Lettere da Rebibbia

 Una lettera da Rebibbia, quanta malinconia
30 novembre 2016
 
"MAIDIRE MAIL" <rebibbianc@maidiremail.it>
Costantini Marco le ha inviato un messaggio che trova in allegato.
Costantini Marco has sent you a message, please find it attached.
 
 

illustre conte,
i suoi nobili amici porgono cari saluti a sua altezza, siamo qui real dimora dove lei ha scritto pagine memorabili, tali da fare invidia allo scibile umano.
Ci siamo domandati, se signoria vostra fosse in otima salute? considerato che da illo tempore non riceviamo sue notizie! si ricordi sempre che noi ricordiamo le sue gesta, e riserviamo un posto in prima fila, nel teatro e nei meandri dei nostri cuori. Con la speranza che questi anni di oblio possano diventare solo un cattivo ricordo.
 
Caro Achille credo che apprezzerai la nostra ilarità, da buon partenopeo sai la battuta è sempre dietro l'angolo.
Con amicizia Marco e Mario e tuttto il gruppo universitario


Carissimo Marco,
Non vi ho dimenticato e non vi dimenticherò mai, siete sempre nel mio cuore capriccioso, che mi da tanti problemi e sembra si si stancato di battere e voglia fermarsi per riposare. A settembre al San Raffaele di Milano, nelle mani di un luminare, durante un tentativo di riaprire una coronaria occlusa al 100%, ho avuto un micro infarto. Ho corso il rischio di morire. La morte non mi fa molta paura, ma vorrei concludere la mia avventura terrena a casa mia, con tutte le comodità: un bel funerale con tanti amici e parenti, un memorial di scacchi a mio nome e forse anche voi mi ricorderete con una preghiera durante la messa domenicale. A giorni dovrebbe concludersi la mia via Crucis giudiziaria, tirerò un sospiro e penserò a voi.    
 Salutami tutti quelli che si ricordano di me.                                          
Vi voglio bene.
Achille


Dal Corriere della sera

    Così dipinge la Totò Story un altro camice bianco partenopeo, Achille della Ragione, in una lettera pubblicata dal Corriere della Sera il 14 dicembre. “L’ex governatore Cuffaro dopo aver scontato la condanna a sette anni per concorso esterno nel favoreggiamento alla mafia, torna un uomo libero, lasciandosi alle spalle il carcere romano di Rebibbia. Finalmente finisce un doloroso calvario, percorso con cristiana rassegnazione e comincia una nuova vita dedicata al prossimo. Infatti è sua ferma intenzione, subito dopo il periodo natalizio trascorso in famiglia, di partire per il Burundi e lì prestare la sua opera di medico in favore della derelitta popolazione africana – continua la commovente missiva pubblicata dal quotidiano di via Solferino – facendo tesoro dell’esperienza maturata a contatto con ergastolani senza speranza e con gli ultimi della terra, da tutti dimenticati, spesso anche dai propri cari. Una decisione che merita rispetto e ammirazione”.
    Grande esperto d’arte, amante della pittura secentesca, nobile di lignaggio, mecenate, il professor della Ragione nella sua vita ha trovato anche il tempo per esercitare l’arte medica. Per anni vip tra i ginecologi partenopei, dopo una irresistibile ascesa nell’empireo della professione, è inciampato nella storiaccia di un abortificio clandestino dove si macinavano soldi & vite, e condannato in via definitiva nel 2008 dalla Corte d’Appello di Napoli a dieci anni. Si ritroveranno tutti, liberi & belli, a portare la Luce ai bimbi africani?

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29 aprile 2015
La storia di Pasquale G.

Pasquale G. tra pochi giorni riacquisterà la libertà dopo oltre 10 anni trascorsi nel carcere di Rebibbia. Potrà rivedere la figlioletta  divenuta una signorina e camminare per le strade di Trani, il suo paese natale. Il debito verso lo Stato è stato pagato fino all’ultimo giorno, nonostante la legge preveda che a metà pena, poteva godere della semi libertà, quando mancavano 4 anni dell’affidamento ai servizi sociali, gli ultimi 18 mesi dei domiciliari.
Nonostante la buona condotta, il diploma superiore conseguito tra le sbarre, un libro dato alle stampe (Cronistoria di un amore folle) ed un umile lavoro di scopino, pagato quattro soldi, per comprarsi sigarette e francobolli, non è stato ritenuto meritevole dal magistrato di sorveglianza  di misure alternative.   
Vi è molto sconforto nelle carceri, non solo per le condizioni di vita disumane,  e per l’impossibilità di rieducarsi e prepararsi al reinserimento nella società, ma soprattutto perché è veramente convinto lo Stato che far scontare ai detenuti la pena in modo disumano dentro carceri sovraffollate, senza alcuna attività, imbottiti di psicofarmaci, incattiviti ed esasperati, renda la società più sicura? Le carceri così come sono, sono inutili e dannose per i detenuti, per le loro famiglie, e per la società; invece di recuperare escludono ed emarginano, e rischiano di far uscire le persone peggiori di come sono entrate.
I penitenziari si rendono vivibili garantendo ai detenuti, senza inutili barriere, quanto previsto dalla legge: semi libertà a metà pena, affidamento in prova quando mancano 4 anni dal fine pena, gli ultimi 18 mesi di reclusione ai domiciliari; provvedimenti che gradualmente svuoterebbero i penitenziari, tenendo conto che oltre 20.000 detenuti potrebbero beneficiarne, portando il numero dei reclusi in linea con quanto perentoriamente richiestoci dall’Europa.

Speriamo che Pasquale trovi un lavoro onesto e ricominci a vivere senza ricadere nella spirale dell’illegalità.

