martedì 16 gennaio 2024

Visitando i riti priapici e la cittadina di Furore

 

I murales di Furore


La città di Napoli deve le sue origini, secondo una leggenda ripresa anche da Virgilio, a rituali e tradizioni legati al mito della fecondità: Partenope era infatti una delle sirene rimaste vergini, in quanto Ulisse fu insensibile al loro canto ammaliatore ed essa venne a morire sulla nostra spiaggia, perché, non potendo sopravvivere alla vergogna di essere rimasta infecondata, solo attraverso l'unione del suo corpo antropomorfo di donna-pesce con la terra avrebbe potuto fecondare il suolo del luogo ove sarebbe sorta la sua città omonima. 

I primi templi alla deificata sirena, di cui purtroppo non vi è più traccia, sorsero proprio su quel litorale, via Partenope, che ancora conserva la memoria del suo nome; altri in seguito furono costruiti in epoca tardo-greca sull'acropoli di Sant'Aniello a Capo Napoli, dove un tempio dedicato a Partenope avrà culto anche nella prima romanità, che a Napoli sarà sempre rispettosa della precedente cultura greca fusa con elementi sanniti, fiera popolazione abitante l'Ausonia, un vasto territorio corrispondente alla odierna provincia di Benevento. 

Dell'antica acropoli, proprio di recente, grazie alla solerzia della nostra sovrintendenza, è di nuovo visitabile la chiesa di Sant'Aniello a Capo Napoli, che in epoca cristiana, come tanti altri templi, divenne luogo di culto per gli adepti della nuova religione. 

Per il visitatore è oggi emozionante passeggiare tra i fastigi di questo antico monumento e ripercorrerne con il pensiero la storia fino ai riti segreti della fecondità, che si svolgevano più di duemila anni fa, con le vergini designate dalla sacra Sacerdotessa che venivano accompagnate in grotte sotterranee e denudate nel corso di una cerimonia ritenuta di fondamentale importanza. 

Questo rito iniziatico voleva simboleggiare la sirena Partenope che, morente, si "coniugava" con la grande  madre terra. Una vergine distesa su di una pelle marina ottenuta sulle scaglie di diversi pesci del golfo, citati in antichi manoscritti, veniva posseduta da un giovane superdotato vestito  a sua volta da pesce. In tal modo si rinsaldava il legame con il mare, che è peculiare di tutte le civiltà che dal mare e dai suoi traffici traggono la ricchezza ed il sostentamento quotidiano. 

I riti esoterici iniziatici precedentemente descritti si protrassero per secoli fino a trasformarsi nelle "tarantelle complicate" che si svolgevano nella grotta romana di Piedigrotta, lì dove si trova la chiesa di S. Maria di Piedigrotta, una delle più popolari di Napoli, eretta nel 1353 al posto di una precedente esistente dal Duecento. Come quelle di Piedigrotta a Napoli esistevano altre grotte, le "Platomonie" poste lungo il litorale dell'antico borgo di S. Lucia, l'odierna via Chiatamone, nelle quali per secoli si sono consumati riti orgiastici di tipo priapico che contemplavano la fecondazione di una "menade", incoronata di alghe marine, da parte di uno "ierofante" agghindato da uomo-pesce. Durante il Rinascimento il rito acquista un simbolismo ancora più spiccato perché viene interpretato da giovani sposi che consumano la lecita deflorazione nuziale alla presenza degli accoliti di una setta segreta che ritmano i movimenti dell'amplesso con canti propiziatorii in un'atmosfera satura di essenze profumate, che bruciano lentamente in antichi tripodi ornati di falli alati simili a quelli che erano presenti in numerose ville di Pompei ed Ercolano.

Tali riti durarono fino all’epoca del viceré don Pedro de Toledo, il quale fece murare le grotte per impedirne l’accesso. MoIti napoletani credono ancora che, li dove per secoli si sono svolti dei riti parareligiosi, permangano a lungo delle energie, che tendono a sprigionarsi verso l'esterno e chi sa se qualche giovinetta o qualche matura signora, percorrendo l'elegante strada del Chiatamone, non abbia avvertito all'Improvviso un irrefrenabile quanto inspiegabile desiderio d'amare. 

Siamo grati al nostro caro amico, il maestro Roberto De Simone, che ha di recente riscoperto un'antica filastrocca sull'argomento, per la descrizione minuziosa di un'usanza, antica di secoli, che ancora oggi persiste in vasti strati della popolazione: il cosiddetto "vaso a o’ pesce e' San Rafèle". Tale rituale costituisce una delle più eclatanti "contaminazio" tra paganesimo e cristianesimo ed interessa le ragazze in cerca di marito che nella chiesetta di San Raffaele, sita nel popolare quartiere di Materdei, simboleggiano attraverso il bacio del pesce posto nella mano dell'Arcangelo (e qualcuna più casta attraverso il bacio di una figurina) la richiesta di un marito fecondo e, perché no, particolarmente ben dotato. San Raffaele è uno dei santi più belli della Chiesa, spesso raffigurato come un dio greco con nella mano destra il pesce, simbolo della fecondità del mare, necessaria al sostentamento delle popolazioni rivierasche.

