Napoli: una veduta di Santa Lucia |
Per decenni i luciani sono stati un popolo dentro un altro popolo. Gli abitanti di Santa Lucia, infatti, ci hanno sempre tenuto a rimarcare la loro forte identità, sottolineando le differenze con i napoletani, o quanto meno la capacità di riassumere, nei suoi estremi, ogni aspetto del popolo partenopeo. Per esempio si sentivano, loro sì, gente di mare , che viveva unicamente per il mare e del mare. Le più belle acquafrescaie venivano da là, così come i marinai più esperti e i venditori di pesce più prelibato, per non parlare dei più forniti ostricari e dei più astuti venditori ambulanti di polipi, gamberi, datteri di mare, vongole, conchiglie, cannolicchi e caffettere. E che dire delle luciane, che potevano essere bellissime, come le più affascinanti dame di corte, e bruttissime, come misere abitanti dei bassi allora esistenti in città? Nel primo caso, «sbucano a sciami dai vicoletti e corrono su la via grande, innanzi al mare, così come si trovano abbigliate, nei mesi di caldo. Belle ragazze robuste, bruno dorate, dai neri e crespi capelli, dalle corte gonne dalle quali appaiono procaci le ben tornite gambe», nel secondo caso, si tratta di «donne mature, tutte rughe, sciatte, vecchie innanzi tempo, scalze, trascinantisi dietro non meno di quattro o cinque demoni nudi. Talune hanno enormi pance ballonzolanti, altre, avvolte in cenci, hanno l’apparenza di contorti tronchi». L’occhio clinico è di Ferdinando Russo, e questa considerazione è riportata in un suo trattato dal titolo eloquente, appunto, di Santa Lucia, che dopo più di un secolo di oblio è appena tornato in libreria.
Questa Santa Lucia descritta da Russo come appariva alla fine dell’Ottocento, «ha costituito una vera e propria Icona della napoletanità: letteratura, poesia, testi di vecchie canzoni sembrano averne quasi logorato il ricordo, diluito nelle descrizioni di genere. Eppure questo testo di Russo, conosciuto per lo più come autore di canzoni e poesie, forse è la più autentica, la più viva ricostruzione storica e antropologica di un quartiere e di una filosofia di vita». Non mancano nel libro, ovviamente, aneddoti, descrizioni di personaggi sui generis e curiosità. Tra queste ultime, addirittura si scopre che Santa Lucia aveva anche i suoi piatti tipici: il polpo detto appunto alla luciana, la minestra verde mmaretata e la mulignana c’’o ddoce. Il primo piatto, racconta Russo, ha un sapore inconfondibile, anche per merito del polpo e di come viene pulito, bollito e poi condito; per quanto riguarda la minestra verde mmaretata, anche se si tratta di una pietanza tradizionale, ben nota ai napoletani, «quella preparata dai luciani è superiore alle altre»; pare che uno dei suoi segreti fosse quello di usare, per maritare gli ingredienti, code e cotenne di porco salato. La mulignana c’’o ddoce, invece, ha la particolarità di essere una sorta di timballo di melanzane, tagliate finissime, e sistemate su uno strato di cioccolata, cedro candito, uva passa.
Tra i personaggi immortalati spicca fra tutti il venditore di ostriche proprietario di un bancariello sull’allora lungomare, che aveva piazzato il seguente cartello: «Ostricaro fu Giovanni». «Evidentemente» commenta Russo «il modesto figliuolo aveva avuto la nobilissima idea di glorificare il venerato genitore e aveva dimenticato di consacrarne il cognome! Giova chiosarla l’immensità di quella ditta? Quel Giovanni anonimo, per l’anonimo figliuolo, ha una fama mondiale!».
Per secoli per i luciani i festeggiamenti erano l’occasione per esternare la loro diversità, allontanarsi anche per un solo giorno da una vita difficile era un momento di felicità. L’illusione di mutare stato sociale cambiando semplicemente abito.
Nella festa della ‘nzegna gli indigeni si vestivano da re, regina e nobili e dai vicoli del Pallonetto si portavano verso Piazza del Plebiscito, creando un corteo che imitava quello reale. Ricevuto l’omaggio del sovrano, che lanciava monete ai componenti dell’originale processione, proseguivano lungo via Santa Lucia per fare tappa nella chiesa di Santa Maria della Catena. Quindi si portavano sul lungomare dove si buttavano a mare alla spasmodica ricerca di una cassa.
Una volta trovata, la festa si concludeva tra un tripudio di fuochi pirotecnici, musica e danze. Una usanza che è durata fino al periodo laurino.
In occasione di particolari festeggiamenti: nascite, battesimi e matrimoni i luciani amavano indossare abiti di “gala”. Quelli più ricchi sfoggiavano il cosiddetto “albernuzzo di telettà”, una specie di cappa, adornato di nastri colorati, mentre i più poveri avevano calzoni di lino, una camiciola di lana e sul capo un berretto rosso. Le donne vestivano un corpetto ed un grembiale ricco di merletti, mentre i capelli erano acconciati alla spagnola con il “tuppo”, una sorta di chignon. Le donne maritate sfoggiavano un drappo di seta d’oro, mentre le contadine abbellivano il capo con un fazzoletto colorato.
Santa Lucia in una antica cartolina |
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