giovedì 20 febbraio 2014

La Madonna li capisce e li perdona

Femminielli devoti della Madonna di Montevergine
Madonna di Montevergine

Manco dal Santuario di Montevergine dal 1994 e non ho potuto ammirare il capolavoro di Montano d’Arezzo restituito alo splendore dei suoi colori originari.
Mi recai dopo aver trascorso alcuni giorni in terapia intensiva nella limitrofa clinica Malzoni, in una sorta se non di ringraziamento, di pellegrinaggio spirituale.
Rimasi colpito che la quasi totalità dei monaci erano di pelle nera e mi chiesi: “Quando un Papa africano?”.
Tra le storie millenarie d'Italia, non, va dimenticata quella dell'Abbazia di Montevergine: consacrata nel 1126, era stata individuata qualche anno prima da san Guglielmo da Vercelli al culmine di un luogo solitario, fatto per mistici di ferro: la cima del Monte Partenio, nel cuore dell' Irpinia, che domina Avellino e le sue valli da una delle più belle vette d'Italia. 
La «Madonna in Maestà con il Bambino Gesù» di Montano d'Arezzo - documentata sin dal 1310 - simbolo per secoli di una devozione tutt' ora ininterrotta, è stata restaurata. Dopo mezzo secolo in cui, posta a venti metri d'altezza nella nuova chiesa novecentesca dell'Abbazia - non certo un capolavoro dell'architettura del Novecento - aveva perso la sua funzione di immagine palpabile, la grande tavola di Montano (quattro metri e sessanta centimetri per due e trentadue!) tornerà nella Cappella Imperiale della magnifica Chiesa antica dell'Abbazia. 
Come a volte accade, se la devozione per la «Maestà» di Montano d'Arezzo non ha conosciuto pause, è la percezione del suo significato nella storia dell' arte d'Italia ancor oggi a latitare.
Ma chi era Montano d' Arezzo? Formatosi nel cantiere della Basilica superiore di Assisi intorno 1280, Montano dialoga con il Cimabue della «Crocifissione» nel transetto e con lo stesso Giotto ed è da quest'ultimo e dal romano Pietro Cavallini che egli matura i fondamenti del suo stile. Giunto a Napoli alla fine del Duecento, Montano sarà trai principali artisti della Corte di Carlo II d'Angiò, lavorando al Duomo e a San Lorenzo Maggiore. A Montevergine andrà per conto di Filippo d'Angiò, Principe di Taranto, che ricompenserà l'artista donandogli dei terreni. 
Da vicino la «Maestà» di Montano emana un impatto straordinario. Riportarla nella sua sede originaria, a pochi metri dagli occhi dei visitatori, è un atto storicamente dovuto, che ripristina un rapporto corretto tra 1'opera e il suo pubblico e ne ripropone appieno il significato, nel senso più alto del termine. 
All’opera, tanto venerata dai fedeli, non le viene riconosciuta l’importanza che merita nella storia dell’arte. 
Il 2 febbraio di ogni anno, schiere di femminielli salgono al Santuario per la festa della Candelora sulle orme della dea Cibele. I precedenti storici sono costituiti dai Galli, gli eunuchi sacri adepti della dea Syria. Essi vestivano abiti femminili per non turbare le donne e la sede del culto era Hierapolis (Alepppo). Il loro patrono è San Sebastiano martire del III secolo divenuto un’icona gay da quando d’Annunzio nel suo Martyre de Saint Sebastien lo trasforma nel favorito dell’Imperatore. 
Il popolo gay incontra da sempre la sua Signora, la Mamma Schiavona "che tutto concede e tutto perdona". L'intera costellazione raccolta sotto la sigla LGBT {Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) diventa di fatto la nuova protagonista di un antichissimo pellegrinaggio in onore della Vergine. Che la comunità orno ha eletto da tempo a sua protettrice. Secondo la leggenda fu proprio lei, nel 1256, a salvare due giovani omosessuali che, in seguito allo scandalo provocato dalla loro relazione, erano stati legati a un albero e abbandonati a morire di stenti sulla montagna. Il miracolo fu visto come un segno di tolleranza soprannaturale e da allora