mercoledì 30 ottobre 2013

L’artista della montagna di sale

Mimmo Paladino


Domenico Paladino, più conosciuto come Mimmo, Nato a Paduli (BN) nel 1948, pittore, scultore ed incisore è uno dei più noti artisti italiani. Le sue opere sono collocate in permanenza in alcuni dei principali musei internazionali tra cui il Metropolitan Museum of art di New York. Ed inoltre alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, e al museo d’arte contemporanea Donnareggina MADRE e al Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli
Mimmo Paladino è uno dei rappresentati più noti della Transavanguardia. Con questo movimento, teorizzato nel 1980 da Achille Bonito Oliva, assistiamo a quel vasto fenomeno di ritorno alla pittura, dopo che quest’ultima sembrava quasi scomparsa per la presenza delle tanti correnti concettuali che si erano manifestate negli anni ’70. Il nucleo storico della Transavanguardia è formato, oltre che da Mimmo Paladino (nato a Paduli, Benevento, nel 1948), da Sandro Chia (nato a Firenze nel 1946), Francesco Clemente (nato a Napoli nel 1952), Enzo Cucchi (nato a Morro d’Alba, Ancona, nel 1950) e Nicola De Maria (nato a Foglianise, Benevento, nel 1954). Artisti tutti italiani che formano la prima corrente artistica europea che, in questo secondo dopoguerra, riuscirà ad affermarsi anche in America.
L’ispirazione di base della Transavanguardia deriva dall’espressionismo storico, ma anche dal Neo-espressionismo manifestatosi in Germania negli anni ’70 con artisti quali Baselitz, Penk, Lupertz, Immendorf, Kiefer. Non è un caso, infatti, che la Transavanguardia trovi immediato successo proprio in Germania, dove provoca una sempre maggiore adesione al Neo-espressionismo da parte di artisti quali Fetting, Middendorf, Dahn e altri.
Dal Neo-espressionismo la Transavanguardia prende il concetto di immagine ridotta ai suoi elementi espressivi fondamentali, realizzati con tratti violenti e colori accesi. Ma contemporaneamente se ne distacca per una visione meno drammatica ma più solare. In particolare per quel gusto tutto mediterraneo di un’affabulazione sensuale che si ritrova soprattutto in Paladino.
Il concetto di Transavanguardia, così come formulato da Bonito Oliva, fa sì che questo movimento possa essere considerato in toto un fenomeno della cultura post-modern. Nella Transavanguardia troviamo infatti il ricorso alla memoria e alla citazione, con la scelta optata verso la tradizione delle Avanguardie storiche. Memoria e citazione che rimangono però legati esclusivamente allo stile. I riferimenti poetici, specie in Paladino sono ben altri. Essi riguardano la riscoperta della memoria "profonda", quella dove, con spirito quasi metafisico, le forme restano fisse in istanti senza tempo. Devitalizzati dalle tensioni contingenti, per mostrare l’essenza delle cose, le forme stesse si riducono a quel nocciolo duro che più duramente e lentamente il tempo riesce a scalfire.
L’opera di Paladino ha le divisioni tipiche dell’arte tradizionale, esplicandosi nel campo della pittura, della scultura e della grafica. In essa ricorrono immagini che rimandano ad un universo arcano e primitivo, dove le forme sono tradotte in segni eleganti e semplificati. Anzi, è proprio il passaggio dall’«immagine», come linguaggio analogico, al «segno», dove l’immagine ha un significato logico, a costituire il tratto più tipico dell’universo formale di Paladino. Un universo in cui compaiono e si moltiplicano una quantità enorme di «segni», generati per necessità artistica e formale, ma nel quale sembra di entrare in contatto con una cultura del tutto nuova, se non del tutto a noi estranea, i cui «segni» come un alfabeto sconosciuto aspettano ancora di essere decifrati e compresi.
Nel 1995 Napoli gli dedica una mostra alle scuderie di Palazzo Reale, a Villa Pignatelli Cortes e in Piazza Plebiscito dove installa la Montagna di Sale, un’opera straordinaria che gli procura una fama internazionale, seguirà anni dopo una identica performance a Milano in Piazza Duomo, che farà proclamare al filosofo Arthur Danto: «… debbo affemare l’eminenza di Mimmo Paladino tra le fila dell'arte contemporanea, qualità particolarmente vera per le installazioni all'aperto. Non c'è niente che regga il confronto con l'imponente "Montagna di sale" che l'artista ha eretto in piazza del Plebiscito a Napoli, disseminata di cavalli arcaici; il mondo dell’arte dell'ultimo quarto di secolo non ha nulla di paragonabile. C'è qualcosa di magicamente alchemico nella visione di questi cavalli arcaici che si dibattono su una piramide di sale».
