domenica 18 marzo 2012

I fratelloni d’Italia

23/2/2007


Anche Pompei come Riace ha i suoi eroi, non sono due bronzi come la famose statue, bensì due campioni in carne ed ossa, i fratelli Giuseppe e Carmine Abbagnale, pompeiani del circolo nautico di Castellammare di Stabia, due giganti di 90 chili ciascuno, 1,86 il primo 1,83 il secondo.
I fratelloni sono nati a Messigo una frazione di Pompei a metà strada verso Castellammare, Giuseppe nel 1959 e Carmine nel 1962 in una famiglia di contadini. Il padre Vincenzo possiede circa tre moggi e mezzo di terra, poco più di un ettaro in cui si coltivano fiori, soprattutto gladioli per l’esportazione ed ortaggi: melanzane, pomodori, finocchi, carciofi, fagioli, patate. La terra tutta pianeggiante è bella e feracissima, possiede anche dell’acqua sorgiva e una piccola villetta, una sorta di casa colonica più moderna, che ha sostituito di recente una vecchia casa malandata e scarna, ove gli Abbagnale hanno sempre vissuto.
Mamma Virginia è una donna piccola anche se di ferro con dei profondi occhi luminosi ed in casa vivono altri quattro figli: Agostino, anche lui campione di canottaggio, Maria, Rosanna e Nunzia, gemelle.
Gli Abbagnale sono nati contadini e continuano ad esserlo, come contadini sono il padre, la madre, i nonni ed i bisnonni. Dopo ogni vittoria ritornano nella pace e nella tranquillità al lavoro dei campi, tanto che c’è già chi li chiama i Cincinnati di Pompei. La loro storia di campagnoli ruspanti è bella da raccontarsi, soprattutto quando in un momento come questo del Sud arrivano quotidianamente sulle pagine dei giornali notizie di «Campioni di malavita» di vendette fra clan rivali e di «medaglie d’oro» conquistate nella classifica degli omicidi o delle rapine.
Negli intervalli tra una competizione e l’altra spesso Carmine e Giuseppe si allenano, oltre che con pesi e corse, anche zappando la terra. La campagna con le sue coltivazioni e l’allevamento degli animali sono le maggiori preoccupazioni di casa Abbagnale e quando i due fratelli sono fuori per partecipare a delle gare, è necessario assumere due braccianti che costituiscono una bella spesa, pretendendo circa cinquanta euro al giorno oltre al vitto.
Carmine e Giuseppe sono le nuove perle e rappresentano la nuova contraddizione di una provincia e di una regione da sempre distintasi per carenze di ogni tipo, ma principalmente di impianti e di attrezzature sportive. Ad ogni loro vittoria, nessuna bella e sofisticata ragazza, nessun bottiglione di champagne, nessun sponsor, nessun nome da affidare all’etere per suggestionare il prossimo. Sul podio soltanto un po’ di commozione, il pianto dirotto di Carmine, il più giovane, alle note dell’inno di Mameli, il volo in acqua di Peppiniello, l’abbraccio dello staff azzurro. Poi da Castellammare via telex le felicitazioni del circolo nautico di Stabia. Una vittoria della semplicità, della serietà, dell’impegno e della purezza.
I due ragazzi sono stati avviati alla pratica sportiva da un fratello della madre Giovanni La Mura, di professione medico della mutua, che ha sempre praticato il canottaggio, e che ha trasmesso questa sua passione ai due nipoti. Lo zio una volta lasciata la pratica sportiva attiva diviene allenatore al circolo nautico Stabia di Castellammare, una associazione sportiva che è come una piccola grande famiglia dove tutti si aiutano e dove tutti si danno da fare per superare le innumerevoli difficoltà.
Un circolo ove il canottaggio viene praticato con grande impegno e con grandi sacrifici. Lo zio portava sempre i due nipoti a seguire le gare di canottaggio, incitandoli alla pratica sportiva e sperando che i due ragazzi un domani potessero prendere il posto che era stato suo e poi del fratello più piccolo Enrico, mai immaginando che Giuseppe e Carmine sarebbero divenuti una leggenda del canottaggio mondiale con i numerosi allori olimpici ed i titoli mondiali conseguiti a ripetizione.
Giuseppe, più grande di età ha cominciato a vogare un po’ prima di Carmine e le prime vittorie sono venute in coppia con Antonio Dell’Aquila.
Gli allenamenti avvenivano sempre alle prime luci dell’alba. La sveglia alle cinque, quindi una corsa a piedi verso Castellammare, coprendo una distanza tra andata e ritorno di circa 10 Km e costeggiando il Sarno, il fiume più inquinato del mondo. Nel frattempo mamma Virginia si alzava, preparava le borse con i libri e le colazioni, che consegnava allo zio, il quale, poi, in automobile le portava al circolo, ove i ragazzi dopo un buon allenamento che serviva al riscaldamento muscolare uscivano in barca e remavano fino alle otto. Quindi una rapida doccia e alle otto e mezzo a scuola, quindi nel pomeriggio bisognava aiutare il papà nel lavoro dei campi. La sera poi allenamento in palestra. All’inizio bisognava tornare a Castellammare, poi i fratelli si sono attrezzati in casa nel garage creando, anche se in maniera rudimentale, una palestra, tra gli utensili per la campagna, le cassette di bottiglia ed i barattoli di pomodori fatti in casa da mamma Virginia.
