giovedì 2 gennaio 2014

Un regista geniale


Mario Martone


Mario Martone, nato a Napoli nel 1959, è uno dei più importanti registi italiani, attivo sia nel cinema che nel teatro.
Inizia la sua carriera artistica nel teatro e allestisce il suo primo spettacolo, Faust o la quadratura del cerchio, nel 1976. Due anni più tardi, grazie ai fondi e agli spazi messi a disposizione dall’Università’, nel dicembre del 1977, fonda il gruppo Nobili di Rosa, con Andrea Renzi e poi Francesca La Rocca, Augusto Melisurgo e Federica della Ratta Rinaldi. Il gruppo prende il nome da un’antica moneta alchemica. Tra gli spettacoli dei Nobili di Rosa vi sono l’Incrinatura e Avventure al di là di Thule. Nel febbraio del 1979 “Nobili di Rosa” diventa Falso Movimento, ed entrano a far parte del gruppo i cineasti Angelo Curti e Pasquale Mari. Tra le sue rappresentazioni Otello nel 1982, Coltelli nel cuore nel 1986 da Brecht, Ritorno ad Alphaville da Godard nel 1986. Sempre nel 1986 il gruppo “Falso Movimento” si fonde con il Teatro dei Mutamenti di Antonio Neiwiller e il “Teatro Studio” di Caserta di Toni Servillo dando origine a Teatri Uniti. Per la nuova formazione firma, tra le altre, le regie di Filottete di Sofocle nel 1987 e Riccardo II di Shakespeare nel 1993.
L’esordio alla regia cinematografica è del 1980 con un cortometraggio sponsorizzato dal Banco di Napoli, a cui segue “Foresta Nera”. Dopo 12 anni, nel 1992, si rivela al grande pubblico con il suo primo lungometraggio: Morte di un matematico napoletano, storia del matematico Renato Caccioppoli che gli vale il Gran premio della giuria alla Mostra di Venezia. Nel 1993 realizza il mediometraggio Rasoi, ispirato ad un suo spettacolo teatrale precedentemente allestito al Teatro Mercadante (1990).
Tre anni dopo realizza il suo secondo film: L’amore molesto, in concorso al Festival di Cannes e vincitore del David di Donatello. Il cinema di Martone è aspro, essenziale. Nel 1997 dirige l’episodio “La salita” del film i vesuviani, che gli vale elogi ma anche una coda di polemiche (e di interrogazioni parlamentari): il personaggio del sindaco impegnato a governare una città difficile come Napoli si ispira infatti chiaramente ad Antonio Sassolino. Nel 1998 gira il lungometraggio Teatro di guerra.
Dal 1999-2001 ha ricoperto la carica del direttore artistico del Teatro Argentina di Roma. Dal 2003 è condirettore del Teatro Stabile di Napoli.
Partecipa nel 2001 all’esperienza registica collettiva del film Un altro mondo è possibile, girato in occasione delle giornate di protesta durante la riunione fel G8 a Genova.
Nel 2004 dirige un film tratto da un romanzo di Goffredo Parise, L’odore del sangue, con Michele Placido e Fanny Ardano.
Dal 2007 è direttore del Teatro Stabile di Torino, carica che ricopre tuttora.
Nell’autunno 2010 è uscito nelle sale italiane Noi credevamo ispirato all’omonimo romanzo di Anna Banti che ha vinto nel 2011 il premio Alabarda d’oro per il miglior film e la miglior sceneggiatura. Nello stesso anno 2011 il regista ha ricevuto il premio per la carriera al Festival de Cine Italiano de Madrid. A gennaio 2011 ha diretto Cavalleria rusticana – Pagliacci al Teatro alla Scala di Milano. In ambito lirico ha inoltre firmato altri allestimenti di successo come quelli di Così fan tutte (con Claudio Abbado), Le nozze di Figaro e Don Giovanni di Mozart, Matilde di Shabran e Torvaldo e Dorliska di Giocchino Rossigni (Rossigni Opera Festival di Pesaro), Fidelio di Beethoven.
Sempre nel 2011 mette in scena le Operette Morali di Giacomo Leopardi e riceve il premio Leopardiano La Ginestra per la sua capacità di restituire interamente i legami del poeta di Recanati con il nostro tempo.
