lunedì 19 marzo 2012

Il genio incontrastato di Salvator Rosa

4/6/2007

Un altro allievo di Ribera è Salvator Rosa, il quale entra nella sua bottega grazie all’interessamento del cognato Francesco Fracanzano, passera poi in quella di un altro ex allievo Aniello Falcone, quando questi diventa autonomo e vi rimarrà per tre anni.
Dal Ribera egli eredita il vezzo per i tipi volgari, l’amore per le espressioni tragiche e la gioia nel rappresentare le sofferenze umane, mentre dal Falcone recepisce la simpatia per la macchietta e la grande abilità nel dipingere le battaglie.

Presto lascerà Napoli, che rimarrà sempre nel suo cuore e conserverà il suo spirito partenopeo e la sua vena naturalistica, anche quando divenne una delle maggiori personalità del Seicento italiano e l’eco della sua fama percorse fino al Settecento tutta l’Europa.
Nel 1635 si trasferisce a Roma dove ha contatti con l’ambiente dei  Bamboccianti, con Claude Lorrain e Nicolas Poussin e comincia a cogliere del paesaggio il suo aspetto pittoresco. Di questo periodo sono l’Erminia e Tancredi e la Veduta di una baia conservati nella Galleria estense di Modena e l’Incredulità di San Tommaso del museo civico di Viterbo.

Costretto a fuggire da Roma per le sue pungenti recite satiriche sotto la maschera napoletana di Pascariello Formica, nel 1640 il Rosa si rifugiò a Firenze sotto la protezione del cardinale De Medici, in un ambiente culturale di scienziati e letterati nel quale si rinfocolarono le sue ambizioni di umanista e filosofo stoico. Scrive le sue Satire  e viene influenzato da artisti come Jacques Callot e Filippo Napoletano. Il paesaggio naturale, spoglio,  selvaggio e carico di mistero, diventa scenario per la rappresentazione idealizzata di episodi della vita di grandi filosofi e di grandi personaggi storici, come nel Cincinnato chiamato alla fattoria e nell’Alessandro e Diogene, entrambi nella prestigiosa collezione Spencer ad Althorp o nella Selva dei filosofi conservata a Firenze a Palazzo Pitti.

Contemporaneamente dipinge grandiose scene di battaglie che nella loro  monumentalità si risolvono anche esse in solenni rappresentazioni ideali. Uno spirito epico anima le sue tele come una fiamma, una torrida febbre percorre le sue composizioni di grandi dimensioni, dotate di un ricco paesaggio con città sullo sfondo, ruderi di templi ed edifici lontani che smorzano in parte la tragicità delle scene. Nelle mischie furibonde si riesce a cogliere il senso di un dramma cosmico come quello della guerra.

Negli ultimi anni del suo soggiorno fiorentino i suoi interessi artistici si allargano ai temi esoterici della magia e della stregoneria, infatuato dalla cultura magico filosofica di Giovan Battista Della Porta, ricordiamo Streghe ed incantesimi, eseguito nel 1646, alla National Gallery, mentre la sua pittura sempre più scura nei toni si concentra sulla rappresentazione allegorica di temi morali ed idee filosofiche come nella Fortuna conservata al Paul Getty museum di Malibu.

Animo estroso e bizzoso il Rosa fu pittore e disegnatore, incisore e poeta, letterato e polemista, teatrante ed erudito, un personaggio veramente complesso, dal temperamento vivace ed animoso, insofferente della società del suo tempo, sdegnoso del volere dei committenti, ma nello stesso tempo ansioso di essere ammirato.

Tornato a Roma nel 1649 è ambito da facoltosi committenti ed è richiesto dalle maggiori corti europee principalmente per i suoi paesaggi, spesso animati da vivaci figurine ed imitati fino alla fine del Settecento. Lo scenario è spesso quello del sud con le sue rocce ed i suoi panorami aspri e severi, resi con una certa dose di libertà espressiva e di fantasia, che non permette mai di identificare con precisione i luoghi rappresentati. Il fogliame è reso con grande accuratezza e spesso sono presenti le caratteristiche torri di avvistamento presenti in tutte le nostre coste flagellate dalle incursioni dei saraceni. Le figure dei contadini sono riprese nell’atto di animare la conversazione con una gestualità tipica delle popolazioni meridionali. La scelta dei colori cupi ed ombrosi è una costante della paesaggistica rosiana che tende a rappresentare le sue scene al tramonto, per rendere l’atmosfera più raccolta e più intimo il discorrere dei personaggi.

Oltre al paesaggio si dedicò a dipinti di soggetto filosofico e mitologico come l’Humana fragilitas del Fitzwilliam museum di Cambridge e lo Spirito di Samuele evocato davanti a Saul acquistato da Luigi XIV ed oggi al Louvre. Negli ultimi anni della sua attività ritornò al paesaggio, dipingendo una natura spoglia e solitaria come gli eremiti ed i filosofi che l’abitavano.

La maggior parte dei dipinti di Salvator Rosa è conservata dal Settecento in Inghilterra, dove  la sua fama giunse all’apice grazie ad una biografia romanzata scritta nel 1824 da una fervente ammiratrice dell’artista Lady Morgan. Oltre manica egli fu apprezzato più che in Italia e molti videro in lui un precursore di Byron e del romantico ultra pittoresco. L’influsso del pittore italiano sugli artisti inglesi e sulla pittura olandese di paesaggio fu molto grande ed il paesaggio alla Salvator Rosa fu diffuso per molti anni dopo la sua morte grazie ad una serie di epigoni ed imitatori ed acquistò il carattere distintivo di un genere.

L’artista come è noto non ebbe allievi diretti, ma si servì soltanto di aiuti che sbozzavano le sue tele. Il De Dominici indica alcuni nomi come seguaci, mentre il grande successo dell’artista giunse fino al secolo successivo con un corteo di imitatori a volte anche molto modesti.

Notevole fu anche la sua attività di incisore attraverso la quale diffondeva le sue opere e di disegnatore, la cui abilità si apprezza anche per la precisione dei suoi schemi compositivi.
Oggi la critica, pur se ha in parte ridimensionato la figura artistica di Salvator Rosa, comunque gli riserva una posizione significativa nel panorama figurativo non solo italiano ma europeo.

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