Un esordio e una conferma: Anna Di Fusco e Pasquale Nero Galante,
di Pietro Di Loreto
Fig.1 Anna Di Fusco: Caratteri rossi |
Fig.2 Pasquale Nero Galante. |
Afferma Achille Bonito Oliva che “il tempo deflagra tutti i linguaggi artistici”, ma consente all’artista di proiettare il suo sguardo sul mondo. Sarebbe come dire che un ‘certo modo’ - quello dell’artista, evidentemente - di vedere ed illustrare il mondo, cioè la contemporaneità, non possiede in realtà un potere illusivo, quanto invece allusivo.
Questa riflessione ci è tornata alla mente guardando e confrontando le opere - diverse per ispirazione, composizione, tecnica, ma per taluni aspetti complementari - realizzate da Anna Di Fusco e Pasquale Nero Galante.
La prima, senza piegarsi a facili sirene commerciali, recentemente ha realizzato un originale House show con una mostra, Percezioni, che ha destato notevole interesse, proponendo i suoi lavori concettuali nati dall’incrocio tra espressionismo ed astrazione, dove si esalta la fisicità delle tele percorse da getti di vetri colorati, o attraversate da rettangoli ove si materializzano ‘crateri’ bianchi, rossi e neri, o formate da stesure di acrilico crude e intense (fig. 1, 3).
Fig.3 Anna Di Fusco: La via dorata |
Del secondo, invece, si è appena conclusa presso la sala Caravaggio dell’ISA di Roma un’esposizione, curata da Cecilia Paolini (in cui la sue opere erano accostate a quelle di Valerio de Filippis), volta alla ricerca e alla memoria del corpo, “interpretando questo tema in senso spirituale - come suggerisce la curatrice nel catalogo - per cui il sacrificio di vivere che si manifesta nei piccoli e grandi segni del corpo costituisce la catarsi verso la libertà dell’anima” (figg. 2, 8).
Fig.6 Pasquale Nero Galante. |
Fig.7 Pasquale Nero Galante. |
Fig.8 Pasquale Nero Galante. |
Va detto, innanzitutto, che si tratta in entrambi i casi di opere di grande impatto, frutto di pura forza creatrice rispondente ai valori di autenticità che i due artisti comunicano, insieme all’urgenza di registrare con la massima libertà la vita e il tempo, delineando la fisicità del vero, ma anche l’aleatorietà del concetto. Insomma, queste opere, pur così diverse tra loro, stanno a dimostrare quanto debba ritenersi speciosa la questione della contrapposizione fra correnti artistiche (come arte figurativa/arte astratta) che in realtà storicamente sono sempre vissute in contemporanea, brillando ognuna di luce propria.
Ma perché accostare in un’unica recensione esperienze di lavoro tanto differenti ma altrettanto precisamente delineabili? Quali sono, in una parola, i caratteri tipici dell’arte di Anna Di Fusco e Pasquale Nero Galante e cosa ce li fa definire distanti ma contigui?
Cercare nelle vicende artistiche susseguitesi a partire dalla seconda metà del XX secolo la chiave dei rispettivi motivi di ispirazione rimanda al costume fin troppo abusato di voler classificare ogni cosa, ma nasce anche da un’illusione prospettica assolutamente tipica dei nostri tempi. Per questa generazione di artisti contemporanei, in realtà, la Minimal art o la Pop art sono poco più che nomi e le cose magari non stanno affatto come noi crediamo. Ma come stanno, dunque?
Un secolo come quello da poco trascorso, che ha visto studi sempre più approfonditi e severi, sempre più dettagliati ed analitici, ci ha forse alla fine orientati verso una presentazione molto meno sistematica del rapporto o della correlazione tra l’operare dei pittori e una qualche ‘dottrina’, un qualche punto di riferimento. Vero è che Matisse diceva che compito dell’artista è creare, perché evidentemente laddove non c’è creazione non c’è arte; ma quando Sol LeWitt si legò al minimalismo, agli inizi degli anni Sessanta, la sacralità dell’opera d’arte come risultato finale di un percorso creativo determinato e realizzato, già abbondantemente ridimensionata e contestata come si sa, completava la sua parabola discendente. La produzione di Carl Andre, in particolare, dichiarava completamente destrutturato nel senso dell’esito aniconico il lavoro operativo, per così dire, dell’artista. E quest’ultimo maestro avrebbe tracciato le conseguenze estreme di tale processo, caricando com’è noto il suo minimalismo di valenze ideologiche e politiche di stampo materialista, fino a fondare nel 1969 la Art Worker’s Coalitions, che divenne protagonista delle manifestazioni contro la guerra nel Vietnam.
