"La pittura come racconto",
mostra dedicata al pittore seicentesco Andrea De Lione.
articolo pubblicato giovedì 13 novembre 2008 su "scena illustrata"
Organizzare rassegne interessanti su un pittore o su uno stile non è prerogativa di musei e sovraintendenze, lo dimostra in maniera convincente la mostra su Andrea De Lione e la bottega di Aniello Falcone allestita con amore e competenza da Napoli Novantanove, una bottega antiquaria sita in Napoli in piazza Vittoria, diretta da una dinastia di mercanti colti ed appassionati, i Porcini: Vincenzo, Dario ed Ivana, coadiuvati in questo lodevole progetto dalla competenza di Chicco Giacometti e dalla penna di un giovane studioso, Giuseppe Porzio, del quale sentirete parlare sempre più in futuro.Venti dipinti, tra cui numerosi inediti, dodici di Andrea De Lione ed otto di pittori coevi, allievi, salvo lo Schoenfeld ed Ascanio Luciani, di quella formidabile bottega di Aniello falcone, che per alcuni decenni costituì una virtuosa palestra per giovani talenti, alcuni dei quali, come Salvator rosa, spiccarono poi un volo autonomo e prodigioso.Dopo questa rassegna è auspicabile che le istituzioni sentano ancor di più l’esigenza di preparare una grande mostra sull’Oracolo delle battaglie e sul suo atelier
Ad Andrea De Lione, famoso battaglista, la critica in tempi recenti ha restituito numerose opere prima attribuite al maestro ed ha reso giustizia del parere negativo col quale era stato definito nel 1938 dall’Ortolani:"un brutto esemplatore di modi corenziani, poi discepolo del Falcone nella forma primitiva, per finire poi seguace del Gargiulo in alcuni paesaggi".Egli in vita godette di grande successo e della generale ammirazione e ciò è testimoniato dall’importanza dei suoi committenti, che furono, oltre al famoso mercante Gaspare Roomer, i principi di Sant’Agata, di Tarsia e di Ischitella.Come pittore di battaglie ancora insufficiente è la datazione del suo catalogo che comprende al momento una trentina di quadri sicuri eseguiti nell’arco di circa mezzo secolo, in attesa che finalmente qualche editore si decida a pubblicare la tesi della dottoressa Raffaella Notari autrice di un’esaustiva ricerca sull’artista.
I suoi inizi nel genere furono nella bottega del Corenzio autore di maestose composizioni con finalità eminentemente decorative, in seguito aderì alla salda impostazione naturalistica del Falcone, per assimilare poi, a partire dal 1635, l’estrosa eleganza pittorica del Grechetto, estrinsecatesi in una maggiore libertà espressiva ed in una preziosità della gamma cromatica con colori squillanti dal rosso acceso al giallo spento, con delicati tocchi di verde, bruno e azzurro.
Un’altra fondamentale differenza coi modelli falconiani, nei quali le spaziature geometriche sono sempre ampie e ben calcolate, è costituita dall’incastro tormentato dei piani e dall’aggrovigliarsi spasmodico delle figure dei contendenti.
Un’opera fondamentale nel suo percorso è la Battaglia contro i Turchi del Louvre, firmata e datata 1641, suddivisa su vari piani espositivi e frazionata in vari episodi.
Precedenti, intorno al 1630 – ’35, sono le due tele pendant, siglate, in collezione Nicolis a Torino e la Battaglia con David e Golia conservata a Capodimonte. Contemporanee alla tela parigina sono la Battaglia con due cavalieri in primo piano a sinistra di collezione privata napoletana, già attribuita erroneamente al Falcone ed il San Giacomo alla battaglia di Clavjo, transitata sul mercato antiquariale.
