il Narciso (di Caravaggio) |
L’amore di cui parleremo brevemente è una parodia del sentimento, provocata dalla delusione del desiderio ed il nostro giudizio sarà di biasimo, anche se la masturbazione non provoca, come stupidamente asseriva Simon-Andrè David Tissot, in pieno Settecento, il secolo dei lumi, “disturbi visivi, occhiaie, foruncoli, bulimia, problemi digestivi, tremito alle ginocchia, blefarospasmo, mal di testa, malattie. veneree, caduta dei capelli, mieliti e simili”.
Questa sorta di medico scrisse ben due trattati sulle malattie prodotte dalla masturbazione e riuscì ad influenzare, con le sue teorie, non solo una legione di medici bigotti ma giganti del pensiero come Kant e Rousseau per i quali il masturbatore può paragonarsi al suicida: l’uno distrugge la vita in un attimo, l’altro nel tempo.
Un collega di simile personaggio, Johann Georg Zimmermann, medico personale di Federico II di Prussia, scrisse un saggio sulla masturbazione femminile che definisce “obbrobriosa”, ritenendola più pericolosa di quella maschile perché meno manifesta, capace di minare lo sviluppo infantile perché si presenta precocemente: con questa affermazione Zimmermann precorre di un secolo le teorie di Freud, che era certo di aver scoperto per primo la sessualità infantile.
In precedenza sia la cultura greca che la Bibbia non avevano emesso una condanna severa della masturbazione, ad eccezione del riferimento ad Onan da cui il termine “onanismo”, personaggio biblico, nipote di Giacobbe e figlio di Giuda, che, costretto dalla legge del levirato, vigente in Israele, a sposare la vedova del fratello defunto e senza figli, non desiderando figli da lei perchè sarebbero stati considerati figli del precedente matrimonio, disperdeva per terra lo sperma per cuifu punito da Dio con la morte (Genesi, 38, 1-9; Deuteronomio, 25, 5-10).
Chi volesse approfondire l’episodio ed altre amenità simili con ricche illustrazioni, può leggere in rete un mio articolo su Scena Illustrata: “Il sesso perverso nella Bibbia”.
Ippocrate e Galeno, fondatori della medicina, inquadrano la masturbazione nella teoria umorale al pari della bile, mentre la mitologia greca poneva il vizio solitario sotto la protezione di Pan, un dio le cui imprese erotiche sono legate alle metamorfosi, cui si rifanno gli stoici che, distaccati notoriamente da ogni passione, ne lodano l’indipendenza dagli altri; solo San Tommaso condanna la masturbazione, soprattutto perché costantemente accompagnata da pensieri lascivi. Anche Foucault, nella sua”Storia della sessualità”, si è occupato del tabù della masturbazione, sottolineando che, parlandone spesso e condannandola con enfasi, si tende ad instaurare una sorta di complicità tra persecutori e perseguitati. Il limite dell’onanismo sta tutto nel modo anomalo con cui viene vissuto il desiderio, non aperto verso l’altro ma chiuso in se stesso. E’ una passione decapitata sul nascere perché vive senza reciprocità, negando al corpo ogni possibilità di trascendersi in un altro corpo.
Accenniamo ora alla pornografia, il pabulum di cui si nutre la masturbazione, allucinante per il gusto dei dettagli, che lascia il desiderio alla pura concupiscenza della visione, decretando la fine ingloriosa dell’intimità. “Come uno schermo assorbente, nella sua evidenza, il reale estingue il desiderio, sottraendolo al gioco duale, lo ricaccia nei giochi estatici, solitari, narcisistici, dove l’oggetto non è più l’altro, ma il ripiegamento del desiderio su se stesso, nel tracciato malinconico della sua delusione” (Galimberti).
L’amore di se stesso è una nobile variante d’amore solitario ed ecco comparire alla ribalta la figura di Narciso, giovane bellissimo, che rifiutò l’amore delle ninfe, in particolare di Eco; punito dagli dei, si riteneva talmente bello da innamorarsi della propria immagine mentre si specchiava nelle acque di un lago (così lo immortala Caravaggio), per venire alla fine trasformato nel fiore, che da lui prende il nome.
Narciso nasce con noi e vive dentro di noi ogni qualvolta combattiamo per difendere il nostro territorio, amiamo ma vogliamo essere amati. Ma quando l’amore per se stesso supera la fisiologia per sfociare nella patologia, allora insorgono solitudine e tristezza, l’interesse verso gli altri s’affievolisce, l’egoismo si esalta ed il nostro Io si annichila anziché espandersi.
Oltre agli artisti, anche gli scrittori sono rimasti affascinati da questo singolare personaggio come Stendhal che, ne “Il rosso e il nero”, con il protagonista, Julien Sorel, crea il più ambiguo narciso della letteratura moderna.
Innamorarsi di se stesso sconfina nell’incesto quando subordiniamo gli altri a questa passione gemella della vanagloria.
La soluzione per ritrovare gli altri e dare un senso alla vita sta nello snidare il fantasma di Narciso dalla nostra anima, ed attendere il germoglio della donazione, a volte della sublimazione.
I santi, senza amare la donna, se non come creatura, sono in grado di raggiungere le più alte vette dell’amore, come San Francesco, che ammansiva il lupo, s’incantava al volo degli uccelli, per la bellezza dei fiori ed al momento culminante della vita, invocava la morte come sua sorella corporale.
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