È pittore, scultore, regista, architetto. Ma Mimmo Paladino, big della Transavanguardia, è molto altro. Le sue opere sono popolate da cavalli, maschere e forme geometriche che raccontano storie misteriose. Amico di Lou Reed, in passato ha collaborato con Lucio Dalla e Peppe Servillo (scritturati per un suo film), e Brian Eno. Poco strano quindi che il festiva) musicale di Ravello lo celebri oggi con una mostra. Il fil rouge? Le note. Un itinerario nella melodia attraverso 60 sculture negli spazi di Villa Rufolo (tra cui l'installazione dei venti Testimoni in dialogo con l'architettura di Oscar Niemeyer) e manifesti realizzati per il Teatro dell'Opera di Roma. Per culminare in un film su Gesualdo di Venosa, noto per i suoi madrigali (ma anche per aver ucciso la moglie adulterina).
Che effetto le ha fatto dialogare con le architetture di Niemeyer? 
L'architettura è pittura vedente, ha un forte legame con la mia opera. A Firenze ho fatto un'enorme croce di marmo in Piazza Santa Croce. È stata una sfida occupare la piazza, solo Benigni o Dante ci erano riusciti. 
Perché visitare la mostra? 
Perché Ravello è speciale. E per riscoprire Gesualdò di Venosa a cui ho dedicato un corto. Nel mio lavoro è tutto collegato: una scultura porta a un disegno, un disegno a un film. 
Che rapporto ha con la musica? 
Musica e pittura sono cugine. Lo spazio di una scultura o di una tela è come uno spartito. Si compie lo stesso processo mentale per creare una sinfonia o un quadro.
Wagner o Verdi? 
Verdi, per la sua potenza figurativa eccezionale. 
Dipinge, scolpisce, crea video: qual è la forma d'arte più completa? 
Forse il disegno: si può fare facilmente ovunque e sempre. 
È cambiata la sua arte dagli anni della Transavanguardia? 
Sono cambiati i mezzi e i metodi, però ancor oggi ritrovo formule uguali a quelle di 30 anni fa. Credo che nell'arte, alla fine, tutto sia ciclico. 
Nei suoi lavori sono spesso protagonisti i cavalli, perché? 
Perché è un animale puro, veloce e (soprattutto) libero. Ha una forma arcaica e una struttura geometrica precisa. È puro pensiero. 
Ha mai usato l'aura dell'artista per sedurre? 
L'arte ha un potere intrinseco di seduzione se si ha capacità di comprenderla.
E non rinuncia ad esprimersi attraverso il cinema, come nel suo film su Gesualdo, la cui vicenda, a suo parere fa percepire le luci e le ombre di Napoli.
Un lavoro collettivo: con Haber, la chitarra di Mussida e le foto di Accetta.
«La notte, unica regina della mia musica, mi tormenta a riscrivere in eterno lo stesso madrigale, per possederlo in ogni sua parola….», È il settembre del 1613. Sono i suoi ultimi giorni. Il principe di Venosa, Carlo Gesualdo, grande madrigalista del Seicento, scrive il suo testamento. E, nello stesso tempo, riscrive la sua musica, rivoluzionaria per l'epoca. Rivive i momenti salienti della sua esistenza, Pensa soprattutto a quella tragica alba in cui tornò nel suo appartamento di Palazzo Sansevero, in piazza San Domenico Maggiore, a Napoli, per sorprendere - e uccidere – la moglie Maria d' Avalos in compagnia dell'amante, Fabrizio Carafa. 
Così. in «Labyrirmus» un film documentario di quindici minuti, Mimmo Paladino sulla sceneggiatura di Filippo Arriva racconta il controverso personaggio e una vicenda di sangue e mistero circondata dalla leggenda che da sempre ha segnato l'immaginario napoletano, e non solo. 
Ma perché un film, Paladino? 
«Cinque anni fa avevo girato "Don Chisciotte". Aspettavo questo secondo cimento cinematografico, era il momento giusto e il soggetto molto stimolante, mi ci sono gettato con voracità e curiosità». 
lei ha dedicato a Gesualdo anche una mostra, attualmente allestita a Ravello sul piazzale dell' Auditorium Niemeyer e nella cappella di VilIa Rufolo. 
«Con il Principe dei musici ho un rapporto quasi "fisico" visto che la mia tenuta-studio di Paduli è a poca distanza dal castello di Gesualdo, la sua terra è la mia terra. Tra le opere che gli ho dedicato c'è anche un'installazione con un arciliuto imprigionato in un groviglio di bronzo. Un labirinto cui s'ispira anche il titolo del filmato, un labirinto che è la sua vita, la sua musica, unica, irripetibile». 
Dove avete girato? 
«Data la ristrettezza del budget abbiamo fatto tutto in una sola giornata nel cortile borrominiano e nella Sala Alessandrina dell'Archivio di Stato, a Roma». 
Cosa si vede nel film?
«Ci sono voci che si sovrappongono, quella fredda e burocratica del testamento originale di Gesualdo, quella che noi abbiamo immaginato dei suoi pensieri, delle emozioni, della musica. È un ritratto veritiero in cui si dice quasi tutto di lui e della sua storia, per me è un artista tragico come Caravaggio, con tutte le luci e ombre che da sempre accompagnano Napoli». 
