20/5/2005
Vincenzo Rizzo è personaggio singolare, degno di essere apprezzato da un pubblico più vasto di quello degli addetti ai lavori, che da tempo ne conosce l’impegno indefesso e lo stima.
Se leggiamo la professione sulla sua carta d’identità leggiamo traduttore, ma Rizzo è innanzitutto artista, nato in una famiglia d’artisti, suo fratello Giacomo è infatti il noto comico. E le ore del mattino sono dedicate al suo routinario lavoro svolto in un’antica bottega di fronte il Tribunale di Castel Capuano, ma basta andare nell’appartamento alle spalle del negozio per capire le vere inclinazioni di Vincenzo. Una biblioteca di libri d’arte, 10.000 volumi, una delle più ricche raccolte private napoletane di testi sulla nostra gloriosa tradizione di antica capitale. Uno studioso dunque e ad essere più precisi un implacabile ricercatore di antichi documenti, che, tassello dopo tassello, ricostruiscono la verità, a differenza di tanti blasonati professori, che ritengono con un colpo d’occhio di poter risolvere una spinosa attribuzione.
Suo campo di battaglia l’Archivio Storico del Banco di Napoli, ma certo chiamiamolo ancora con l’antico nome, dimenticando l’odiosa nuova colonizzazione dei piemontesi. Tra montagne di carte ingiallite Rizzo si muove con disinvoltura e, munito di una segreta e magica bussola, sa scovare la pista per identificare l’autore di un quadro o di una scultura.
Le ore lasciate libere da questa passione sono dedicate alla creazione artistica ed i frutti possono essere colti nella mostra Pulcinelliade, dedicata ad una maschera, immortale, gioiosa e giocherellona, la più nota del nostro teatro, specchio del carattere di un popolo generoso e densa di effluvi tragici, malinconici, rapsodici, estenuati.
Quello di Rizzo è un canto eterno, un canto incorrotto, pregno di dolcezza, espressione di un amore che fu trasmesso a Vincenzo da Salvatore De Muto, l’ultimo grande interprete teatrale di Pulcinella, che il Nostro soleva rendere periodicamente visita, prima della morte, seduto su un sediolone igienico presso l’Albergo dei Poveri.
Ricevuto il testimone Vincenzo Rizzo è partito baldanzosamente come un aedo greco, custode del culto della Bellezza e della Passione, del Pianto rigeneratore, della Fatica e dell’effimero del Vivere.
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