I risultati ottenuti hanno dimostrato che questa palestra, per quanto casereccia, ha ben funzionato. Questi grandi sacrifici hanno dato poi dei grandi risultati, che sono cominciati a fioccare dal 1981 con il successo ai mondiali di Monaco, ripetuto l’anno seguente a Lucerna. Quindi il primo trionfo olimpico a Los Angeles con la conquista della prestigiosa medaglia d’oro, che è rimasta al collo degli Abbagnale e del fido timoniere Peppiniello di Capua anche alle olimpiadi del 1988 a Seul, per trasformarsi in argento (una mezza delusione) nel 1992 a Barcellona. Nel frattempo una sfilza di titoli iridati o di prestigiosi piazzamenti.
Dal 1981, ininterrottamente gli Abbagnale sono sempre saliti sul podio in tutte le gare a cui hanno partecipato.
Sono diventati una leggenda del canottaggio mondiale cancellando il ricordo ed i records dei celebri fratelli della Germania Est Bernd e Joerg Landvoigt, i mitici canottieri della Dinamo Potsdam che nella loro prestigiosa carriera hanno vinto sei ori tra mondiali (74, 75, 78, 79) e olimpiadi (Montreal e Mosca).
La vittoria degli Abbagnale sono sempre avvenute all’estero in condizioni ambientali difficili, lontano da casa e senza il comfort di un pubblico amico, nonostante ciò non vi è stata mai una dichiarazione di stanchezza, di sfiducia, di paura di non farcela, di solitudine, mai una scusa o un comodo accenno agli sfalsamenti provocati dal cambiamento di fuso orario.
Essi non hanno charme da prima pagina, non fanno moda, né sono «beautiful» sono un po’ rudi e di poche parole, affezionati ed obbedienti ai genitori, piacciono più agli uomini che alle donne.
Giuseppe ha 35 anni, ragioniere, possiede pure il diploma dell’ISEF e dopo molte vicissitudini ha ottenuto un posto in banca, mentre Carmine geometra e diplomato ISEF, lavora per la regione Campania.
Nel meridione molti seguono le loro gesta attraverso i giornali, però non sono amati molto, perché ognuno li vede o troppo simili o troppo lontani da sé.
Essi vincono attraverso la pratica dell’umiltà e della serietà, il loro doping è la fatica, i loro tifosi più accaniti non hanno più di 40 anni, perché soltanto i ragazzi ed i giovani in generale si affezionano maggiormente a chi nonostante gli anni e le nuove mode, continuano come se niente fosse il loro mestiere di campione in una pratica troppo sottopagata per essere chiamata sport ed accendere entusiasmo.
I giovani capiscono bene che i fratelloni d’Italia hanno bisogno, a differenza di Maradona o di Gullit, di tutta la loro attenzione e solidarietà per poter andare avanti. Gli Abbagnale per una medaglia d’oro mondiale, che valeva una stagione, guadagnavano trenta milioni a testa, mentre un calciatore per un campionato prende fiumi di denaro.
Ai giovani piacciono questi due ragazzoni dai capelli arruffati e dalla fronte sempre sudata che partono nell’indifferenza e mettono in ginocchio il mondo, compresi quei giganti nordici e tedesco orientali con i loro laboratori sofisticati, che hanno inventato il canottaggio.
Per apprezzare, stimare e riconoscere appieno il valore degli Abbagnale non bisogna certo considerare il loro stipendio. I fratelloni hanno ormai conquistato con pieno diritto un posto stabile tra i migliori atleti di tutti i tempi.
Da oltre 10 anni è legata ai due Abbagnale l’immagine stessa del canottaggio italiano e mondiale.
Giuseppe e Carmine con il fedele Peppiniello di Capua sono da tempo lassù nell’empireo ideale che raccoglie i più grandi atleti di tutti i tempi e di tutte le discipline sportive, i loro nomi sono incisi in maniera indelebile al fianco di Paavo Nurmi e di Ninì Beccali, di Jesse Owens e di Emil Zatopek, di Fausto Coppi e di Edwin Moses, di Pietro Mennea e di Silvio Piola.
Sono forse divenuti cavalieri, grandi ufficiali o commendatori? Niente di tutto questo perché il canottaggio non regala onorificenze come il calcio, ove un titolo si ottiene anche per una medaglia d’argento.
Il canottaggio come e più del calcio richiede dedizione e tempo pieno e sacrificio ed ancora sacrificio.
Bisogna diventare dei superprofessionisti; dilettanti solo nel ritorno economico.
Il rapporto tra gli Abbagnale ed il canottaggio è sempre stato all’insegna dell’amore; essi hanno dato molto; ma hanno anche ricevuto molto: la possibilità di viaggiare per il mondo, di conoscere giovani di altre nazioni e di apprendere, in una parola la possibilità di migliorarsi come uomini, prima che come atleti.
