lunedì 10 marzo 2014

Il popolo delle scale

Il Petraio

Prima di procedere alla lettura consiglio di consultare in rete il capitolo “Su e giù per le antiche scale” contenuto nel III tomo del mio “Napoletanità, arte, miti e riti a Napoli”.
Proviamo a visitare alcuni di questi percorsi ed a conoscere coloro che li abitano da generazioni.
Lasciata alle spalle la Funicolare centrale e Piazza Fuga si comincia la nostra camminata, tra le scale illustri o decadute con obiettivo il mare, dovete lasciar perdere le pur necessarie magie segrete del liberty; mettervi alle spalle via Luigia Sanfelice, via Donizetti (con le sue scale che, ripulite, avrebbero fatto impazzire Wanda Osiris) e via Palizzi introdotta dalla villa di Eduardo Scarpetta, «La Santarella»: dal titolo di quella commedia che lo arricchì. «Qui rido io» è scritto su un muro. Costeggiate la candida villa Hertha che durante l'ultima, guerra fu prima comando tedesco e poi comando alleato e prendete le scale per ritrovi in un altrove fatto di terrazzini ruffiani, piccoli giardini di agrumi, palazzine restaurate di fresco ma pure edifici cadenti, come molari cariati. Vi girate a guardare in alto e siete sovrastati da mura che vi paiono ancora imponenti e da prospettive inedite di Castel Sant’ Elmo. A trafiggervi è, comunque, lo spazio illimitato che scorgete appena Il parapetto sostituisce un portone. Si può giocare ad identificare gli edifici più famosi e le cupole delle chiese.
Il Petraio è stato il punto ove si sono recati tanti pittori dell’Ottocento che hanno lasciato vedute indimenticabili, a noi resta la gioia di scattare foto memorabili da postare su Facebook per gli amici.
Incontriamo un gruppo di “lavoratori” alla ricerca di ferro, travi, elettrodomestici, bulloni, una fatica improba, ma bisogna pur campare.
Gli abitanti dei bassi sono felici, perché la mattina quando aprono la finestra vedono il paradiso e volentieri si accollano l’obbligo di tenere pulita la strada, nella quale l’ultimo spazzino è stato visto anni fa.
Un abitante indica un terraneo dove una volta vi era una cantina ”Assunta ‘a Barbosa”, che apparteneva alla famiglia proprietaria di “Zi Teresa”. Vi fu una lite ed una scissione e lei aprì una trattoria quassù, è stata aperta per molti anni e spopolava. Portò con sé una immagine di Sant’ Anna che è ancora sul posto.
Lungo tutto il Petraio vivono almeno duemila persone. Un paese nella città. «Siamo tutelati dall’Unesco, come la Pedamentina e le rampe San Francesco». 
«In questa casa qua sotto ha soggiornato Goethe, un tempo; si chiamava Villa Di Rienzo». Attorno c'è un giardino terrazzato. È in vendita, ma si accontenterebbero anche di fittarla. «Quassù sono cominciate le Quattro Giornate di Napoli». C'è persino, una scena nel film di Nanni Loy, nel quale risuona il grido: «Pe’ criature d’o Petraio».
Più giù,-prima di arrivare alla cesura del corso Vittorio Emanuele che separa, Come un torrente, due sponde quasi opposte, ci sono i gradoni di Santa Maria Apparente, alle spalle della chiesa omonima.
Il corso Vittorio Emanuele, era tutt’uno, un tempo con il Petraio, ora è altro. Un altro mondo. Si discende qualche rampa e ci si ritrova su una via ripida, anch’essa a gradoni, malmessi e viscidamente scivolosi per. la pioggia. Un cartello ammonitore consiglia come comportarsi: “Stateve accorti che vi ciaccate”, gli abitanti chiamano affettuosamente quel tratto via Rompicollo. Un provvidenziale corrimano aiuta anziani ed invalidi a salire e scendere senza troppi danni. Ulteriore protezione è offerta da una piccola edicola colma di ex-voto con una immagine di San Ciro, invocato ed intervenuto senza indugio in occasione di scoppi e smottamenti.
L’illuminazione lascia a desiderare, ma scippi e rapine qui sono sconosciuti, la gente è tranquilla e tutti si conoscono da sempre. Mentre la società si disintegra la comunità con i suoi legami parentali e di amicizia diventa sempre più salda.
I palazzi antichi hanno tutti i cortili, adoperati come parcheggio di quei pochi scooter che riescono ad arrampicarsi lungo le scale.
Appoggiato alle mura un antico crocifisso tutto annerito dagli insulti del tempo. Protetto da una tettoia, è diventato la casa di un gatto. La sua lettiera (una semplice cassa di legno) è accanto a un lumino elettrico acceso saecula saeculorum. Un mazzo di fiori. La foto di un defunto. Accanto una sedia Sfasciata. É l'eterna natura morta della Napoli che profana il sacro e sacralizza profano. Ignora la differenza, una sorta di panteismo assimilato senza aver digerito Spinoza. 
