Ilda Boccassini |
Ilda Boccassini (pochi lo sanno) nasce a Napoli e percorre una prestigiosa carriera, seguita dai mass media come una diva, prima di diventare procuratore aggiunto dalla Repubblica presso il Tribunale di Milano.
Dopo la laurea in giurisprudenza entra in magistratura, con funzioni effettive, nel 1979 prestando servizio dapprima alla Procura della Repubblica di Brescia, e ottenendo poco dopo il trasferimento alla Procura della Repubblica di Milano. Si occupa, quasi subito dopo il suo arrivo a Milano, di criminalità organizzata.
La sua prima inchiesta di rilevanza nazionale viene denominata Duomo Connection e ha come oggetto l’infiltrazione mafiosa nell’Italia settentrionale. L’inchiesta è portata avanti con la collaborazione di un gruppo di investigatori guidati dall’allora tenente Ultimo, il capitano divenuto poi famoso per l’arresto di Totò Riina. Sono gli anni delle prime collaborazioni anche con il giudice Giovanni Falcone, che sfoceranno in un legame di profonda amicizia.
All’inizio degli anni novanta entra in rotta di collisione con altri colleghi del pool antimafia milanese, ne viene estromessa dall’allora Procuratore Capo Francesco Saverio Borrelli, ma porta comunque a termine il processo sulla Duomo Connection. Dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio, nel 1992, chiede di essere trasferita a Caltanissetta dove rimane fino al ‘94 sulle tracce degli assassini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Collabora nuovamente con Ultimo alla cattura di Riina e scopre, in collaborazione con altri magistrati applicati a quelle indagini, mandanti ed esecutori delle stragi Falcone e Borsellino. Dopo una breve parentesi alla Procura di Palermo torna a Milano e, su richiesta del Procuratore Borrelli, si occupa dell’inchiesta denominata Mani pulite subentrando ad Antonio Di Pietro dimessosi dalla magistratura il 6 dicembre del 1994. Collabora, quindi, con i colleghi Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Armando Spataro e Francesco Greco, seguendo in particolare gli sviluppi delle inchieste riguardanti Silvio Berlusconi e Cesare Previti.
Continua ad operare presso la Procura di Milano dove si occupa di indagini sulla criminalità mafiosa e sul terrorismo. Ha diretto a partire dal 2004 le indagini della DIGOS che il 12 febbraio 2007 hanno portato all’arresto di 15 sospetti appartenenti all’ala movimentista delle Nuove Brigate Rosse, denominata anche Seconda Posizione. Secondo l’accusa, la presunta organizzazione terroristica, operante nel Nord Italia, stava preparando attentati contro persone e aziende. Il 28 maggio 2009 il Plenum del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) l’ha promossa alla funzione di Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Milano.
In seguito indaga sul caso riguardante l’affidamento di una giovane donna marocchina, definito giornalisticamente caso Ruby, nota negli ambienti della politica e della moda, che avrebbe compiuto alcuni furti. L’inchiesta interessa, tra gli altri, l’ex presidente del Consiglio dei Ministri italiano Silvio Berlusconi che, secondo l’accusa, avrebbe esercitato indebite pressioni sulla questura di Milano per ottenere suo rilascio e che l’avrebbe pagata in cambio di prestazioni sessuali quando era ancora minorenne. A causa di quest’incarico e di altre attività che hanno impegnato le procure della Repubblica nelle indagini su Silvio Berlusconi per reati quali concorso esterno in associazione mafiosa, prostituzione minorile, concussione, corruzione, strage, appropriazione indebita, traffico di droga, riciclaggio di denaro sporco, abuso d’ufficio, frode fiscale e falso in bilancio, Berlusconi l’ha indicata fra gli appartenenti ad una frangia della magistratura, da lui definita “sovietica” e “comunista” .