Nella sua carriera ha conseguito 3 David di Donatello, nel 1993, per il miglior regista esordiente, nel 1995, come miglior regista, nel 2011 come sceneggiatore.
Il cinema rimane un’arte surreale. Tre anni fa Mario Martone ha scritto su un foglietto d’albergo al Lido di Venezia la parola “Leopardi” ed eccoci qui, con una troupe di una trentina di persone, nella casa del poeta di Recanati. Per chi non l’avesse visitata, uno dei luogli più incantati d’Italia, fra la biblioteca di Monaldo, quella degli studi “matti e disperatissimi”, la finestra dove il poeta spiava il canto di Teresa Fattorini (“A Silvia”), la piazza del sabato del villaggio, la stanza da letto che era stata aperta prima soltanto a Carmelo Bene, Il giovane favoloso, titolo da un verso di Ortese, il film di Martone sulla vita di Giacomo Leopardi, è una follia poetica, almeno nel prosaico panorama dei cinema italiano contemporaneo. Sette o otto milioni di euro per un film in costume, dodici settimane di lavorazione fra Recanati, Firenze, Roma e Napoli, un cast magnifico, a cominciare dai protagonisti, Elio Germano (Leopardi) e Michele Riondino (Ranieri), e poi Maaimo Popolizio, Isabella Ragonese, Raffaella Giordano, Valerio Rinasco, Anna Mouglalis, Iaia Forte, Edoardo Natoli, Sandro Lombardi, Danilo Nigrelli. Se una volta finito, il film renderà la metà della passione e della felicità che abbiamo visto sul set, fra regista e attori e tecnici, forse ne uscirà un capolavoro.
Mario Martone ha cominciato con l’avanguardia teatrale e ormai da ormai dieci anni vive immerso nel XIX secolo. Una fuga del proprio tempo molto Leopardiana.
Pensare che l’Ottocento italiano non mi aveva mai affascinato, comunque assai meno del Rinascimento o del Settecento illuminista. Dopo Noi credevamo mi sono detto: non posso fare un altro film sull’800. Volevo addirittura fare un film di fantascienza. Ma la figura di Leopardi mi ossessionava e ho deciso di inseguire la passione.
Un film o un romanzo sono sempre sul presente, anche e a volte soprattutto quelli storici, Noi credevamo era il racconto dell’origine dei mali italiani, la rivoluzione mancata. E’ stato così anche per la vita di Leopardi?
“Leopardi è più attuale, è davanti a noi, parla del futuro”.
Quindi è un film di fantascienza in abiti ottocenteschi?
“Sul serio, credo che ci volesse tutto il Novecento, le disillusioni del secolo breve, la caduta delle ideologie, il fallimento delle “magnifiche sorti e progressive”, per cogliere tutta la modernità del poeta e del filosofo. Oggi è l’alba di Leopardi, soltanto ora comincia davvero a parlarci. E ci parla di questioni fondamentali della vita: il rapporto con la natura e con la scienza, la ricerca della felicità e il valore delle illusioni. E’ un artista profetico, come Pisolini, e per questo entrambi continuano ad affascinare le nuove generazioni. In più, il coraggio di mettersi in gioco in ogni frase. Non c’e’ verso di Leopardi che non sia autobiografico”.
Un po’ profeta è anche lei. Quattro anni fa, quando ha cominciato a scrivere con Ippolita Di Majo, nessuno poteva immaginare che Leopardi sarebbe diventato l’autore italiano più presente sulla stampa  anglosassone, prima grazie al successo de I Canti tradotti da Galassi e ora dopo la prima traduzione in inglese dello Zibaldone. E ora il suo lavoro teatrale sulle Operette Morali di scena a New York. E finalmente il N.Y.Times ha scritto che Leopardi merita almeno la stessa considerazione di Baudelaire o Rilke.
Doveva accadere che il pubblico americano e inglese scoprisse la grandezza di Leopardi ed e’ una bella circostanza che succeda proprio adesso. Questo mi fa sperare che il film possa viaggiare per il mondo com’e’ accaduto per Noi credevamo e forse di più. Quello era un film molto italiano, questo è la storia di un’anima universale, di un’amicizia fra Giacomo e Ranieri, di un rapporto col padre e della fuga da casa di un giovane”.
Venire in questi luoghi che immaginiamo fin da bambini, è un’emozione travolgente. E’ stato difficile restituirne la meraviglia?
