mercoledì 13 novembre 2013

Un architetto innamorato di Napoli

Giulio Pane

Giulio Pane, nato a Napoli nel 1940 è uno dei più noti intellettuali napoletani. Architetto diplomato in Restauro dei Monumenti presso la Scuola di Perfezionamento dell’Università di Napoli “Federico II” (1970), professore ordinario di Storia dell’Architettura presso la Facoltà di Architettura di Napoli. Autore di studi di storia dell’architettura e dell’urbanistica, con particolare riferimento alla città di Napoli ed alla Campania, dal Medioevo all’età barocca, ha partecipato a numerosi congressi nazionali e internazionali. Suoi specifici ambiti d’interesse sono la storia dell’architettura e dell’urbanistica nel Mezzogiorno, il paesaggio, la cartografia e il vedutismo di Napoli e della Campania, oggetto di esplorazioni originali, e la problematica del restauro e dei centri storici. Co-direttore della rivista “Napoli nobilissima”. Collabora al quotidiano “la Repubblica”, con numerosi interventi relativi alla problematica del centro storico di Napoli, al suo restauro ed al suo rilancio funzionale. Partecipa attivamente alle iniziative culturali tese alla valorizzazione delle risorse culturali cittadine, tra cui fiore all’occhiello la rivista Napoli nobilissima, fondata nel 1892 da Benedetto Croce e ripresa, dopo un periodo di interruzione da Roberto, il papà di Giulio, una figura esemplare che si staglia prepotentemente nella storia delle idee cittadine e che, trovandoci in famiglia vogliamo ricordare alle nuove generazioni, che non hanno mai sentito parlare di gusto gigante del pensiero. 
«Chi sa perché, se uno ha un carattere, suol dirsi che ha un brutto carattere». Questa frase è una delle tante attribuite a Roberto Pane dalla ricca aneddotica che aleggia sul grande studioso di storia dell’architettura, spentosi il 29 luglio del 1987 alla veneranda età di novant’anni. Anche se non fosse vera, questa considerazione esprime con plausibile sarcasmo l’autoconsapevolezza da parte del professore di non risultare simpatico a tutti. Per la durezza polemica profusa nelle sue ostinate battaglie di cultura per la salvaguardia del patrimonio storico, Pane ha conseguito molti riconoscimenti internazionali, ritrovandosi però anche qualche avversario irriducibile nella propria città. È stato uno primi e autorevoli professori ordinari della facoltà di Architettura dell’ateneo Federico II: incaricato nel 1949 dall’Unesco come esperto di restauro dei monumenti e membro autorevole dell’Istituto Centrale del Restauro. Ha scritto molti e qualificati saggi scientifici e fondato una scuola che ha avuto per allievi figure quali Renato De Fusco, Arnaldo Venditti, Giancarlo Alisio, Roberto Di Stefano, suo figlio Giulio Pane e altri ancora. Non solo per questi motivi gli è stata dedicata nel 2002 la biblioteca del dipartimento di Storia dell’Architettura e Restauro della Federico II. Innanzitutto va riconosciuto all’insigne studioso l’innegabile merito di aver elevato le ricerche locali sulla storia dell’architettura e della città al rigore metodologico della moderna storiografia europea. In estrema sintesi, l’innovazione teoretica introdotta da Pane sta nell’aver coniugato l’impostazione filologica di Gustavo Giovannoni, del quale fu diretto allievo presso la Scuola Superiore di Architettura di Roma, con la latitudine critica del pensiero di Benedetto Croce, che egli ebbe il privilegio di frequentare, in quella sorta di cenacolo che è stato Palazzo Filomarino, fino agli ultimi giorni di vita del grande filosofo. Certo, la volontà di oltrepassare la mera filologia spinse lo storico dell’architettura ad aprire le proprie referenze verso altri orizzonti filosofici. Qui l’altro maestro d’elezione è stato Theodor Adorno, a partire dagli anni Sessanta. Ma Croce restò l’interlocutore privilegiato. L’esordio nel campo storiografico risale al 1936, quando Pane pubblicò a Firenze il suo piccolo, ma raffinato libro sull’architettura rurale in Campania, corredato da 53 disegni autografi che comprovano la sua sagacia nell’arte del disegno, una passione acquisita negli anni del suo giovanile apprendistato presso l’atelier di Vincenzo Gemito e che coltiverà per tutta la vita. L’anno successivo diede alle stampe un primo sistematico studio sull’Architettura del Rinascimento a Napoli, seguito due anni dopo dall’ Architettura dell’età Barocca in Napoli. Con questi due volumi Pane ha disegnato il puzzle storiografico sul quale hanno lavorato varie generazioni di studiosi, aggiungendo naturalmente nuove tessere, riverificando le fonti e talvolta modificando le attribuzioni. D’altronde, lo stesso autore ritornerà sulle tracce delle sue pionieristiche ricerche pubblicando tra il 1975 e il 1977 i due monumentali tomi su Il Rinascimento nell’Italia Meridionale. Si dovrebbero menzionare molti altri studi, ma la produzione saggistica è decisamente ampia. Meritano tuttavia almeno un accenno le sue lucide monografie su Palladio (’48), Fuga (’56) e Gaudì (’64), nonché il pamphlet su Napoli imprevista (’49) che per la sua inedita sequenza fotografica sembra preludere a una vocazione cinematografica che trovò solo sporadici banchi di prova in cortometraggi artistici. Decisivo il suo apporto anche alla disciplina del restauro. Basterebbe già da sola la «Carta di Venezia», redatta nel 1964 in collaborazione con Pietro Gazzola, a comprovare l’acume critico che lo studioso napoletano seppe introdurre