28/2/2007
L’Origine del mondo la definiva pragmaticamente Gustave Courbet nel suo celebre ed audace dipinto (fig. 1) conservato oggi al Musée d’Orsay, del quale costituisce una delle opere più viste e meditate… e colpiva nel segno, anche se parzialmente, perché la riproduzione è soltanto una delle funzioni a cui è destinata la vagina, un termine troppo crudo che proponiamo di mutare in femalia, sì proprio femalia, un neologismo che rende conto con completezza sia della mirabile anatomia, sia della complessità dei suoi sofisticati meccanismi fisiologici ed anche del mistero del suo potere creativo.
Oggi nell’immaginario collettivo maschile sotto le gonne delle donne e purtroppo sempre più spesso tra le strette pieghe di un jeans si nasconde una semplice cavità, sede del piacere sessuale, sinonimo di erotismo ed eccitazione, mentre l’occhio femminile coglie altri particolari ed altre funzioni, nobili e prosaiche, identificandola come luogo di creazione del genere umano, come organo per urinare, come fonte di ciclici sanguinamenti e di fastidiosi dolori mestruali.
Lo studio dell’anatomia del perineo femminile è appena accennata anche nei licei, per cui confusione ed ignoranza vanno a braccetto e gran parte della popolazione possiede ampie lacune conoscitive, alle quali non ci illudiamo di porre rimedio attraverso qualche foto e qualche tavola illustrata che mostriamo all’attenzione del lettore, includendo anche un rarissimo caso di assenza congenita della vagina (fig. 2-3-4-5).
In passato, presso tutte le civiltà, ben altri erano i poteri di questo oscuro oggetto del desiderio. Essi andavano dal fecondare le messi a placare le onde del mare, dalla possibilità di scacciare il male alla facoltà di infliggerlo.
Alcune donne, particolarmente dotate di queste armi segrete, si trasformavano in esseri mitici e magici con i genitali normalmente velati che venivano esposti integralmente in situazioni eccezionali. Questa svestizione delle pudenda era manovra delicata e codificata da divenire un’arte, denominata in greco da Erodoto anasyromai, un gesto che poteva assumere significati diversi: apotropaico, per allontanare il male e quindi augurale e protettivo, o divenire un rito di fertilità, di trasmissione di fecondità ed a volte assestare un colpo mortale al nemico, una vera aggressione. Talune volte l’esposizione avveniva mostrando anche i glutei.
Esempi di queste straordinarie facoltà possiamo rintracciarli presso tutti i popoli e molte culture custodiscono ancora questi riti e li praticano in condizioni di bisogno.
Nel folklore catalano il mare in tempesta si calma al cospetto della vulva di una donna sacerdote, che ha il potere di placare la natura scatenata e di prevenire le sciagure. E non solo i naviganti possono solcare tranquilli i flutti, ma anche i pescatori di numerose tribù africane possono esercitare il loro antico mestiere senza timori, perché protetti dal gesto solenne della pubblica esposizione coram populo dei genitali delle donne della comunità.
Nell’antico Egitto, ma anche in numerosi altri paesi occidentali ed orientali fino al XX secolo, donne nude attraversavano i campi inseminati per allontanare gli spiriti del male e per infondere fertilità alla terra, affinché il raccolto crescesse prospero e rigoglioso, spesso innaffiando generosamente con liquidi organici naturali, ricchi di fosfati, l’arido terreno.
Le bellunesi adoperavano l’ostentatio addirittura per incrementare la produzione delle miniere e secondo la Blackledge, autrice di una monumentale monografia sull’argomento, su questa convinzione nasce l’originale rapporto tra Biancaneve ed i sette nani.
Un catalizzatore misterioso, pregno di fascinazione e segreti ed in grado di scacciare i demoni, terrorizzare le belve, spaventare prodi guerrieri. Per quanto inverosimile, è stato a lungo patrimonio di diverse culture. Gli stessi Plinio e Plutarco, la cui autorità è fuori discussione, narrano di grandi eroi e divinità terrorizzati davanti ai genitali femminili. Nella grande Russia si è a lungo creduto che gli orsi potevano essere messi in fuga da una fanciulla che si sollevava la sottana, una gestualità anche della cultura abruzzese ed indiana, mentre in Africa si spaventavano numerosi altri animali.
Le donne in possesso di questi oscuri poteri divenivano in passato influenti e temute, depositarie di facoltà imperscrutabili come il mistero della vita, della nascita e della morte, oggi il potere della vagina, pur priva della forza devastante dei ferormoni, umiliata da deodoranti ed abluzioni, è limitata a scatenare nell’altro sesso vivaci tempeste ormonali e, nel migliore dei casi, poderose quanto prolungate erezioni.
