giovedì 15 marzo 2012

Il seno nell’arte antica

3/3/2006


Il capitolo della rappresentazione del seno nell’arte è poco meno che sterminato, perchè già nelle epoche più remote ignoti artisti hanno glorificato questo prezioso attributo della femminilità.
La più antica testimonianza può essere considerata la Venere di Willendorf (fig. 1) del Kunsthistoriches museum di Vienna, risalente al Paleolitico. Raffigura una Grande madre o una Madre originaria. E’ un simbolo universale del femminino, una dea dell’amore e della fertilità ed è caratterizzata da una marcata evidenziazione dei genitali esterni e da un seno spazioso e prominente.


Queste Veneri preistoriche riflettevano un ordinamento sociale in cui le donne ricoprivano un ruolo di primo piano, in un periodo storico in cui mancano immagini di combattimenti, mentre nella maggior parte delle religioni l’immagine della mammella viene collegata ad un primordiale principio di fecondazione e nutrimento.
E tale situazione di predominio femminile prosegue nella Creta minoica dove le donne, come capi clan o regine o sacerdotesse, assumevano spesso un ruolo dominante, che ben si esprime nella figura della dea dei serpenti, della quale possiamo farci un’idea ben precisa attraverso una statuetta di terracotta policroma (fig. 2) del museo archeologico di Candia, che la rappresenta come una donna molto truccata e con il seno prominente e nudo.
Anche le Cretesi di alto lignaggio indossavano come la dea o le sacerdotesse della sua casta questi indumenti, che stringevano la figura per alzare ed accentuare i loro seni nudi ed enfatizzare i fianchi, facendo apparire i loro corpi più slanciati e voluttuosi. La civiltà minoica rappresentò la prima cultura estetizzante, nella quale la cura nel vestire si configurò come una vera e propria arte, a tal punto che l’abbigliamento cretese deve essere considerato il più antico precursore della moda del XX secolo.

Anche le donne egiziane di alto rango, come le cretesi, circolavano abitualmente col seno scoperto, con la sola differenza che questo non era sostenuto dalla pressione di un corsetto.
Tra le antiche civiltà, presso gli Egizi, la figura di Iside raggiunge la maggiore estensione cronologica e geografica, dall’area del Mediterraneo alle remote regioni tranreniane e trandanubiane. In seguito, con l’affermazione del Cristianesimo, la sua immagine mentre allatta Horus rivive nella Madonna del latte, iconografia di grande diffusione della quale mostriamo un esempio, di collezione privata napoletana, dovuto al pennello di un ignoto stanzionesco, attivo intorno al 1640.
Nella mitologia greca il mito della Grande madre si trasferisce nella dea Giunone, la quale, una volta accolta nel pantheon romano, diventa la protettrice delle donne ed un archetipo di bellezza che giungerà immutato fino al Rinascimento. La divinità era portatrice anche di una simbologia materna, che trova la sua poetica affermazione nel mito della nascita della via Lattea, originatasi da un abbondante fiotto di latte schizzato dai suoi seni prorompenti(fig. 3).

Sempre in tema di fecondità e di nutrimento attraverso il latte una silloge perfetta può essere considerata l’Artemide Efesia conservata nel museo Archeologico di Napoli, una replica romana in alabastro della statua del santuario di Efeso, simbolo di fertilità e di forza vitale, ben espresse dalle numerose file di mammelle pendule, alle quali fanno da contraltare i poderosi scroti dei tori sacrificati.
Un interessante mito è quello delle Amazzoni, che rappresenta un ricordo delle società matriarcali presenti per secoli in una vasta area geografica dell’Asia minore. Di esse ci parlano numerosi autori dell’antichità, tra cui Omero, Tolomeo e Virgilio.
Le Amazzoni erano un popolo di sole donne governate da una regina e gli uomini erano rigorosamente esclusi dal loro territorio, per cui, per perpetuare la stirpe, esse si recavano ogni anno in primavera presso tribù vicine e consumavano fugaci rapporti sessuali a solo scopo riproduttivo.
Secondo la leggenda le Amazzoni si amputavano un seno per poter più agevolmente adoperare l’arco, da cui l’etimologia del nome (amazon, senza un seno).
Tra gli episodi più famosi legati a questa stirpe di donne guerriere ricordiamo Achille che uccide Pentesilea e le Amazzoni contro Eracle e contro Bellerofonte. Le più antiche rappresentazioni artistiche del mito le abbiamo in Grecia nel VI secolo a.C.,sia su vasi a figure nere che nella plastica decorativa.
In seguito, nel IV secolo a.C., le incontriamo ad adornare il frontale dei sarcofagi, perchè erano considerate apportatrici di morte agli uomini.
Splendidi esempi sono il Sarcofago delle Amazzoni del Kunsthistoriches di Vienna e quello conservato nel museo egizio etrusco di Roma.
Anche nel Seicento il mito ebbe numerose espressioni artistiche, tra le quali la più spumeggiante, per intreccio dinamico e tripudio cromatico, è la Battaglia delle Amazzoni, eseguita nel 1618 dal Rubens e conservata nella Alte Pinakothec di Monaco.

