domenica 1 dicembre 2013

L’AMORE DEVASTANTE

Locandina contro violenza sulle donne


Molti di noi hanno provato l’impressione di divampare, presi da una passione ai limiti della follia, da un amore “pazzo” che ci fa perdere la ragione e spesso commettere azioni che a mente lucida non avremmo mai commesso.
Un esempio calzante di questa esaltazione è costituito dalla storia di Otello e Desdemona, resa immortale da Shakespeare.
Un uomo assennato, padrone delle sue emozioni, perde completamente il controllo di sé, vittima della gelosia. Bastano pochi indizi per far montare la sua collera e sprofondare in una rabbia cieca che lo spingerà a strozzare la fragile Desdemona per cadere poi nella più buia disperazione per aver ucciso l’essere che più amava al mondo.
Otello, ancora in preda ad un marasma mentale, afferma:”E’ stato più forte di me”, “Non potevo fare diversamente”. Assomiglia al bimbo viziato che, dopo aver commesso una birbonata, piangendo, per scusarsi, balbetta:” Non è colpa mia”.
La gelosia, un sentimento utile, perché contribuisce a tenere legata una coppia, può però trasformare, in alcuni casi, un innamorato in uno spietato assassino. Chi è preso da una passione esaltante diventa un megalomane ai limiti della paranoia:la ragione non riesce più a regolarne il comportamento.
La società contemporanea, in preda a ritmi sempre più frenetici, ci rende spesso spietati e non riusciamo più a decifrare l’alfabeto dell’amore.
Essere amati per piacere e non per dovere deve costituire l’imperativo categorico della nostra rieducazione sentimentale.
Molti uomini pretendono di avere il diritto a possedere completamente la propria donna, di relegarla tra le mura domestiche, di obbligarla ad un amore e ad una devozione non condivisa. Sono vittime di un istinto ancestrale: quello di trasmettere il proprio patrimonio genetico, tenendo a distanza potenziali rivali. E’ un impulso da lemure, da gorilla, comprensibile e rispettabile in questi bipedi, che non hanno percorso un sol gradino della nostra evoluzione culturale, ma perverso nell’uomo che si ostina a perseguire una forma patologica d’amore, trasformandosi in carceriere ed, a volte, in assassino.
Come è noiosa, oltre che aberrante, l’idea di una donna domestica ed addomesticata.
Cosa vi può essere di più stimolante di un confronto alla pari, dove si parla e si ascolta, dove le scelte sono soggettive e passibili di un mutamento, anche del dolore dell’abbandono, sempre preferibile alla mortificazione dell’obbligo?
Soltanto quando gli uomini capiranno cosa perdono, mutilando la libertà di scelta delle loro donne, la società potrà cominciare il suo percorso verso la retta via.
La violenza del maschio è il fossile imbarazzante di una tradizione, su base religiosa, che discrimina la donna, ma rappresenta anche la profonda ignoranza dell’alfabeto dell’amore, un linguaggio che bisogna apprendere se si vuole conquistare una donna, e la violenza è il rozzo tentativo d’aggirare quest’indispensabile conoscenza: la lingua del femminile per molti rimane ancora astrusa ed incomprensibile.
Se ciascun uomo avesse il coraggio di guardare dentro se stesso, non troppo in profondità, altrimenti rischierebbe d’annegare, potrebbe riconoscere nella paura e nella spavalderia, nell’ignoranza e nella presunzione, le radici primordiali che portano a molestare le donne fino alle estreme conseguenze.
Quando non ci si accontenta delle gioie dell’amore, e si pretende che l’altro lasci completamente il suo mondo, compare la gelosia morbosa che non rappresenta un segno dell’amore, bensì una concezione patologica di esso, ben intuita da Proust che parla di “un inquieto bisogno di tirannia applicato alle cose dell’amore”. Nella prigionia e nell’ansia del possesso non si gode più dell’amore, che non ha spazio per esprimersi, ma della sottrazione ad altri della possibilità d’amare compiutamente.



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