giovedì 16 gennaio 2014

La città dei tanti teatri


1^ parte

Chiesa della Graziella, ex teatro San Bartolomeo

Nell’Ottocento Napoli gareggiava  alla pari con Parigi per numero di teatri in attività.
Quest’epopea è stata narrata magistralmente dal Prota Giurleo in un libro divenuto d’antiquariato ed al quale rinviamo chi volesse approfondire l’argomento.
Noi tratteremo, salvo qualche eccezione, di teatri attivi, se non oggi, almeno nel secolo scorso e partiremo proprio da un palcoscenico seicentesco, uno dei primi sorti in città nel 1620.
Si chiamava San Bartolomeo e fu costruito dalla Congregazione dell’Ospedale degli Incurabili, con la speranza di ricavarne un guadagno.
Sorgeva dove oggi si trovala chiesa di Santa Maria delle Grazie, nota come Graziella. La scelta del luogo fu dovuta alla circostanza che la Congregazione era proprietaria sia del suolo sia di alcune abitazioni, che venivano date in affitto temporaneo ai commedianti, mentre un altro introito era costituito da una tassa imposta nel 1644 da Filippo IV agli attori che recitavano in altri teatri.
La struttura subì molti danni durante la rivoluzione di Masaniello e furono necessari molti denari per ristrutturarlo.
La riapertura al pubblico coincise con la messa in scena di lavori musicali per cui divenne, in breve, il primo teatro d’opera napoletano.
Nuovamente nel 1681 un incendio lo ridusse in cenere ma, grazie all’intervento del vicerè, Duca di Medinaceli, appassionato cultore di letteratura e di arte, fu riportato agli antichi splendori. Vi si esibirono i più importanti attori e tra le tante rappresentazioni, molte del Pergolesi, figura “La serva padrona”.
Questa fervida attività venne però a cessare in concomitanza con l’inaugurazione del San Carlo, costruito per volere di Carlo di Borbone, che ebbe il battesimo con “L’Achille in Sciro” di Metastasio.
La drastica riduzione degli introiti indusse gli amministratori della Congregazione a trasformarlo in luogo di culto.

Teatro San Carlo

Villa Patrizi

Parleremo ora dell’unico esempio rimasto in tutto il meridione di teatro privato. Esso è sito in Villa Patrizi, che si trova all’inizio di Via Manzoni, imboccandola dal Corso Europa (ne ho già parlato brevemente a pag.48 del I° tomo di “Napoletanità: arte, miti, riti a Napoli”, nel capitolo “Posillipo il paradiso terrestre”).
Una volta la villa era circondata da cipressi secolari, che ispirarono August Von Platen e venne acquistata dal Marchese  Patrizi a metàdel Settecento come casino di caccia. Fu lui a volere la costruzione del piccoloteatro nel quale si tennero spettacoli cui assistettero l’imperatore Giuseppe II ed il re Luigi di Baviera.
Durante l’ultima guerra venne occupato dalle truppe alleate… e subì vari danni ma è stato poi restaurato da un gruppo di imprenditori che lo hanno dotato di un vecchio sipario con un’allegoria delle muse di Fedele Fischetti: ad inaugurarlo, nel 1993, si sono alternati attori del calibro di Leopoldo Mastelloni, Peppe Barra, Isa Danieli, Rosalia Maggio, Nello Mascia, Ida Di Benedetto e tanti altri, costituendo un prezioso unicum nel panorama teatrale napoletano.
Prima di descrivere la storia dei teatri attualmente in attività, bisogna necessariamente parlare del San Carlino, sorto nel 1740 in Largo del Castello, l’odierna Piazza Municipio, che, a partire dal 1820, diventò il tempio della comicità napoletana, grazie all’impresario Luzi che scritturò gli attori più importanti in circolazione.
Vi lavorarono Pasquale Altavilla ed i Petito e si rideva ogni sera, salvo la sera del 24 marzo 1876, quando il celebre Antonio Petito coronò il sogno di ogni attore: morire  recitando.
In seguito si alternarono stagioni più o meno felici fino a quando divenne il teatro di Eduardo Scarpetta.
Nel 1884 venne espropriato per essere demolito al fine di un allargamento della piazza, dopo l’ultima recita del grande attore e commediografo che interpretò “’Na capa sciacqua”.
Scarpetta nelle sue memorie ci racconta quando vi entrò l’ultima volta con la scusa che aveva dimenticato degli oggetti nel suo camerino. Sono parole commoventi: “Tutto taceva e percepii un alito di morte, rabbrividii tra silenzio e oscurità. Poi d’un tratto riapparvero i ricordi e quel silenzio cominciò ad animarsi di voci lontane, tra cui riconobbi quella di Antonio Petito e poi lentamente quelle di tutti gli altri attori che avevano calcato la scena. L’antico San Carlino si ridestava, usciva dall’ombra e dal silenzio e compariva per l’ultima volta alla ribalta”.
Poi l’opera demolitrice del piccone.