Dunque, l’idea che l’arte debba trasmettere o sposare una sorta di “corpus doctrinae”, come ad esempio avveniva nel Medioevo, sembra oggi una specie di inganno prospettico, o, se si vuole, una sorta di scorciatoia che si priva dei legami e della concatenazione concreta dei fatti.
Per questo ci appare impossibile e ingenuo definire rigorosamente il campo operativo di un artista, nonostante molti critici e trattatisti cerchino di orientare, se non dirigere, l’irresistibile sviluppo di nuove tendenze. Il problema oggi consiste, a nostro parere, non nella decifrazione del ‘significato’ dell’opera d’arte (cui basta, se si vuole, il nesso tra ‘testo’ - al limite perfino il solo titolo - e immagine), bensì nell’individuazione della relazione tra lo sviluppo artistico e la cultura in movimento, a seconda della declinazione personale che l’artista riesce a proporre.
Il discorso ci sembra valere tanto per Anna Di Fusco quanto per Pasquale Nero Galante. Per entrambi il richiamo ad una qualche classificazione rigida sembra del tutto inattuale, e infatti ancora per entrambi si deve dire che la rispettiva forma poetica, e il fare artistico che ne consegue, scaturiscono da nuovi impulsi culturali, da nuove esigenze che essi esprimono certo in modi differenti, proprio perché non ricalcano esperienze passate.
Fig.4 Anna Di Fusco: Contrasti |
Si vedano della Di Fusco Contrasto (fig. 4), o Materico Argento (fig. 4), dove la materia pittorica si distende calma ma inesorabile sul supporto ligneo con sovrapposizioni che formano quasi onde di liquido rappreso.
Di Nero Galante si possono richiamare, tra le altre, le opere c 39 (fig. 5), o (fig.5) - non a caso senza titolo, come tutti i lavori in esposizione - a voler precisamente fuggire dalla logica della classificazione, e dove le forme, per citare ancora Cecilia Paolini, “esibiscono una bellezza altra, fatta di varietas ed esclusività, contraria alle forme stereotipe che costituiscono il canone contingente e mutevole dei tempi”.
Di fatto, qualunque possa essere stato l’impegno pregresso dei due artisti, nello studio o nell’approccio esperienziale con il passato, entrambi sembrano non volersi piegare alle convenzioni stilistiche, né alle mode compositive in uso. Ma se per l’esordiente Di Fusco si richiede necessariamente qualche accortezza, e ulteriori successive conferme, nell’analisi di quanto sembra oggi proporre nel contesto dell’arte contemporanea, nel caso di Pasquale Nero Galante il discorso appare maggiormente delineabile, laddove, pur non rinnegandone i principi, egli pare voler preannunciare il crollo dell’affascinante edificio della pittura. Ed, in effetti, le tradizionali chiavi di lettura dell’opera d’arte dovrebbero qui subire delle cospicue rettifiche se si vuole cercare di chiarire come l’approdo di un tragitto individuale che ha determinato una così evidente evoluzione dell’immagine possa alla fine comportare il superamento degli steccati della stessa disciplina, che l’artista con ogni evidenza ritiene limitativi, per liberare le fantasie della pittura e consentire che esse siano permeate dal gusto della narrazione. Dove, peraltro, pur sembrando ancora dominare la figurazione che parte dal ‘vero’ osservato, nondimeno se ne reclama il superamento per tradursi in concetto. Non si può negare, insomma, alla poetica di Nero Galante, oltre all’indubbia capacità espressiva, una vera forza attrattiva, che non mira però al coinvolgimento artificioso dello spettatore ma, al contrario, gli si pone come bersaglio.
Fig.6 Anna Di Fusco: Materico argento |
Dobbiamo dire che anche in questo le creazioni dei due artisti presentano tratti comuni: in entrambi è evidente una ragguardevole capacità di comunicazione che comunque non si stempera nella lusinga o nella ritualità.
Ogni epoca ha la sua forma e il suo sistema di comunicazione; ogni generazione e perfino ogni gruppo ne fa o ne può fare un uso diverso. Sembra tuttavia che ancor oggi prevalga nel campo della critica d’arte il bisogno continuo, quasi ultimativo, di decifrazioni esatte, per cercare di collocare la modalità delle opere, vale a dire le immagini, nel contesto generale che le delimita e le governa, ma che esse a loro volta contribuiscono a modificare. Lo studioso, il critico, passa al vaglio una massa enorme ed eterogenea di lavori e sovente, al di là delle stesse intenzioni che hanno mosso gli autori, tenta di definirne il senso; ma ormai dovrebbe essere chiaro che non è questo il punto, o almeno non lo è più: non si tratta di chiarire il soggetto di un’opera, quanto, a mio avviso, di contribuire alla comprensione di un dato momento storico leggendo la creazione artistica individuale come espressione più o meno inconscia di una sensibilità collettiva.
Nessun commento:
Posta un commento