“Ho pensato spesso a Borges. Recanati è un labirinto, una prigione borgesiana, mura e libri, libri che sembrano muri e mattoni che paiono libri impilati. Siamo rimasti prigionieri anche noi, oggi è difficile pensare di dover ancora girare a Firenze, Roma e Napoli”.
Quando pesa il poter contare sul talento di Elio Germano come protagonista?
“Molto. Ho pensato subito a lui. Senza Elio non avrei fatto il film. Si è immerso in Leopardi con un entusiasmo contagioso. Dopo pochi giorni di lavoro era già in grado di imitarne alla perfezione la grafia. E’ essenziale anche l’intesa con Riondino che è Antonio Ranieri, l’amico della vita, colui che lo porta via dall’oppressione familiare, il vero fratello di Giacomo e forse l’unico contemporaneo che ne comprende la grandezza”.
A proposito, la scelta di un attore raffinato come Polizio suggerirebbe una visione un po’ più complessa di Monaldo Leopardi, il padre più maltrattato nella storia della letteratura, almeno fino a Kafka.
“La visione di Monaldo come padre padrone reazionario e papalino si rivela quantomeno ingiusta. Era un uomo che disponeva a Recanati all’inizio del XIX secolo di una biblioteca da far invidia alle grandi corti europee, con centinaia di testi scientifici e moltissime opere messe all’indice dalla chiesa cattolica. E’ generoso e pure lui, un illuso. Alla fine aprirà la sua biblioteca a tutti i cittadini, ma nessun recanese si presenterà all’inaugurazione”.
Il giovane Giacomo fugge da Recanati sperando d’incontrare la gloria, l’amore, il riconoscimento, ma s’imbatterà ovunque in un’italietta codina e declinante. C’e’ qualcosa che ricorda il presente, l’amarezza di tanti giovani di talento?
“Questo lo lasciamo agli spettatori. A me interessa raccontare la storia di un uomo in conflitto col proprio tempo, con il conformismo di un’epoca”.
La giornata cupa e piovosa contribuisce a rendere ancora più suggestivo il set napoletano del nuovo film di Mario Martone, “Il giovane favoloso”, che si gira all’interno dell’ala monumentale dell’università Suo Orsola Benincasa. Nel film dedicato alla parabola esistenziale di Giacomo Leopardi, infatti, sarà proprio la storica cittadella universitaria a trasformarsi in una Napoli ottocentesca quasi horror messa letteralmente in ginocchio dall’epidemia di colera che colpì nell’ottobre 1836 e che fece più di 20mila morti soltanto nei primi otto mesi, cioè fino a quel 14 giugno 1837 nel quale Leopardi morì nella casa di vico Pero condivisa con l’amico Antonio Ranieri.
Osservare il set del film di Martone, vuol dire fare un viaggio a ritroso nel tempo, per ritrovarsi calati in uno scenario da incubo fatto di cadaveri ammassati su carri trainati da cavalli incappucciati che gettano i corpi delle vittime del colera nelle fosse comuni, grassi monaci che danno l’estrema unzione agli sventurati, roghi e fiamme purificatrici agli angoli di vicoli lerci e minacciosi. Lo scenario è quello delle rampe storiche del Suor Orsola Benincasa, dove una figura longilinea ed elegante vestita di nero scende a passo veloce, coprendosi la bocca con un fazzoletto, come a volersi proteggere dal possibile contagio. Nella finzione filmica, la scalinata della cittadella universitaria diventa un vicolo del centro antico, lungo il quale il nobiluomo incrocia per un attimo una figura maschile di più umili origini. Alle spalle dei due uomini, alcuni personaggi incappucciati portano a braccio una serie di cadaveri e li gettano su un carro già ricolmo di corpi privi di vita, fermo nel cortile adiacente. Tutt’intorno è buio, in terra ci sono ovunque cenere e rifiuti, alcune fiamme bruciano alte, alimentate da un impianto a gas, naturalmente, resta fuori dall’inquadratura.
Nei prossimi giorni le riprese si sposteranno a Posillipo, nel Parco di Piedigrotta, dove si conservano le tombe (vuote) di Virgilio e di Leopardi, in Piazza Plebiscito, a Porta Capuana, nell’ex Lanificio, nella Biblioteca Nazionale, all’Istituto per gli Studi Filosofici e sulla sommità del Vesuvio.

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