venerdì 16 marzo 2012

La crisi del Cristianesimo e la morte di Dio

16/3/2012

La frequentazione di un corso di catechismo per adulti in un luogo che ho vergogna ad indicare attraverso la lettura dei passi del Vangelo, mi ha convinto che, a fronte di un linguaggio superato, fatto di metafore a volte poco comprensibili, ha la forza di invaderci con un messaggio in grado di raggiungere il cuore di ogni uomo.
Le grandiose parabole bibliche che hanno ispirato Dante, Shakespeare e Goethe, non riescono più a sconvolgere le masse.
Le frasi del Vangelo non vengono più percepite con l’entusiasmo dei tempi antichi, mentre il messaggio di pace e di fratellanza di Gesù conserva intatta la sua prorompente vitalità.
Oggi le parole della Chiesa non vengono più ascoltate, mentre una moltitudine di praticanti si dedica soprattutto al volontariato,come se intuisse che fare del bene è il primo passo per avvicinarsi a Dio. Nello stesso tempo milioni di giovani, i Papa boys, si riuniscono a Roma, nel pieno della calura estiva ad un cenno del pontefice.
Il rischio è che il Cristianesimo si possa laicizzare, divenire una religione civile, alla quale importa fare opere buone, avere sentimenti di fratellanza, perdendo ogni contatto con il sacro e con il divino.
Spesso la Chiesa con le sue gerarchie e con la sua invadenza nella vita civile viene vista come una intollerabile arroganza. La pretesa di regolamentare le leggi sull’aborto, sull’eutanasia, sulle unioni fuori dal matrimonio non vengono più sopportate, anche se ad esse il dettato papale non può e non deve rinunciare.
La struttura organizzativa pontificia accentrata in un governo di tipo monarchico è un grave ostacolo al rinnovamento della Chiesa, che si trova a rivivere la più profonda crisi di fiducia dai tempi della Riforma. La cecità delle alte gerarchie di fronte alle esigenze dei fedeli, dalla omosessualità all’uso del preservativo, sono stati rimossi e cancellati. Altrettanto pesa l’immenso scandalo della pedofilia, una diretta conseguenza dell’obbligo del celibato dei preti, mentre non si apre il diaconato alle donne, reintroducendo liturgie e comportamenti medioevali che il Concilio aveva cercato di far dimenticare.
Il collasso della fede sta proprio nella difficoltà di amalgamare parole antiche con un linguaggio moderno, per rispondere a quell’80% dell’umanità che si dichiara religiosa, con l’ansia di rispondere ad angosciose domande che ci assillano: da dove veniamo, dove andiamo, quale è il significato della nostra esistenza?
Nessuno può ragionevolmente credere che un universo regolato in maniera mirabile non abbia un senso e sia stato opera di una intelligenza suprema.
Il dramma sta nel dubbio che questo supremo demiurgo non si preoccupi più di tanto del destino dei nostri corpi, i quali abitano  il nostro microscopico pianeta, un granello di sabbia nell’immensità dell’universo.
A guidare le nostre azioni rimane la nostra coscienza, ma anche il tanto decantato libero arbitrio vacilla a seguito delle incalzanti scoperte della neurobiologia, la quale ci indica con sempre maggiore precisione, tra il vortice di segnali elettrici scaturiti dai 120 miliardi di neuroni che compongono il nostro cervello, i loci dove si annida il senso morale, che ci rende diversi dalle bestie, dominate unicamente dall’istinto.
Di recente si è parlato di un docile operaio, il quale a seguito di un incidente che gli danneggiò la amigdala, sopravvisse 12 anni perdendo ogni capacità di distinguere il male dal bene. L’etica di quel’uomo era tutta in quel gruppo di connessioni neuronali danneggiate?
Ma possiamo credere che siamo avari per scarsità di ossitocina, erotomani per eccesso di testosterone, lussuriosi per azione della dopamina.
Da cui il bisogno insopprimibile di aggrapparsi alla fede, alla religione, ma sappia parlarci con una lingua moderna, più comprensibile e riesca a confortarci ed a fornire una risposta plausibile agli interrogativi che ci tormentano.

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