Teatro San Carlino

Teatro Sannazaro


Il Teatro Sannazaro da più di quarant’anni è noto come la “bomboniera di Via Chiaia”, da quando è stato restituito all’antico splendore da Nino Veglia e Luisa Conte.
Sorse nel 1847 per iniziativa del Duca di Marigliano che ne affidò il progetto all’architetto Fausto Niccolini e curò una serata inaugurale in pompa magna con la partecipazione della migliore aristocrazia della città.
La concorrenza da fronteggiare era particolarmente agguerrita con molte altre sale in funzione con una clientela affezionata, ma fu un successo crescente, grazie agli attori che si esibirono, da Eleonora Duse ad Ermete Zacconi e commediografi come Achille Torelli, Roberto Bracco ed Eduardo Scarpetta che qui fece debuttare i suoi lavori più famosi come “Na Santarella”, da cui prese il nome la villa del commediografo ancora esistente al Vomero, sulla quale troneggia la scritta “Qui rido io”, un eloquente messaggio per gli amici e, soprattutto, per i nemici, che non mancano mai.
Dopo Eduardo, il figlio Vincenzo e Nicola Maldacea ed una infinita serie di testi di autori del calibro di D’Annunzio, Bracco, Murolo, Russo e Bovio.
Vi furono anche periodi di crisi ma il Sannazaro è sempre riuscito a rinascere forse perché, come poeticamente afferma Giulio Baffi, “ quasi che all’interno di quella elegante architettura dalle linee armoniose vi fossero penetrati segretamente per proteggerlo le divinità o i buoni folletti del teatro napoletano ed avessero deciso di stabilire proprio lì una loro dimora perenne”.
Infatti non ebbe fortuna il conte Luca Cortese, subentrato al Duca di Marigliano, nonostante per la serata inaugurale della stagione avesse offerto doni leggendari ai partecipanti: spille con brillanti alle signore e portasigarette d’oro ai signori.
Il 2 ottobre del 1932 cominciò poi l’epopea dei De Filippo con la loro compagnia che presentava atti unici: in un cartellone ben quindici novità, da “Uomo e galantuomo” a “Ditegli sempre di sì” con i tre fratelli protagonisti e comprimari sulla scena Tina Pica, Dolores Palumbo, Pietro Carloni e tanti altri.
Dal palcoscenico del Sannazaro i De Filippo passarono poi a conquistare Milano e Roma.
La crisi e l’invadenza del cinema trasformarono la sala in un infimo luogo con un pubblico fatto di filonisti al mattino e nullafacenti il pomeriggio.
Poi una triade coraggiosa, Luisa Conte, suo marito Nino Veglia e Nino Masiello, impegnò tutti i risparmi ed i gioielli di famiglia per rilanciare l’antica sala, che fu inaugurata il 12 novembre 1971 con “Annella di Portacapuana”.