Si ricorda l’attacco da parte de Il Giornale che, su indicazione di Matteo Brigandì, componente del CSM, citato poi in giudizio per la diffusione dell'informazione stessa, all'inizio del 2011, ricorda che nel 1982 il magistrato era stato sottoposto a provvedimenti disciplinari a causa di atteggiamenti personali concludendo quindi che la Boccassini non avesse l’autorità morale per condurre le indagini su Berlusconi.
Nel dicembre 2011 viene inclusa dalla rivista statunitense Foreign policy al 57º posto nella lista delle personalità nel mondo che nel corso del 2011 hanno influenzato l’andamento del mondo nella politica, nell’economia, negli esteri.
«Magistrato-simbolo, l’unica conosciuta e invitata anche all’estero, implorata dalle tivù per un’apparizione, corteggiata per un’intervista»
«Entrata in magistratura nel 1977, Ilda non ci ha messo molto a dimostrare di che pasta è fatta. All’inizio si occupa di rapine, delitti passionali e operazioni antidroga che la portano a ordinare blitz di centinaia di carabinieri nelle periferie di Milano. Sul finire degli anni Ottanta comincia a collaborare sull’asse Palermo-Milano con Giovanni Falcone. Con lui segue molte indagini sul riciclaggio del denaro sporco e, soprattutto, cerca di catturare l’imprendibile Gaetano Fidanzati, il boss siciliano che dalla latitanza inondava la metropoli di eroina e cocaina. Sulle sue tracce ci sono allora sia l’alto commissariato antimafia - retto da Domenico Sica e dal suo vice, l’ex sostituto procuratore milanese Francesco Di Maggio - sia i carabinieri coordinati da Boccassini e Falcone. Intercettando l’apparecchio di una cabina telefonica si riesce a individuare Fidanzati in Sud America. Viene indetta una riunione nell’ufficio di Francesco Saverio Borrelli dove tra i vertici dell’alto commissariato e Ilda Boccassini va in scena uno scontro memorabile. Ilda e Falcone spingono perché prima di arrestare Fidanzati si tenti di ricostruire la sua rete di rapporti. Niente da fare. Il blitz scatta subito. Intanto, è esplosa la Duomo Connection, uno scandalo fatto di mafiosi legati ai corleonesi, di appalti e mazzette. Gli uomini di Ultimo, per la prima volta in Italia, sono riusciti a documentare, filmando e intercettando, la vita quotidiana degli uomini d’onore al Nord. Sono saltate fuori storie di traffico di droga, ma anche i contatti con i politici che, passando per la massoneria, arrivano persino alla famiglia di Bettino Craxi. Ilda procede come un treno. Macina indagini su indagini, ma fa tutto da sola. Non si fida di alcuni colleghi e non manca di sottolinearlo aumentando così le tensioni all’interno dell’ufficio. La situazione è talmente tesa che Borrelli, dopo aver assistito all’ennesimo scontro con Armando Spataro, un altro magistrato dal carattere spigoloso, la estromette dal pool che indaga sulla criminalità organizzata. Nel settembre del 1991 il procuratore scrive: “Boccassini è dotata d’individualismo, carica incontenibile di soggettivismo e di passione, non disponibilità al lavoro di gruppo”. «Sembra il capolinea. Invece Ilda, a poco a poco, comincia a maturare. Diventa più diplomatica. Più disponibile. Fino ad arrivare a riconoscere, nel 1997, che il provvedimento di Borrelli “era dettato da una sorta di ragion di Stato”. Ma prima di giungere a quel punto molta altra acqua deve passare sotto i ponti. Soprattutto l’Italia deve conoscere la tragica stagione delle bombe di mafia. Quando muore Giovanni Falcone, lei parte di notte per vegliare con gli amici carabinieri il cadavere dell’amico. Poi, a Milano, prende la parola in un’aula magna gremitissima, e come spesso le accade dice una verità, sia pure parziale, molto antipatica. Racconta come tutti, a partire dai colleghi, per arrivare sino “agli intellettuali del cosiddetto fronte antimafia”, avessero accusato Falcone di essersi venduto quando nel 1991 aveva accettato di andare a lavorare al ministero di Grazia e Giustizia.