i femminielli divennero devotissimi della Madonna di Montevergine. Ma in realtà, questa balza vertiginosa, sospesa tra nidi d'aquile e tane di lupi, è da sempre meta prediletta di una umanità en travesti. Infatti, molti secoli prima di Cristo a salire quassù erano i Coribanti, i preti eunuchi di Cibele, la grande madre nera, simbolo femminile della natura. Il suo tempio sorgeva proprio dove adesso c'è il santuario mariano. I sacerdoti si eviravano ritualmente per offrire il loro sesso in dono alla dea e rinascere con una nuova identità. Si vestivano da donne con sete gialle, arancione, rosa e altri colori sgargianti. Si truccavano pesantemente gli occhi e attraversavano in gruppo le città suscitando un misto di curiosità morbosa e di scandalo, anche per il loro erotismo esibito e la sfrontatezza delle loro provocazioni sessuali. Insomma queste processioni orgiastiche a base di canti, balli e suoni di tamburo erano in qualche modo i Gay Pride dell'antichità. 
E proprio come allora, anche ora l'esagerazione è di rito. Travestimenti, canzoni, suoni, crepitio di nacchere e battito di tammorre accompagnano l'ingresso in chiesa. Poi il silenzio cala improvviso e si leva alta un'invocazione salmodiante, tra la litania del muezin e il grido dei venditori, che chiama a raccolta le figlie della Mamma schiavona, facendo risuonare nel presente un'eco mediterranea lontana. A intonarla è il noto artista folk Marcello Colasurdo, ex operaio dell'Alenia di Pomigliano d'Arco, a lungo frontman del Gruppo musicale E' Zezi e cantore ufficiale della galassia LGBT. "Non c'è uomo che non sia femmina e non c'è femmina che non sia uomo", ripete come un mantra. Mentre all'esterno il rito lascia affiorare tutto il suo fondo pagano e le figure sensuali della tammurriata ricordano in maniera impressionante le danze degli affreschi pompeiani. Veli volteggianti, fianchi roteanti, gesti ammiccanti. Pier Paolo Pasolini, stregato dal fascino arcaico di queste nenie rituali, nel 1960 volle registrarle personalmente dalla viva voce delle devote per usarle come colonna sonora del suo Decameron. E ancor prima, Zavattini e De Sica parteciparono al pellegrinaggio dei femminielli quando erano in cerca di ispirazioni per "L'oro di Napoli". Il carattere pagano del culto ha spesso provocato scontri con l'autorità ecclesiastica. In due occasioni, nel 2002 e nel 2010, l'abate del santuario ha scacciato i gay dalla chiesa scagliando su di loro un vero e proprio anatema. Che, ha suscitato lo sdegno del mondo progressista e non solo. Ma i coribanti di oggi non si lasciano intimidire da diktat così poco evangelici. Loro vogliono bene alla Madonna e la Madonna vuoi bene a loro, il resto non conta. E si mostrano ogni anno più determinati nel trasformare il pellegrinaggio in occasione politica, in piattaforma democratica di lotta contro l'omofobia che ancora affligge il nostro paese. Tra i più agguerriti Porpora Marcasciano (presidente del MIT - movimento identità trasgender - di Bologna), e Vladimir Luxuria. Che ogni anno sale a Montevergine per onorare la Madonna nera. Perché, tiene a dire, "da secoli le persone diverse si sono riconosciute in questa Madonna diversa. Una madre che guarda solo nel nostro cuore e non si interessa all'involucro che lo contiene". Così la rivendicazione dei nuovi diritti fa suo un simbolo ancestrale. Avvicinando i due lembi estremi della storia. Un passato millenario e un futuro necessario. E al di là di tutti i distinguo politically correct e delle nuove sigle identitarie, quel giorno si diventa tutti femminielli. Anime femmine in corpi mutanti. Diversamente uguali nel nome della Madre. 



Femminielli nella piazza del Santuario

Marcello Colasurdo nella piazza del santuario

San Sebastiano in un dipinto de Il Sodoma, 1525

Eunuco sacro


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