Le antiche mura 


Il regno di Mecco


La divina costiera


I riti esoterici collegati alla fecondità non furono appannaggio della sola città di Napoli. 

Anche una piccola località come Furore, sulla Costiera Amalfitana, nel suo passato leggendario ha memoria di episodi boccacceschi ed intriganti, che ben si confanno alle balze tormentate ed agli orridi anfratti della sua terra, sempre avvolta in un alone di mistero. Ci guida tra luoghi e leggende del passato il pimpante sindaco del ridente paese rivierasco, il professor Raffaele Ferraioli. Il luogo è misterioso e ne sono testimonianza eloquente i nomi di numerose località che evocano da tempi remoti personaggi ed eventi mitici, fiabeschi, mistici. Malo Passo, Pedata, Pizzo Corvo, Scoglio del Sangue sono toponimi pervasi da significati arcani, da riferimenti magici. 

Questa rupe scoscesa e impervia, densa di gole e di caverne, venne scrutata con timorosa diffidenza dagli stessi incursori saraceni, che nelle loro scorribande la evitarono, ritenendola abitata da streghe, demoni e spiriti maligni. 

Numerose e suggestive vicende aleggiano su queste rocce, tramandate oralmente nei "cunti" delle nonne e nei lunghi conversari invernali accanto al camino. 

Nell'immaginario collettivo alimentato della narrazione, orchi e fate, regine e munacielli, fatti e misfatti, storia e leggenda si mescolano in un repertorio intriso di allegorie morali, significati trascendenti, vicissitudini quasi sempre liberatorie ma, a volte, anche terrificanti. Come cancellare dalla meraviglia infantile certi riti crudeli? La punizione ricorrente che vede il malcapitato di turno, legato con gli arti a due robuste pertiche, prima piegate e poi liberate a 

squarciargli barbaramente il corpo? La memoria popolare, condita spesso da un pizzico di fantasia ma pur sempre di grande suggestione e di singolare valore culturale ed etnografico, annovera, assieme alle figure di Mastu Grillo e di Madama Crapa, personaggi storici quali il bandito Ruggeri di Agerola (menzionato da Boccaccio nella decima novella della quarta giornata del Decamerone), il missionario redentorista Raffaele Fusco, Frà Diavolo e Meco del Sacco. Quest'ultimo personaggio fu figura singolare, affascinante e precorritrice di abitudini sessuali che ci appaiono modernissime e che invece sorsero in pieno Trecento. Egli fu il fondatore della setta ereticale dei "sacconi" che praticava l'amore libero e lo scambio dei partner sui monti intorno ad Ascoli Piceno. Tale andazzo otteneva un crescente successo ed il numero degli adepti entusiasti, sia uomini che donne, andava aumentando giorno dopo giorno, fino a quando l'Inquisizione non volle vederci chiaro ed il malcapitato Meco del Sacco finì sul rogo nel 1344 assieme a molti suoi seguaci. Alcuni "soci" del sodalizio riuscirono a sfuggire allo sterminio e giunsero fino alle gole dell'odierna Furore ove si insediarono negli anfratti delle appartate colline, che ancora oggi di Meco portano il nome e si tramanda che abbiamo continuato per anni indisturbati nelle loro "abitudini". A ricordo di tali "benemeriti" il sindaco della simpatica cittadina ha da tempo creato un'associazione virtuale che intende celebrarne la memoria e che assegna la carica di socio onorario a tutti coloro che dimostrano, con fatti ed opinioni, di esserne degni. 

Un'altra località, "a' Pedata", deve il suo nome ad un'altra curiosa leggenda che ci racconta il nostro gentile anfitrione, il professor Ferraioli: "Tanto tempo fa, si dice, il diavolo passò per Furore. Fu accolto male. Sulla via del ritorno all'Inferno si fermò per fare un bisogno. Fatto che l'ebbe, cercò una foglia per pulirsi, raccolse un ciuffo d'ortica e vi lascio immaginare! Al colmo dell'ira e della delusione inveì: "Furore feroce! Mal'acqua, mala gente, Pure ll'evere è malamente!" Così gridando batté un piede a terra e squagliò. La pedata lasciò il segno indelebile sulla roccia nuda e lasciò il nome al luogo". 

Furore naturalmente non è solo maliziose leggende ma anche splendida realtà con il suo sparso abitato aggrappato ai fianchi delle montagne, paradiso ancora sconosciuto al turismo di massa, con le sue passeggiate a mezza costa  i suoi panorami mozzafiato, artigianato tipico, il clima dolcissimo, l'atmosfera riservata, la gastronomia più sapiente. 

Ad attendervi  il con i suoi 800 abitanti vi simpatico sindaco pronto ad esaminarvi e, se ne sarete degni a nominarvi membri  onorari dell'associazione del libero amore. 


Achille della Ragione 

 Le foto con relative didascalie sono state eseguite dall'artista pittore Stefano Trapanese

 
Il paradiso terrestre 

 
  
Trattoria 'Bacco di Furore'

 
 
Un antico mulino 

 
Il luogo di riunione 




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