10/8/2009
L’estate è la stagione favorevole per la lettura e vogliamo consigliare alcuni libri che ci hanno favorevolmente impressionato.
Partiamo da un agile volumetto di Michela Murgia, una giovane scrittrice sarda, la quale, in un periodo nel quale imperversano le discussioni sul testamento biologico e sull’eutanasia, ci fornisce un appassionato racconto imperniato su una figura atavica,forse ancora presente in alcune zone della Sardegna, quello della accabadora, una sciamana che ha il pietoso compito di aiutare a morire chi è stanco e disgustato della vita.
Il romanzo è ambientato negli anni Cinquanta in un mondo antico sull'orlo del precipizio con le sue regole e i suoi divieti, una lingua atavica e taciti patti condivisi. La comunità si comporta come un organismo unitario, conosce le proprie esigenze per istinto e senza troppe parole sa come affrontarle.
Maria e Tzia Bonaria sono le due protagoniste e vivono come madre e figlia, ma la loro intesa ha il valore speciale delle cose che si sono scelte. La vecchia sarta ha visto Maria rubacchiare in un negozio, e siccome nessuno la guardava ha pensato di prenderla con sé, perché «le colpe, come le persone, iniziano a esistere se qualcuno se ne accorge». E adesso avrà molto da insegnare a quella bambina cocciuta e sola: come cucire le asole, come armarsi per le guerre che l'aspettano, come imparare ad accogliere con la stessa gioia sia la vita che la morte.
Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che nel paesello di Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno.
La vecchia è sempre vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte.
Michela Murgia, con una lingua scabra e poetica insieme, usa tutta la forza della letteratura per affrontare un tema così complesso senza semplificarlo. E trova le parole per interrogare il nostro mondo, mentre racconta di quell'universo lontano e del suo equilibrio segreto e sostanziale, dove le domande avevano risposte chiare come le tessere di un abbecedario, l'alfabeto elementare di «quando gli oggetti e il loro nome erano misteri non ancora separati dalla violenza sottile dell'analisi logica».
In sardo accabadora, la protagonista del romanzo, è colei che finisce. Agli occhi della comunità, il suo non è il gesto di un'assassina, ma quello amorevole e pietoso di chi aiuta il destino a compiersi. Diverse sono le pratiche di uccisione utilizzate dalla accabadora: si dice che entrasse nella stanza del morente vestita di nero e con il volto coperto, e che lo uccidesse tramite soffocamento con un cuscino, oppure colpendolo sulla fronte tramite un bastone d'olivo (su mazzolu) o dietro la nuca con un colpo secco, o ancora strangolandolo ponendo il collo tra le sue gambe. Si hanno prove di pratiche della femmina accabadora fino a pochi decenni fa. Una delle teorie per giustificare questo tipo di pratica è basata sulle difficoltà di spostamento e di sussidio nei tempi passati, per cui nei paesi isolati e molto distanti da qualsiasi ospedale la famiglia di un soggetto anziano non autosufficiente e quindi in bisogno di cure assidue avrebbe avuto numerosi problemi ad assisterlo, dal momento che il lavoro agricolo era l'unica loro possibilità di sussistenza.
Sullo sfondo della narrazione una questione etica, tra le più delicate e drammatiche che la modernità abbia prodotto, trattata da lontano senza che mai l’autrice, con grande eleganza, cavalchi il dibattito. Nel romanzo la scommessa etica diventa una scommessa narrativa e linguistica. Una narrazione senza idillio e senza retorica, senza luoghi comuni. Una lingua nitida, densa di aforismi e di ossimori, di immagini che colgono il segreto legame fra vita e morte.
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