Un’altra credenza comune a numerose culture è quella della vagina dentata (fig. 6), dalla furia morsicatoria estirpativa spinta a volte fino all’omicidio. Un retaggio della fobia maschile di non essere in grado di soddisfare pienamente la inesausta sete sessuale femminile e del timore che la vagina si trasformi in una mostruosa dentiera mobile, catapultata a divorare frenetica le fragili appendici sessuali maschili, con tale foga da mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza della specie, fino a quando la fantasia popolare non materializza un eroe temerario, che riesca a spezzare i suoi denti aguzzi ripristinando l’ordine sociale.
Nonostante il posto di rilievo occupato dalla vagina nel nostro repertorio mitico, nelle arti figurative sono pochi gli esempi di rappresentazione, perché l’organo crea imbarazzo visto al di fuori delle sue funzioni riproduttive. Anche nei discorsi pubblici la parola viene bandita e diventa pronunciabile solo nella sua veste procreatrice, quando nel parto diviene commovente e ripugnante in pari misura.
Prima di Courbet vanamente cercheremo esaltazioni artistiche della femalia, ad eccezione delle esplicite statuette neolitiche propiziatrici della fertilità.
L’Origine del mondo, della quale abbiamo accennato nell’incipit del nostro elogio, fu commissionata all’artista da un ricco diplomatico turco, Khalil Bey, proprietario di una cospicua collezione e che volle l’originale dipinto per collocarlo nel suo bagno, protetto da un quadro sovrapposto raffigurante un innocente paesaggio. Il pittore, con rara precisione anatomica, immortalò la fisicità di un’ignota modella in un sorprendente capolavoro erotico, concepito per una fruizione intima e privata.
Una clamorosa descrizione in primo piano dell’organo sessuale femminile, sconvolgente per il realismo con cui è trattato un soggetto già di per sé scandaloso.
Il dipinto durante la seconda guerra mondiale scomparve per ricomparire nella villa di campagna del celebre psicanalista Andrè Lacan. Soltanto nel 1995 la tela è stata acquisita dal Musée d’Orsay e la sua esposizione desta quotidianamente tra i visitatori grande scalpore.
Tra le opere di artisti contemporanei proponiamo: un’audace contaminazione (fig. 7) tra Les Demoiselles d’Avignon ed un iridescente brulichio di piccole labbra luccicanti a forma di cuore o dal contorno ovale, paradisiache increspature di carne dai colori smaglianti; una fantasmagorica creazione (fig. 8) di un artista giapponese, folgorato da increspature ed infiorescenze, che producono una sinfonia di immagini concentriche indirizzate verso la vertigine dell’antro ed infine un’installazione (fig. 9) dallo squillante cromatismo pervasa da una resa ottica più vera del vero, con papille e vasi che gemono di vita e sembrano intonare un ammaliante richiamo verso un porto sicuro dove riposare per sempre.
Anche in natura ritroviamo le curve immortali e le anfrattuosità recondite della vagina perpetuate nel mondo vegetale e minerale, nella corteccia di un albero o tra i petali di un fiore, tra le nevi perenni di un ghiacciaio o tra le solenni fissità di un massiccio montuoso, tra la polpa bacata di una mela o in una innocente creazione culinaria dal gusto del marzapane. (fig. 10-11-12-13-14-15).
Fascino e bellezza, varietà di forme e di colori, dal rosa pallido al rosso vermiglio, pieghe delicate che brillano di luce spontanea, una straordinaria creazione che incute timore e venerazione, un archetipo che si ripete all’infinito in ogni punto dell’universo.
Il celebre enciclopedista Diderot esordì con un libricino modesto anche se originale “I gioielli indiscreti”, nel quale faceva parlare le donne “dalla parte più franca che sia in esse”. L’opera è del 1748 e precorre di due secoli le scoperte freudiane sulla sessualità repressa nella donna o le arrabbiate rivendicazioni delle femministe.
Egli tratta con maestria un argomento quanto mai scabroso che travalica ampiamente il galateo cortigiano dell’epoca, ma sa fornirci una geniale invenzione libertina che è nello stesso tempo satira e critica di costume.
Questo colto antecedente letterario era probabilmente ignoto all’americana Eve Ensler autrice nel 1998 de I monologhi della vagina, una pièce teatrale (fig. 16) caustica e irriverente, che per anni ha sbancato i botteghini dei teatri di tutto il mondo. Il testo nasce da una serie di alcune centinaia d’interviste a donne di tutte le età e di ogni condizione sociale.
Negli Stati Uniti lo spettacolo è stato interpretato per anni da gruppi di attrici famosissime, stelle del cinema e del rock, donne in carriera o politicamente impegnate, che hanno costituito una sorta di staffetta ideale. Tra queste ricordiamo Jane Fonda, Glenn Close, Melanie Griffith e Kate Winslet.
