15/12/2006
Un esempio calzante di luogo incantevole ridotto in brandelli dall’incuria degli uomini, è costituito dalla costa di Coroglio, una spiaggia che, fino all'inizio del Novecento, era la meta spensierata della borghesia napoletana, per divenire, intorno agli anni Trenta, un mostro, un tetro gigante di ferro che occupava due milioni di metri quadrati di territorio e che vomitava a mare, senza sosta, giorno e notte per settant'anni, venti milioni all'ora di veleni: cloro, ammoniaca, solfuri, fenoli, idrocarburi, mentre le gigantesche ciminiere inviavano in forma gassosa un'eguale quantità di veleni verso il cielo.
Senza tenere conto dei guasti ambientali provocati dal collega inquinatore, la Cementir, oggi un terrificante scheletro di amianto, spacciato dai politici per decoroso esempio di archeologia industriale.
E dopo la lenta agonia che ha sottratto allo Stato, cioè a tutti noi, migliaia di miliardi spesi inutilmente per difendere un impianto antieconomico, ne è residuato un mostro ecologico che grida vendetta al cospetto di Dio e degli uomini per lo scempio paesaggistico e per lo scriteriato abbandono di una significativa fetta di territorio urbano, la più bella della città, che potrebbe, correttamente utilizzata, mutare il volto del nostro futuro ed assicurare un duraturo benessere alle future generazioni.
Assistere quotidianamente alle diatribe tra politici ed affaristi sulla destinazione di luoghi una volta incantevoli è uno spettacolo triste ed avvilente da scoraggiare il più accanito degli ottimisti. Oramai tutto il golfo è una cloaca a cielo aperto, una lurida fogna urbana, amministrativa e morale. Ogni bellezza è stata distrutta, ogni onestà inquinata dal vetriolo della camorra, i napoletani possono adoperare occhi e cuore solo per piangere.
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