“Gherardo, anche tu diffidavi di Giovanni, perché sei andato al suo funerale? L’ultima ingiustizia Giovanni l’ha subìta proprio dai giudici milanesi che gli hanno mandato una rogatoria senza allegati (i verbali sui politici socialisti coinvolti in Tangentopoli – ndr). Giovanni mi telefonò quel giorno e mi disse: ‘Che amarezza, non si fidano del loro direttore degli Affari penali’”. Ovvio, quindi, che in occasione del suo primo rientro dalla Sicilia, nel 1994, la Procura di Milano la circondi di freddezza. Ilda Boccassini accetta così al volo l’offerta di Giancarlo Caselli che la vuole a Palermo. La nuova esperienza dura però solo sei mesi. Anche lì, le incomprensioni non mancano: Ilda tra l’altro sostiene che è sbagliato dedicarsi più ai rapporti tra mafia e politica, che alla Cosa Nostra militare. Ma questa volta a spingerla a rientrare è soprattutto la lontananza dai due figli (un maschio e una femmina, avuti da un magistrato da cui si è poi separata) e la stanchezza per un’esistenza blindata. Certo, c’è la popolarità. Il Times e L’Express l’hanno inclusa, unica italiana, nell’elenco delle 100 donne più importanti al mondo, ma il resto è solitudine, scorte e vita da caserma. A Milano a farle da apripista verso la riconciliazione con i colleghi sono Francesco Greco e Gherardo Colombo. Sì, proprio lui, Colombo. I due ex amici (cofondatori nel 1985 del circolo Società Civile cui apparteneva anche Giuliano Urbani) si incontrano per caso in ascensore. Gherardo saluta Ilda come niente fosse accaduto. Lei, sorpresa, scoppia in lacrime: “Ma come, mi saluti? Dopo quello che ti ho detto?”. E lo abbraccia. Così quando il pool si trova per le mani la supertestimone Stefania Ariosto, Greco propone che sia lei a seguire l’indagine: per verificare le sue parole bisogna ricorrere a microspie, pedinamenti, intercettazioni. Solo lei, grazie all’esperienza siciliana, è in grado di farlo. Il 12 marzo del 1996 scatta il blitz: finisce in carcere il capo dei gip del tribunale di Roma, Renato Squillante. E l’Italia scopre ufficialmente che anche Silvio Berlusconi è sotto inchiesta per corruzione giudiziaria. Da allora la “dottoressa” – “Bocassa” – “Ilda la rossa” diventa il bersaglio grosso» (Peter Gomez). «Dice la Boccassini che quando il pubblico ministero, cioè se medesima interpretata da Anna Bonaiuto, scambia quel lungo sguardo con il Caimano – sono nell’aula del tribunale e il Caimano è stato condannato a sette anni e gli occhi del Caimano/Nanni Moretti sono accecati dall’odio per quella donna in toga – il cuore le è andato per aria, nel buio della sala. Un impulso inatteso. Si è ritrovata emozionata, atterrita, stupita della sua stessa angoscia. Come se davvero quell’occhiata ci fosse stata a Milano, al termine del processo. Come se davvero il suo viso fosse stato affrontato, per un breve e lunghissimo momento, dal disprezzo assoluto, dal rancore, dalla feroce inimicizia dell’imputato. Quello sguardo non c’è mai stato ma, dice la Boccassini, quei pochi secondi del film l’hanno precipitata di nuovo in giorni che vuole dimenticare; all’indietro in quella bolla d’odio in cui si è trovata a vivere; e ancora in quella sproporzione vigliacca che l’ha tenuta prigioniera per anni. Da un lato, il potere: il capo eletto dal popolo, il governo, il Parlamento e le televisioni, i giornali, le burocrazie, schiere di avvocati, l’opinione pubblica o meglio quella gente che le inviava lettere minacciose dicendole “puttana” o augurandole la morte per cancro. Dall’altro, lei. E chi era lei se non si crede allo Stato, all’equilibrio dei poteri, all’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge? Un