Quello che è accaduto alla chiesa di Santa Maria di Betlemme, più sotto, appena dietro alle vetrine scintillanti di via dei Mille, che nascondono, come un sipario, o un sudario, il ventre incancrenito della città, è roba da manuale del degrado. Salita i Betlemme è una ferita infetta. Se un posto lo chiamate Betlemme, poi che cosa vi, aspettate, se non una grotta da ricovero, un presepe sgarrupato? A fare da pus c'è la chiesa sconsacrata, sovrastata dal palazzo dei Veterani: uno scandalo nel cuore di Chiaia snobisticamente distratta. Tutto il complesso secentesco era dei domenicani. La chiesa è ora del Demanio ed è affidata alla Nuova Orchestra Scarlatti, diretta dal clarinettista Gaetano Russo. Tra non molto sarà lasciata, perché è stata messa in vendita: per 400mila euro. Quando sono arrivati i musicisti hanno trovato di tutto. Una discarica marcescente: negli scantinati c’era il deposito di water, bidet lavandini e vasche da bagno di un idraulico. 
La porta è socchiusa, come le meraviglie che nasconde. Nella chiesa seicentesca di Santa Maria di Betlemme ci si entra con facilità, a un paio di minuti di «piedicolare» dalle «scale, rompicollo». Però., una volta entrati, in i chiesa, gli occhi stupiti non sanno dove guardare. Non sanno se lasciarsi catturare dalla bellezza dell'altare, dalle crepe preoccupanti, dal degrado dell'intonaco ammuffito e sfasciato, dai palloni usati un tempo per le partite con il crocifisso a fare da palo o dal pc che sotto alla Madonna nella cappella laterale. Poi, si sente una voce. Quella di Gaetano Russo, maestro della Nuova orchestra, Scarlatti. Racconta di quando trovò, un mitra nell'intercapedine. Allora, lo stupore decide dove dirigersi. 
«La Chiesa non è stata restaurata continua Russo, che è stato il primo clarinettista dell'orchestra Scarlatti della Rai fino al 1992 - Noi però l'abbiamo pulita. Quando ci siamo entrati, nel 2002, qui c'era di tutto, materassi un imputriditi, vetri rotti e resti cene. Una discarica. C’erano stati extracomunitari. Gli ovali sono stati rubati. Qua e là, palloni di cuoio a parte, si trovano spartiti e strumenti musicali: un organo sulla navata destra e un tamburo dietro l’altare regna una atmosfera dimessa. Tutt’attorno all' edificio religioso si sviluppa, come un mastodonte precipitato da un’epoca dove storia e preistoria si prendevano a cornate, il palazzo che sorse sulla preesistente villa del , magistrato Carlo Tappia. Si alza per: nove piani. Mai registrato al catasto e da sempre occupato abusivamente. Dell’antico chiostro restano pochi elementi, per il resto è uno sfascio: un rudere che potrebbe fare la sua figura a le Vele di Scampia.Dal lato della salita Santa Maria Apparente c’è un fondaco ridotto a garage. Molte vecchie porte sono state tompagnate. In alto s’intravede qualche casa abitata. Su un balcone c’è un carrello vuoto da supermercato. Un appartamento è sventrato, un altro espone jeans ad asciugare. Dovunque auto parcheggiate. Dal lato della salita Betlemme, accanto alla chiesa, c’è un antico arco di piperno, sui gradini sono cresciute pianticelle già primaverili. A sinistra, una scala stretta porta verso il campanile in parte abitato. A destra, un tempo era tutto murato. Ma hanno aperto un varco enorme per accedere alle larghe scale che portano ai piani alti. È, senza eufemismi, un gabinetto pubblico e contemporaneamente un dormitorio. Materassi lerci ovunque, ed un ricovero per mendicanti. Ai lati stanzette devastate. Al primo piano è tutto puntellato. È un antro. Il peggiore degli incubi di Piranesi. Il pericolo che tutto possa cedere sotto i piedi i lo avverti a ogni passo, e pesa più del silenzio. È un'ascesa all'Inferno, un piano dopo i l'altro, una bolgia dopo l'altra, un girone dopo l'altro. 
Veterani è il nome più appropriato che si poteva dare a un luogo smisurato come questo. Chi sopravvive qui, anche un solo giorno, merita la medaglia al merito incivile. Chi invece non vuole combattere nessuna guerra guarda e passa. La città dolente è dietro gli scintillii sempre più spenti delle boutique e dei brand più ambiti. Dall’alto del Petraio tutto questo resta. invisibile. Le nervature malate di Giùnapoli non si distinguono. Tutto, da lassù, fa paesaggio. L'azzurro copre le cicatrici putride come zucchero a velo. È solo un effetto ottico al quale non sono sfuggiti neanche i viaggiatori più accorti. Solo pochi di loro, i più acuti o i più cinici, hanno saputo dire quanta miseria nascondessero i fondali di cartapesta. Ma pure quanto dolore restasse a imputridire e nessuna acqua riusciva a trascinarlo via. Perché è un dolore che non si lava. 

Edicola votiva di San Ciro



Edicola votiva
esterno Ex Chiesa di Santa Maria in Betlemme
interno Ex Chiesa di Santa Maria in Betlemme

nuova orchestra scarlatti

La Santella








esterno palazzo dei Veterani
interno palazzo dei Veterani

interno palazzo dei Veterani

interno palazzo dei Veterani







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