazio per la morte del Cristo.
Una testimonianza di committenza privata ci è data dalla Continenza di Scipione della National Gallery di Washington, un fregio d’aspetto marmoreo di oltre tre metri.
Ci aspetta poi la Resurrezione(fig. 07)della Gemaldegalerie di Berlino, una pala d’altare nella quale la figura del Redentore si staglia vigorosa in un cielo dal chiarore diffuso che diventa protagonista della narrazione, mentre un lugubre rapace volge lo sguardo lontano, simbolo della morte vinta dal Cristo risorto.
A far da corona alla Resurrezione una serie di Madonne col Bambino(fig. 08 – 09) ed una Santa Giustina placidamente delineata nella trasparenza di una luce che dona un’aura di serena classicità.
Prima di continuare nella descrizione delle opere in mostra, per completare un’analisi sulla produzione del Bellini, vorremmo segnalare brevemente tre lavori della cui assenza si sente dolorosamente la mancanza.
Essi sono la Trasfigurazione(fig. 010)del museo di Capodimonte, una tappa fondamentale nel percorso dell’artista, il quale sa infondere allo spazio cromatico della figurazione valori inediti di unità e coerenza sul piano naturalistico, mentre Cristo e gli apostoli sono immersi nella luce calda di un tramonto, che lega ad un comune destino le sorti dell’uomo a quelle della natura.
La Donna nuda allo specchio(fig. 11) del Kunsthistirisches di Vienna è un inno alla bellezza muliebre, unica concessione al fascino delle deliziose curve femminili da parte del pittore già ottantenne, dove l’imbarazzo per l’esplicita rappresentazione anatomica è superato attraverso una soluzione cromatica delicatissima, contrastando l’ombra densa dell’interno con la vibrante luminosità dello scorcio di paesaggio.
Ed infine il Festino degli dei (fig. 12) della National Gallery di Washington, un tema profano richiesto da Alfonso d’Este per il suo castello di Ferrara, al quale mise mano in seguito il giovane Tiziano per rendere più audace il decolté delle giovani fanciulle poste sulla destra della composizione.
Proseguendo nelle sale successive sono esposte una serie di opere dominate da un fondo scuro che fa risaltare i rapporti tra luce ed ombra, un preannuncio dei celebri notturni secenteschi.
La Presentazione al tempio(fig. 13) della Fondazione Querini Stampalia di Venezia, che fa da logo alla mostra, è tutto orientato alla meditazione con un tacito dialogo di sguardi.
Un altro capolavoro esposto è poi il Compianto su Cristo morto degli Uffizi, una tavola incompiuta che palpita nella perfezione grafica del segno in assenza dell’esaltazione del colore.
Le sale dedicate alle madonne(fig. 014) ci forniscono una puntuale conferma dell’iconografia predilletta del Bellini legata a non meno di 80 esemplari, prototipi per infinite repliche di bottega.
La più antica, datata 1487, delle Gallerie dell’Accademia di Venezia ci permette di leggere nel volto della Madonna uno sguardo tra il fiero, il protettivo e l’ansioso, come è lo sguardo di tutte le mamme.
Originale è la Madonna dei cherubini rossi(fig. 015),il Crocifisso nel cimitero ebraico(fig. 016) è dominato dal vento impetuoso, che sferza i declivi, mentre si possono distinguere ben trenta diverse specie botaniche perfettamente definite in punta di pennello.
Uno struggente tocco di poesia emana dal mistero che avvolge l’Allegoria sacra(fig. 017) degli Uffizi, una delle tavole più studiate ed affascinanti del Rinascimento dal soggetto criptico, che Longhi riteneva di sciogliere in una descrizione delle anime del Purgatorio.
Entrando nel nuovo secolo ci accorgiamo che il mondo statico quattrocentesco è finito con la moderna visione del Bellini di una luce in grado di vivificare l’uomo e la natura, avvolgendo in una vivida vastità di tinte architetture e figure, terre ed acque, albe e tramonti; è la luce che accende l’aria ai primi bagliori del sole nel Cristo risorto benedicente del Kimbell art museum di Forth Worth nel Texas o la poesia che emana potente nelle numerose madonne, tra le quali spiccano quella di Brera, della Galleria Borghese e della National Gallery.
La mostra si chiude con un Ritratto di Cristo che ci guarda diritto negli occhi, dandoci l’impressione di essere qui con noi e con un dipinto singolarissimo, che Longhi enfaticamente definiva la prima opera della pittura moderna: l’Ebbrezza di Noé(fig. 018)del museo di Besancon. Una tela marcata da una bizzarra impaginazione che fa protrudere i protagonisti quasi a contatto fisico con l’osservatore, da Noè, precipitato scompostamente a terra in preda ai fumi dell’alcol, al figlio degenere Cam, che si fa beffa della scomposta nudità del genitore, mentre Sem e Jafet distolgono lo sguardo e cercano di ricoprire alla meglio il patriarca venuto clamorosamente meno al suo ruolo ed alla sua dignità.
Una deridente metafora del disfacimento della famiglia e dello Stato in un momento in cui la sua città era indebolita da una crisi di governo e dilaniata da discordie civili. Un prodigioso acuto di inusitata libertà espressiva al di fuori di ogni precedente canone stilistico come spesso accade ai grandi vecchi a confronto con la gioventù.
La vita terrena di Bellini volge oramai al termine e si concluderà con il pennello in mano, come ci raccontano i cronisti dell’epoca:”Questa mattina esser morto Zuan Beli net cussi vecchio come l’era dipingeva per excellentia”.
Era il 29 novembre del 1516.
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