niente, nulla di più che una donna con il golfino che, per trovare coraggio e mostrare risolutezza in pubblico, mette su una collana rosso fuoco e fa ancora più vermigli i suoi capelli. Il pubblico ministero/Anna Bonaiuto affronta il risentimento del Caimano con uno sguardo non domo ma, dice la Boccassini, se ha avuto nel buio della sala quel momento d’apprensione concretissima è perché lei conosce i costi di quello sguardo fiero e ne ricorda la fatica e, perché non dirlo?, anche la paura. Quel tassista grosso grosso che, una notte, sentendo l’indirizzo di casa, le dice di aver capito e, senza girarsi verso di lei, ringhia per confermarlo: “Sì, in quella piazza dove abita la maledetta giudicessa comunista con i capelli rossi”»
Il 20 dicembre 2007, dopo che il Consiglio superiore della magistratura (Csm) aveva scelto all’unanimità Francesco Greco e non lei per il posto di procuratore aggiunto di Milano, presentò le dimissioni dall’Associazione nazionale magistrati (il sindacato delle toghe) e revocò la propria domanda per il posto di procuratore (benché avesse a breve la certezza pressoché assoluta di essere nominata proprio in base ai medesimi criteri che le avevano fatto preferire, per anzianità, Greco). Luigi Ferrarella: «Più che con l’Anm, è con la sua categoria che il pm già più volte in passato non ha nutrito grandi lune di miele, soffrendo il fatto che i suoi processi venissero vissuti, sotto sotto, come un fardello da cui liberarsi, la causa della rappresaglia della politica sotto forma di ordinamento giudiziario sempre più punitivo delle toghe, quasi una sorta di questione personale anziché una cartina di tornasole della possibilità stessa o meno di celebrare un processo. Sensazione acuitasi nella sfilza di ripercussioni: Boccassini ripetutamente sotto inchiesta penale, procedimento disciplinare, ispezione ministeriale, interrogazione parlamentare. Con la beffa – lei sempre prosciolta, e spesso anche diffamata e/o calunniata stando a parecchie sentenze – di veder rallentata la propria normale progressione in carriera. Come lo scatto a “magistrato di Cassazione”, ottenuto senza problemi dai colleghi del suo stesso concorso, e da lei invece atteso 4 anni in più».
Maurizio Laudi, procuratore aggiunto a Torino, “avvocato difensore” al Csm di Clementina Forleo, membro dell’Anm: «Sono assai stupito dalle sue dimissioni dall’associazione perché quando anche il Csm avesse adottato uno “scavalcamento” nelle valutazioni della Boccassini il problema è del Csm, non dell’Anm».
Luciano Violante: «Credo che il problema sia più generale. Si tratta della crisi di identità professionale che sta attraversando la magistratura e che è sentita soprattutto dai magistrati più esperti. Questo stato d’animo emerge anche dal documento dei magistrati milanesi e in cui dicono che investono il 95% del loro tempo in processi inutili. Il punto di mediazione tra norma e fatto, che rappresenta la funzione specifica del magistrato, è stato sostituito dalla fatica di ricercare la norma nella confusione legislativa».
Nell’aprile 2008 il Csm l’aveva nominata a maggioranza procuratore generale di Verona, ma lei rifiutò l’incarico, avendo invece fatto domanda per la Procura generale di Padova, Firenze e Bologna.
Il culmine della sua carriere è a Milano dove di recente al processo Ruby Berlusconi in primo grado ha incassato una condanna a 7 anni di reclusione.
Molti si aspettavano il finale previsto da Nanni Moretti nel Caimano, non è avvenuto il futuro del Cavaliere e dell’Italia è un mistero chi vivrà vedrà.
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