Oltre la metà del secolo va collocata la Battaglia biblica di collezione privata romana, mentre alla piena maturità sono collocabili diversi dipinti contrassegnati da un’impaginazione orizzontale con una contrapposizione tra figure emergenti in primo piano ed una rappresentazione sullo sfondo dell’evento bellico, in rinnovata sintonia con i modi falconiani. Un esempio tipico di questa fase finale è rappresentato dalla Battaglia tra Ebrei ed Amalachiti del museo di Capodimonte, alla quale va collegata la replica autografa con varianti, di collezione privata napoletana, resa nota dal Sestieri, nella quale “il drammatico impeto barocco degli scontri appare quasi raggelato, con bizzarri effetti di gusto neo manieristico". Egli partecipò tra il 1637 ed il 1644 alla nota commissione del viceré di Napoli, il duca di Medina, con opere di grande bellezza come i Quattro elefanti al circo di chiara ispirazione grechettiana. Celebre il suo Ritratto di Masaniello, firmato, del 1647 e dopo la rivolta il De Lione lascia Napoli e, con ogni probabilità, si trasferisce a Roma, dove fino al 1660 realizza alcuni dei suoi capolavori nel campo delle scene bucoliche, nel quale il Soria lo riconobbe indiscusso maestro. Nella città eterna entra in contatto con il Poussin ed il Bourdon, oltre al Castiglione, già conosciuto a Napoli ed anche egli a Roma dal 1647 al 1651.I modelli di scene pastorali del pittore genovese sono riletti dall’artista napoletano introducendo una nota classicheggiante ed in questo contesto nascono alcuni capolavori come il Venere ed Adone, firmato, già nelle collezioni Moffo Lanfranchi a New York e Mondadori a Milano, il Diana alla tomba di Endimione di una raccolta inglese ed il Tobia seppellisce i morti del Metropolitan, a lungo attribuito al Poussin prima che Anthony Blunt lo riconducesse al pennello del De Lione.
In questo gruppo di opere l’imitazione dei modelli del pittore francese è quanto mai accurata: il paesaggio, popolato da rovine classiche, gioca un ruolo di primo piano, in esso si muovono figure che sembrano parenti stretti delle opere più marcatamente neovenete del Poussin e tutta la stesura pittorica mostra una raffinatezza ed una precisione coniugata ad una sensibilità tesa e vibrante, rara in altre opere certe dell’artista.
Il De Lione ebbe una vivace produzione grafica ed una notevole attività come affrescatore, spesso confusa dalla collaborazione con il più anziano e ben più modesto fratello Onofrio: nella chiesa di Monteverginella, in Santa Maria la Nova, in San Paolo Maggiore (dove collabora con Andrea Vaccaro) e nella cappella Galeota del Duomo.
Del tutto recente l’ipotesi avanzata da Federico Zeri di Andrea De Lione pittore di natura morta con l’identificazione di una tela firmata in collezione privata a Ginevra, alla quale possono affiancarsi due dipinti di frutta del museo di Pau in Francia.
L’ipotesi richiede ulteriori conferme anche se nell’ inventario del principe di Ischitella, pubblicato dal Pacelli, figurano ben 17 quadri del nostro artista con soggetti di animali.
La complessità della questione è resa più intricata da un passo del De Dominici, che, dopo aver parlato di Andrea De Lione allievo di Belisario Corenzio, cita tra i pittori di natura morta un monsù Andrea Di Lione, cioè uno straniero, famoso per i suoi dipinti di animali ed acquafortista. Il biografo parrebbe alludere a due distinti artisti dallo stesso nome e cognome, una combinazione non rara nella pittura napoletana seicentesca, da Bartolomeo P(B)assante ad Hendrick Van Somer.
Le opere in mostra sono di grande interesse e ci mostrano la sua abilità di battaglista(fig. 2 – 3 – 4 – 5 – 6 - 8) alla pari di quella di delicato cantore di scene bucoliche (fig. 1 – 7 – 9 - 10).
Tra i comprimari vi è un Mosè ed il serpente di bronzo di Niccolò De Simone (fig. 11), un San Giacomo alla battaglia di Clavijo (fig. 12) di Aniello Falcone con il patognomonico polverone, un delicato Paesaggio con due pescatori (fig. 13) di Salvator Rosa, un Riposo dopo la caccia (fig. 14) di Schoenfeld, un Martirio di San Sebastiano (fig. 15) di Ascanio Luciani ed infine una splendida Decollazione di San Gennaro (fig. 16) eseguita da Carlo Coppola.
Forse sarebbe stato opportuno includere anche un dipinto di Agostino Beltrano, ritenuto uno stanzionesco, ma da considerare anche lui in molte opere un seguace del Falcone.
Nessun commento:
Posta un commento