nei simposi internazionali emendando, con convincenti argomentazioni, quelli che fino ad allora erano stati ritenuti i principì inossidabili sanciti dalla precedente «Carta di Atene» del 1931. Alla passione per le controversie teoriche, Pane affiancò sempre un non meno significativo impegno nelle istituzioni universitarie dirigendo l’Istituto di Caratteri Stilistici e Costruttivi dei Monumenti (poi ridenominato su sua proposta Istituto di Storia dell’Architettura) e fondando nel 1969 l’ormai prestigiosa Scuola di Perfezionamento in Restauro dei Monumenti. Altrettanto tenace è stata la sua battaglia culturale per la tutela dei beni architettonici e ambientali, che raggiunse l’apice negli anni delle <<mani sulla città>>, quando Napoli fu saccheggiata nonostante gli articoli di denuncia da lui stesso pubblicati sulle colonne de «Il Mondo» di Pannunzio e la parallela azione etica svolta da «Italia Nostra», l’associazione fondata nel 1957 da Umberto Zanotti-Bianco alla quale Pane fu uno dei primi ad aderire. Last but not least è il motivo legato alla sua proverbiale dedizione alla cura, alla selezione e all’acquisto dei volumi, sia per le teche dell’Istituto che per quelle della facoltà. Tant’è che nel 1961 fu nominato direttore della Biblioteca della Facoltà di Architettura. D’altronde Roberto Pane ha coltivato vari interessi culturali, spaziando dalle arti visive alle ricerche teoriche, simile ad un umanista di altre epoche. Oltre ai raffinati disegni, alle splendide foto, ha lasciato anche un breve ma profondo cortometraggio su Napoli che purtroppo non tutti hanno avuto il privilegio di vedere. 
Conosciuto il padre proviamo a far saggiare al lettore la vis polemica del figlio, il quale risponde pubblicamente e polemicamente a Guido Donatone, un altro studioso dal carattere difficile.
Non posso allontanarmi due giorni da Napoli che Guido Donatone, come Macchia Nera, ne fa una delle sue. Adesso accusa me di un attacco “personale”, forse perché ho ricordato la sua illimitata presidenza di Italia Nostra, e con essa, una interpretazione conservatrice della problematica del centro storico, a sostegno di un Prg sostanzialmente rinunciatario sull’argomento. E allora, per non essere da meno, Donatone mi accusa di avere dato un parere pro-veritate, prima ancora che fosse apposto il vincolo, riconoscendo in cartografia storica e nella realtà l’inesistenza di qualsivoglia traccia dell’antico parco della Fagianeria, in un territorio guastato ormai irrimediabilmente da innumerevoli concessioni indebite e iniquità urbanistiche, dove il vincolo imposto tardivamente non ci restituirà nulla di ciò che è andato perduto, forse senza consentire neppure un’adeguata sistemazione dei luoghi. Ancora, sarei non uno dei dieci o dodici consulenti, ma addirittura il coordinatore (intende primo e unico responsabile, devo supporre) dei piani paesistici dell'’Infratecna (non Infrasud, Donatone aggiorni la scheda), e delle risibili previsioni di quello di Capri, dovute alla pratica inettitudine dei suoi redattori e a una equivoca lettura del giornalista Francesco Durante. Ancora, avrei ereditato un “feudo” universitario, proprio io che ho sempre osteggiato quel malcostume e che non ho mai gestito nulla, né direttamente né per interposta persona. E meno male che mi riconosce meriti scientifici! Ma alla ricerca dei motivi che possono indurmi a criticare l’operato dell’amministrazione comunale, di cui Donatone si fa paladino, ecco che spunta l’interesse personale: evidentemente - egli argomenta - io protesto perché non ho ricevuto incarichi. Corollario: sennò starei zitto. E io che m’illudo di parlare ancora di società civile: se il senso comune suo e dei suoi sostenitori e sodali produce queste perle, perdonami Tessitore, perché avevi ragione! In realtà c’è solo Italia Nostra che può, per definizione, assumere la difesa di interessi pubblici; tutti gli altri sono almeno sospetti. Alla faccia della convenzione di Aarhus. Questo almeno è il pensiero di uno che si dice di sinistra. E taccio su altre amenità sparse da Donatone sul conto mio e di mio padre - affinché i progenitori, il sottoscritto e la sua progenie siano dannati fino alla settima generazione perché è evidente che gli manca il senso del ridicolo. Ora, io intendo comunicare al nostro che calzo 43 di scarpe, ho 69 anni, sono alto (ancora per poco) 1.74, ho gli occhi azzurri, ereditati - questi si - da mio padre e mia madre. Chissà che questi dati personali non voglia unirli agli altri della sua schedatura, per ricavarne in futuro ulteriori elementi di contestazione. Non si sa mai. Intanto, io ho ricavato sufficienti elementi per una querela nei suoi confronti.
L’incontro con il professor Giulio Pane nel salotto di mia moglie fu uno dei più interessanti in assoluto sia per i partecipanti alla discussione che furono Aldo Loris Rossi, Gianni Caroli ed il vulcanico Max Vajro, sia per l’argomento. La scoperta di “una nuova vecchia immagine della città di Napoli”, ma soprattutto perché seguì una delle frequenti spedizioni in loco per accertarsi de visu della nuova acquisizione.
Sull’argomento e sulla visita alla ridente cittadina di Anguillara Sabazia sul lago di Bracciano scrissi un esaustivo articolo sulla rivista casa mia nel gennaio del 2000 raccolto successivamente ne le “Ragioni” di Della Ragione - pag. 108, 111. (consultabile in rete).


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