Insomma, lei "disegna" il personaggio con la telecamera. 
«Pero questo filmato è diverso dal racconto libero e visionario che avevo realizzato per l'eroe di Cervantes. Vorrei che fosse il primo tassello di una serie di personaggi, tutti più o meno "prigionieri" di un labirinto artistico o legati a un' ossessiva ricerca musicale». 
Per esempio? 
«Glenn Gould il Pontormo».
Quindi non esclude la possibilità di ripetere ancora l'esperienza dietro la macchina da presa?
«È un campo molto affine al mio. lo che di solito lavoro da solo, spesso solo con la mia matita, qui ho assaporato il piacere del lavoro collettivo, della condivisione con un gruppo di amici. Se per "Don Chisciotte" avevo lavorato fianco a fianco con Lucio Dalla, qui sono con Alessandro Haber che impersona proprio Gesualdo, Franco Mussida che ha creato la colonna sonora con la sua chitarra o Cesare Accetta, mago della fotografia». 
E la musica?
«La considero la cugina della pittura, si costruisce su basi logiche e matematiche ma poi sfugge all'artista e raggiunge altri territori». 
Lei ha anche prestato le sue opere come scene per la lirica, al San Carlo: «Fidelio». (Beethoven) e il rossiniano «Tancredi». 
«Sì, e confesso che recentemente, disegnando i manifesti delle opere verdiane dirette "da Riccardo Muti all'Opera di Roma,ho scoperto Verdi, un musicista che è l'Italia. Ma se dovessi di nuovo affrontare le scene per un' opera mi piacerebbe disegnare il genio Mozart e il suo fantasmagorico "Flauto Magico"».
Un emozionante dialogo fra mondi lontani, eppure segretamente vicini. Un artista "antico", assiduo frequentatore di archetipi e di leggende. E un fotografo "arcaico", impegnato a trasfigurare brandelli di mondo, scorci di realtà. Mimmo Paladino e Antonio Biasiucci. La loro sfida: non dar vita a una "personale doppia". Nelle sale della Mep hanno disegnato un percorso segnato da corrispondenze e da risonanze, in cui scultura, pittura e fotografia sembrano continuarsi.
Si dissolvono i confini che separano i vari linguaggi. Il visitatore è invitato ad attraversare un vero impero dei segni: cifre e figurazioni transitano, si intrecciano, si combinano. Il percorso è avvolto dentro un'atmosfera mistica, religiosa. Non ci sono eccessi. Nessuna provocazione. Un silenzio appena sfiorato da affioramenti oggettuali. In un gioco di penombre, Paladino e Biasiucci sembrano comportarsi come involontari archeologi, impegnati a svelare relitti, rovine: tessere infrante di mosaici ormai invisibili. Ecco il ciclo dei Dormienti (Paladino). Ed ecco le foto degli ex voto e le colate di lava (Biasiucci), Ed ecco decine di scarpe d'argento conficcate alle pareti (ancora Paladino). La Mep viene trasformata in una Casa Madre, destinata ad accogliere un seduttivo viaggio alla ricerca delle origini.
Gli piacciono molto le collaborazioni con altri artisti come nel percorso a due voci, presso La maison Europeenne della Photograpie di Parigi o più modestamente a Nola dove una mostra celebra 20 anni di collaborazione con lo stampista Avella.
L'altro volto di Mimmo Paladino. Non quello di artista superstar, con quotazioni da capogiro tra aste e gallerie accessibili solo ai grandi collezionisti, ma quello più sensibile, di artista solidale che accende la sua creatività di scultore e pittore anche a sostegno d'iniziative e manifestazioni di carattere culturale di un certo rilievo. Sueccede a Nola  dove, nello spazio espositivo Amira diretto da Avella si espone un nutrito
corpus di libri d'autore, incisioni, xilografie e serigrafie realizzate dal maestro della Transavaguardia in oltre un ventennio di collaborazione, dal lontano 1991, con la stamperia d'arte nolana «il laboratorio»di Vittorio Avella. Occasione dell'incontro fu la V edizione di Futuro Remoto e la manifestazione «si stampi» dove con Paladino erano invitati Ernesto Tatafiore e Adriana de Manes. Negli anni segue una lunga serie di incisioni e serigrafie, tra le prime, nel 1992, quella per le celebrazioni dei 100 anni de «Il Mattino», quando Paladino realizzò una colorata e gioiosa composizione nella quale, tra la testata e le date 1892-1992, pochi segni essenziali che rimandano al ruolo del quotidiano come voce della città. Tra gli altri lavori in esposizione a Nola, una serie di opere grafiche poco note, alcune finanche inedite, messe insieme per raccontare una storia di amicizia e collaborazione tra un artista di fama internazionale, quale è appunto Mimmo Paladino, ed una stamperia d'arte che da più di 40 anni opera a Nola










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