Teatro Sannazaro,cafè chantant per il Capodanno 2014

Teatro San Carluccio


Con mia moglie Elvira assistetti alla prima e ricordo ancora il programma di sala, stilato da Gennaro Magliulo, che parlava di scommessa da vincere con l’aiuto del pubblico.
Seguirono altri spettacoli di successo, che rimanevano in scena per mesi: da “Mpriestame a mugliereta” a “Perché papà è mio figlio”.
Nel 1974, per il centenario, fu rappresentata “Madama quatte solde e nel 1976 “Il morto sta bene in salute”, spettacolo più visto in Italia.
Nel frattempo, la compagnia si arricchiva di nomi di prestigio: Gennarino Palumbo, Pietro De Vico, Giuseppe Anatrelli e Gianni Crosio ed infine Nino Taranto, con cui si misero in scena lavori di Viviani: da”Morte di Carnevale” alla “Festa di Montevergine”.
Alla morte del marito, Luisa Conte prese le redini dell’organizzazione divenendo una leggendaria capocomica, seguita da un pubblico appassionato. Scomparsa anche lei, il testimone è passato alla famiglia con le nipoti Lara ed Ingrid Sansone in  prima fila.
Per un periodo si è trasformato con successo in un caffè chantant, rinverdendo i fasti della Belle Epoque, senza trascurare i “classici”. E’ di questi giorni un’ennesima riproposizione della “Festa di Montevergine”.
Percorrendo poche centinaia di metri, uscendo dal Sannazaro, incamminandosi verso Via dei Mille, incontriamo un punto sacro, dove abitavano a breve distanza Eduardo Scarpetta ed Eduardo De Filippo e, fino a pochi giorni fa, era attivo il San Carluccio, una piccola struttura che ha tenuto a battesimo nomi destinati a divenire famosi, dai Cabarinieria Massimo Troisi, Lello Arena, Peppe Lanzetta, Leopoldo Mastelloni, Enzo Moscato ed il grande Roberto Benigni.

Teatro Diana

Villa Floridiana, Teatro della Verzura


Trasferendoci al Vomero, dobbiamo trattare del Diana, sorto nel 1933, che è stato a lungo un mix di film di prima visione, cartoni animati e spettacoli di varietà serali.
All’inaugurazione fu presente anche il Principe Umberto di Savoia, che amava frequentare quell’ambiente, sempre a caccia di ballerine da passare per le armi.
Dopo ottant’anni di attività, il Diana è divenuto un punto di riferimento per il pubblico napoletano e più volte ha vinto il premio per lo spettacolo più visto in Italia.
La famiglia Mirra, con i coniugi Mariolina ed i figli Guglielmo (abile scacchista), Giampiero e Claudia, oltre a gestire l’attività, ha creato una raccolta di locandine e foto con la quale si può ripercorrere la storia del teatro.
Troveremo così traccia di famose soubrette come Charlotte Bergmann e Lucy D’Albert, le recite di Odoardo Spadaro , di Ermete Zacconi e delle sorelle Gramatica e prosa di spessore con lavori di Turgenev ed Ibsen, Pirandello e Zola.
Il Diana divenne uno dei templi del grande teatro italiano, al quale non ebbe timore  di affiancare spettacoli leggeri con Gilda Mignonette ed Anna Fougez, fino alla mitica Josephine Baker ed alla divina Wanda Osiris.
Comici a bizzeffe: Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, Renato Rascel, Erminio Macario, Tino Scotti, Carlo Dapporto ed il grande Totò, autore ed interprete di scoppiettanti riviste ornate di splendide ballerine straniere dai nomi esotici.
Un posto d’onore era riservato alle compagnie napoletane: vi recitarono Tina Pica ed Agostino Salvietti, Dante e Pupella Maggio, Pietro De Vico e Nino Taranto.
E poi la compagnia di Raffaele Viviani e quella di Eduardo De Filippo con le sue “Ditegli sempre di sì” e “SikSik l’artefice magico” per rappresentarvi poi, dal 1939 al 1944, ben diciotto commedie, quasi la totalità del repertorio.
E fu proprio al Diana che avvenne il doloroso diverbio tra Eduardo e Peppino, che sancì la rottura della compagnia.
Era il pomeriggio del 10 dicembre 1944. Peppino, adirato per l’ennesimo richiamo del fratello, salì su una sedia e cominciò ad urlare ritmicamente :”Duce, Duce”.
Scorrendo l’archivio ci avviciniamo ai nostri giorni ed arriviamo ai nomi di Alberto Lionello, Enrico Maria Salerno, i fratelli Giuffrè, Lina Sastri, Gino Rivieccio, fino alla malinconica interpretazione de “Le ultime lune”, canto del cigno di un Marcello Mastroianni ormai malato: tutti spettacoli che ho ammirato ed applaudito con mia moglie, avendo avuto per quarant’anni un abbonamento in seconda fila.
Rimanendo al Vomero, bisogna ricordare l’attività estiva, durata molte stagioni, del Teatro della Verzura, sito nella Villa Floridiana e due altre strutture: il Cilea, nato come scuola di recitazione guidata da Giacomo Rizzo e divenuto poi un palcoscenico affollato, e Le Acacie, trasformatosi da anni da cinema a teatro con un cartellone sempre molto interessante.

teatro Cilea

Teatro Acacia


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