Ogni mattina vi è una sveglia impietosa che li butta giù dal letto alle cinque e trenta in punto. Un orario che più di una volta ha fatto venire la voglia agli Abbagnale di mandare al diavolo il canottaggio. Per fortuna alle cinque e trenta del pomeriggio, i fratelloni la pensano sempre in un altro modo. Fortuna per loro e per il canottaggio italiano.
Raccontando la storia dei fratelli Abbagnale non si può non parlare di Giovanni La Mura, lo zio allenatore e di Peppiniello di Capua, fedele timoniere, compagno di tutte le vittorie della coppia d’oro.
Giovanni La Mura è medico della mutua a Castellammare, fratello della madre degli Abbagnale e da sempre allenatore dei fratelloni, che ha egli stesso indirizzato alla pratica del canottaggio.
Di recente si è dedicato alla politica mietendo lusinghieri successi, prima nel PSI e poi nella compagine berlusconiana di Forza Italia.
Ideatore di un azzeccatissimo spot pubblicitario, trasmesso ossessivamente a tutte le ore in tutte le televisioni private campane, in cui si vedeva un seggio elettorale durante lo spoglio delle schede, con il presidente che pronuncia un solo nome tra gli eletti: La Mura, La Mura, La Mura...
Per oltre 10 anni il canottaggio italiano ha vissuto di rendita sui trionfi del «due con» dello Stabia inventato dal dottore che quasi per caso nel 1972 lasciò il canottaggio attivo per coltivare un nuovo hobby quello di allenatore. Sopportato dai dirigenti federali, snobbato e criticato, è stato spesso in lotta con Nilsen, per lunghi periodi CT del remo azzurro, di cui ha contestato i metodi di allenamento ed il carisma di santone nordico.
Egli come segreto del successo degli Abbagnale ha introdotto una mentalità vincente con due sedute di allenamento al giorno ed una preparazione programmata su tempi lunghi, quindi senza l’assillo di dover conseguire risultati tecnici sempre di rilievo. Egli al circolo stabiese fece smantellare la flottiglia di jole e fece adoperare per gli allenamenti barche fuori scalmo identiche a quelle di regata. Pur credendo nell’importanza dei mezzi tecnici e delle infrastrutture, ritiene che senza la passione e la competenza non può venire fuori nulla. Il suo motto è che per ottenere risultati eccezionali bisogna sottoporsi ad allenamenti eccezionali. È necessario avere una predisposizione al sacrificio, perché il guadagno può essere importante e gratifica, ma lo sport ad alti livelli non può essere fatto come un qualsiasi lavoro. Il vero doping negli atleti onesti è costituito dalla fatica.
Diversa è la storia di Giuseppe Di Capua, «Peppiniello», il fedele timoniere, il cui nome è inscindibile coi successi dei fratelli Abbagnale. Tanta gloria e pochi soldi, ma a lui sta bene così.
Laureato in legge, lavora ai telefoni di stato. Un soldo di cacio di un metro e cinquantacinque centimetri di altezza per cinquanta chili di peso, qualcuno in più d’inverno per abituare i fratelloni ad un peso maggiore. Dopo ogni successo, un inevitabile volo in acqua, famoso in tutto il mondo, per sottolineare le vittorie ottenute dall’imbattibile «due con» del circolo di Castellammare di Stabia.
La sua carica di simpatia è inesauribile, la sua felicità dopo ogni successo è proverbiale. Egli non si lamenta di dover stare sempre o in allenamento o in gara con un massimo di 2 o 3 giorni di riposo dopo ogni gara importante, come un mondiale o un’olimpiade, né gli dispiace di guadagnare pochi soldi rispetto ai campioni di altri sport come il calcio, il tennis, lo sci o la stessa atletica leggera, in cui oramai circola molto denaro con tanti sponsor.
Nel 1981 per il primo titolo di campione del mondo egli intascò soltanto due milioni, che sono divenuti, dopo 10 anni, per l’ultima gara disputata a Bled ventisei milioni.
«Peppiniello» è un ragazzo semplice e sincero, tutto casa lavoro e barca. Egli è la «bussola» dei due fratelloni di cui non si stanca di scandire il ritmo del successo.
La storia avventurosa degli Abbagnale ha dato lo spunto al regista Stefano Reali per realizzare un telefilm, interpretato da Giuliano Gemma nei panni dello zio allenatore, in cui viene lanciato al pubblico il messaggio di speranza, che per vincere, nello sport, come nella vita occorre combattere con grande forza di volontà e determinazione.
Il telefilm ambientato a Castellammare racconta la storia di due eroi semplici, venuti su dal nulla con tanti sacrifici e soprattutto con tanta forza di volontà, che riescono a diventare campioni del mondo nonostante il desiderio del padre di trattenerli a lavorare la terra. I due ragazzi vincono in una disciplina che non attira grandi folle, né consente cospicui vantaggi economici. Il telefilm mette in risalto quanto sacrificio vi sia dietro ogni grande vittoria.
La storia degli Abbagnale, che è un po’ la storia di Davide che batte Golia, deve considerarsi una meravigliosa avventura, un’emblematica vicenda sportiva che esalta l’uomo che lotta per vincere.

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