Prima di esaminare dettgliatamente il lungo percorso della cultura figurativa occidentale alla rappresentazione del seno, volgiamo un breve sguardo alle arti primitive, dove non mancano esempi di attenzione all’esaltazione delle mammelle come organo legato al nutrimento ed alla fecondità della terra ed al lontano Oriente, Cina ed India, patria di civiltà millenarie e di un’arte raffinata. Tra gli esempi di arte primitiva africana segnaliamo una statuetta femminile in legno(fig. 4) del museo dell’Homme di Parigi, un prodotto dei Senufi, un popolo che abita la savana a nord della Costa d’Avorio. La scultura realizzata a stacchi netti e con un profilo estremamente angoloso, presenta un seno pendulo ed estremamente appuntito, che concorre ad evidenziare la protuberanza acuminata del ventre. Mammelle afflosciate ed addomi batraciani sono da millenni il segno distintivo delle popolazioni centro africane, caratteristiche prodotte, la prima da una congenita lassità dei muscoli pettorali, la seconda da una ipovitaminosi latente e diffusa.

La Guanyin, raffigurata in una statuetta lignea policroma del museo di Pechino, è una forma particolare di divinità buddista ed è considerata, sia in Cina che Giappone, espressione di misericordia e compassione. Spesso intesa come protettrice dei parti e custode dei figli trova nel seno allattante il fulcro centrale della composizione. Venerata a partire dal X secolo rappresenta una tardiva elaborazione della pietà buddista popolare, che soppiantò gradualmente divinità shinto (in Giappone) e maoiste (in Cina) preesistenti.
La Yashoda che allatta il dio Krishna, ben espressa in una scultura in arenaria con pittura monocroma della collezione Meddens di Amsterdam, rappresenta il porto sicuro dove trova ricovero e nutrimento la divinità più amata della religione indù. Yashoda nel pantheon induista è la divinità preposta a proteggere il parto ed i fanciulli, ma soprattutto presiede all’allattamento, fonte primigenia di vita e nutrimento, per cui il centro dinamico della sua azione benefica è collegato alle mammelle, forti e generose.
In epoca moderna, a partire dal XV secolo, gli artisti, dopo i secoli di buio oscurantismo medioevale, non hanno mai cessato di interessarsi al seno femminile nelle sue svariate sfaccettature: scoperto o maliziosamente velato, innocente o peccaminoso, pubblico e privato, disponibile e proibito, senza tener conto delle forme e dei gusti anatomici, che nel tempo hanno subito sostanziali variazioni.
Dal seno efebico a quello prorompente, dalle forme opulente ed ipercolesterolemiche, glorificate nel Cinquecento e nel Seicento, ai seni a goccia o a pera, cari sia ai pittori pre rinascimentali che alle avanguardie del Novecento. Una carrellata affascinante alla ricerca di una chiave di lettura, di una impossibile quadratura del seno, l’instabile oggetto del desiderio nel quale, pittori e scultori di ogni tempo hanno travasato le follie, i sogni, le ossessioni, i giochi fantastici, i pensieri di milioni di uomini, ansiosi di trovare una impossibile risposta alle loro ansie ed alle loro chimere.
Jean Fouquet, uno dei massimi protagonisti del fecondo dialogo tra Settentrione e Mezzogiorno che domina la pittura europea del Quattrocento, ci dà una interpretazione della Madonna col Bambino(fig. 5) maliziosa ed innocente nello stesso tempo, nella tavola oggi ad Anversa nei Musees Royaux des Beaux Arts.


La sferica mammella sinistra della Vergine, che fuoriesce generosa, debordando dall’abito, richiama a viva voce i seni siliconati di una chirurgia estetica di basso rango, ma, stupefacente, è carne vera, che si mostra impudica all’osservatore con la silenziosa approvazione degli angeli, dipinti di un rosso fuoco, incerti tra incredulità e stupore.
L’artista, che dipinge nel 1450, ben prima dei furori iconografici controriformisti, riproduce nei tratti della Madonna il viso e la bellezza devastante di Agnes Sorel, la favorita di Carlo VII, morta giovanissima in quello stesso anno.
Piero Di Cosimo, segna il passaggio della pittura toscana dal primo Rinascimento al Cinquecento. Artista dalla precisione fiamminga e dalla fertile vena creativa nel ritratto di Simonetta Vespucci, eseguito nel 1480, oggi nel museo Condè a Chantilly, ci offre un seno lieve, pallido, appena accennato, sul quale striscia minaccioso un elegante serpente, già presago della prossima prematura morte della bellissima fanciulla, dal fascino misterioso e dalla profonda malinconia, accentuata dallo studiato effetto di contrasto della nube scura che incornicia il volto, dominato da una splendida quanto preziosa acconciatura.
Pochi anni dopo Hans Memling, campione nordico della pittura a carattere religioso e devozionale, si confronta e lo farà una sola volta con il nudo femminile nella Betsabea al bagno(fig. 6), conservata a Stoccarda nella Staatgalerie. Il dipinto è uno dei rarissimi esempi di nudo muliebre nella pittura neerlandese del Quattrocento e come tale ha risvegliato l’interesse degli studiosi. Il Memling, rifacendosi ai raffinati modi pittorici del van Eyck, ha impresso un vivace senso di movimento alla figura della donna dai contorni di un’astratta bellezza. L’incarnato lucentissimo, alabastrino ci dà l’idea del marmo, ma di una marmo caldo, palpitante di vita e di desiderio. I seni sembrano assecondare la descrizione ideale che Ugo de Fouillot, celebre cantore della bellezza femminile ne fece in un suo sermone di commento al Cantico dei Cantici:” belli sono infatti i seni che sporgono di poco e sono modicamente tumidi…trattenuti, ma non compressi, legati dolcemente senza che ondeggino in libertà”.

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