Lo spettacolo giunto anche in Italia ebbe tra le interpreti anche l’allora ministra pugilessa Katia Belillo. La tournée cambiò ogni anno compagnia ed a Napoli giunse con Sabrina Knaflis, Orsetta De Rossi, Paola Pavese e la sanguinolenta Marina Confalone, la quale in uno dei suoi monologhi, rappresentante i gemiti dell’orgasmo, offrì agli spettatori allibiti un pezzo unico da antologia; inoltre grazie a lei per la prima volta nell’elenco interminabile recitato ogni sera di sinonimi indicanti l’organo femminile fece la comparsa quello stridente suono onomatopeico che tutti i napoletani veraci ben conoscono di pucchiacca.
Lo spettacolo era intriso di vetero femminismo oramai datato e mostrava in maniera palpabile di essere stato scritto da donne per le donne, a differenza dell’immortale capolavoro di Ramon Gomez de la Serna, Seni, vero e proprio inno all’anatomia femminile. Nonostante questa ottica riduttiva la performance conservava un prorompente dinamismo verbale e rappresentava un proclama contro tutte le sopraffazioni e i soprusi che le donne ancora oggi subiscono in ogni parte del mondo dalla Bosnia all’Afganisthan.
Lo spettatore maschile, pur nella percezione della violenta metafora, avvertiva un messaggio in cui la vagina appariva poco invitante. Una singolare osservazione da specialista: aver constatato la strana assenza del punto G dai monologhi.
La vera sorpresa fu la straordinaria interpretazione della nostra Marina Confalone, volto noto al pubblico in spettacoli prettamente partenopei da Eduardo a Salemme, la quale, accettando la sfida di una interpretazione fuori dagli usuali canoni, ne uscì bucando letteralmente il palcoscenico.
Nel 2005 esce un libro rivoluzionario sull’argomento: La storia di V, scritto da Catherine Blackledge, 400 pagine dense di notizie, un saggio(fig. 17) che condensa la rivoluzione nella percezione della sessualità femminile attraverso racconti mitologici e teorie biologiche, raffigurazioni artistiche e pratiche mediche.
Come sempre quando a scrivere è una donna la visuale scientifica subisce paurosi sbandamenti ed antiche e consolidate teorie vengono attaccate alla baionetta.
Le pagine scorrono dense di notizie, mentre il leit motiv del libro verte sulla glorificazione dell’orgasmo, la santificazione del clitoride ed il trionfo della vagina. Un organo regina, intelligente ed in grado di selezionare accuratamente le sostanze introdotte, grazie ad un ecosistema interno in grado di rigettare il materiale genetico danneggiato e di far compiere un esaltante viaggio agli spermatozoi con una serie di ritmiche contrazioni innescate dall’orgasmo propiziatorio. Il pene non gode di grande stima da parte dell’autrice, forse per difetto di conoscenza e viene relegato al ruolo, accessorio e marginale, di fornire alla vagina un’adeguata stimolazione per favorire la riproduzione.
Interessanti i paragoni e le curiosità prelevate dal regno animale. Veniamo così a sapere che la iena maculata possiede un super clitoride di 17 centimetri, che le scimmie bonobo sono aduse allo strofinamento genito genitale, alcuni ragni posseggono intricati canali interni per favorire l’inseminazione, mentre le tacchine sono capaci di conservare a lungo lo sperma e, dulcis in fundo, nelle femmine dei dugonghi è presente un ampio imene.
Sul clitoride, descritto già con precisione dal medico arabo Avicenna, la diatriba scatenata da Freud, che lo riteneva un omologo del pene in miniatura, non accenna a placarsi, anche dopo la scoperta del punto G, dovuta al ginecologo austriaco Grafenberg ed alla riscoperta dell’importanza nell’innescare l’orgasmo dei muscoli vaginali, in particolare il pubo coccigeo. Un patrimonio sconosciuto alle donne occidentali, ma ben noto in Oriente dove tutte le appartenenti al gentil sesso sanno che uno dei loro compiti principali è dare godimento agli uomini. Antichi manuali indiani come l’Ananga Ranga o lo stesso Maometto raccomandavano un costante esercizio dei muscoli vaginali per incrementare il reciproco godimento sessuale.
Un prezioso bagaglio di conoscenze ed abitudini calpestato dalla cultura islamica, che diffondendo la pratica delle mutilazioni sessuali, ha negato per secoli alle donne il piacere, devastando i loro corpi e relegandole in una posizione assolutamente subalterna.
Mi sia consentito di chiudere questa breve carrellata intorno al pianeta femminile ricordando una mia scoperta: il vaginometro(fig. 18), un apparecchio utilizzato per la diagnosi e la cura della frigidità, del quale per maggiori ragguagli rinvio al mio libro (fig. 19) La frigidità e la verginità nella donna.
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