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23 dicembre 2014

Una truffa ai detenuti 

Dedico questo breve contributo ai miei compagni di sventura rimasti nei gironi dell’inferno di Poggioreale, i più interessati a quanto esporremo perché costretti a vivere in gabbie disumane.
La cella è di 12- 13 metri quadrati, oltre ad un vano cucina di un metro ed un cesso (non lo si può chiamare altrimenti) con una parvenza di doccia, che due volte alla settimana, per pochi minuti, vomita un liquido caldo dal colore sospetto e dall’odore indefinibile. Per lavarsi ogni giorno si usa una brocca con la quale ci si getta addosso un po’ di acqua prelevata dal lavandino allagando tutto il vano, che andrà poi svuotato a colpi di ramazza, facendo convergere la pozzanghera verso un fetido buco tenuto a bada da un peso per evitare visite imbarazzanti: scarafaggi nel migliore dei casi, qualche volta, anche se non ho avuto l’emozione dell’incontro ravvicinato, luridi topi di fogna.
Vi è molto sconforto nelle carceri, non solo per le condizioni di vita disumane,  e per l’impossibilità di rieducarsi e prepararsi al reinserimento nella società, ma soprattutto perché a danno dei detenuti, nel silenzio assordante dei mass media, si sta compiendo l’ennesima truffa.
La Corte di Strasburgo minacciava gravi sanzioni pecuniarie verso l’Italia, se non avesse reso i penitenziari più vivibili, per cui in tutta fretta è stato approvato un decreto legge, che prevede un abbuono di 1 giorno per ogni 10 trascorsi in celle sovraffollate o un risarcimento di 8 euro al giorno per chi ha già scontato la pena.
Ma la normativa è stata resa inoperante per l’interpretazione data alla stessa dalla magistratura di sorveglianza, che sta dichiarando inammissibili la quasi totalità dei ricorsi con le più svariate motivazioni, costringendo a defatiganti ricorsi in Cassazione.
Da qui l'unica possibilità il risarcimento monetario, che lascia il tempo che trova, perché non ci sono civilisti che per  una istanza per ottenere qualche paio di migliaia di euro in media, non si facciano dare almeno 1000 di onorario e bisogna anche considerare che si può nominare un civilista dal carcere soltanto se si è in pendenza di un giudizio civile e non per istaurarne uno ex novo.
La Corte di Strasburgo nel frattempo certa che “giustizia è stata fatta” ha bocciato le migliaia di istanze presentate in questi anni a partire dalla sentenza Torreggiani del gennaio 2013, in cui era stata condannata l’Italia ad un risarcimento cospicuo per aver tenuto alcuni detenuti(situazione normale) in celle dove disponevano di tre mq a testa (tenendo conto che in Europa negli allevamenti ad un maiale ne sono obbligatoriamente concessi 10).
É veramente convinto lo Stato che far scontare ai detenuti la pena in modo disumano dentro carceri sovraffollate, senza alcuna attività, imbottiti di psicofarmaci, incattiviti ed esasperati, renda la società più sicura? Le carceri così come sono, sono inutili e dannose per i detenuti, per le loro famiglie, e per la società; invece di recuperare escludono ed emarginano, e rischiano di far uscire le persone peggiori di come sono entrate.
I penitenziari si rendono vivibili garantendo ai detenuti quanto previsto dalla legge: semi libertà a metà pena, affidamento in prova quando mancano 4 anni dal fine pena, gli ultimi 18 mesi di reclusione ai domiciliari; provvedimenti che gradualmente svuoterebbero i penitenziari, tenendo conto che oltre 20.000 detenuti potrebbero beneficiarne, portando il numero dei reclusi in linea con quanto perentoriamente richiestoci dall’Europa
Un discorso a parte meritano i numerosi tossicodipendenti, che dovrebbero essere, prima che puniti, curati in apposite strutture.
Potrei dilungarmi ricordando l’epidemia di suicidi, che andrebbe contrastata con un’inesistente assistenza psicologica, ma vorrei trattare dei non meno importanti mali dell’anima: la solitudine, la malinconia, la sofferenza, la nostalgia. Conosco un rimedio infallibile per combatterli: rimanere in contatto costante con i propri familiari, anche solo per telefono.  In tutta Europa i detenuti (a loro spese) sono liberi di fare quante telefonate desiderano.
Perché dobbiamo essere costantemente il fanalino di coda della civiltà?
Per convincere l’opinione pubblica che indulto ed amnistia sono ineludibili (parole del Presidente della Repubblica) basterebbe che si montasse nelle piazze principali del nostro paese un cubo avente il volume di una cella, nella quale secondo le normative della U.E non potrebbero vivere 4 maiali e viceversa vivono, nei gironi infernali di Poggioreale e dell’Ucciardone, 16 esseri umani 23 ore su 24 ed invitare altrettanti cittadini ad entrarvi ed a rimanerci non 1 anno, non 10 anni, non fine pena mai, ma soltanto un’ora. Ne uscirebbero inorriditi e si affretterebbero a comunicare ad amici e conoscenti l’intollerabile situazione carceraria.
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20 agosto 2014
Che caldo al fresco

Anche quest’anno a ferragosto si è ripetuto il mesto rito del pellegrinaggio dei parlamentari ai penitenziari per rendersi conto delle miserevoli condizioni di vita dei carcerati. 
All’iniziativa dei radicali, passata sotto silenzio sulla stampa, questa volta hanno aderito in tanti.
I parlamentari si sono recati non solo nelle grandi galere: Poggioreale, Regina Coeli, Ucciardone, ma hanno ispezionato anche piccole strutture, scoprendo, ad esempio, che la recettività più assurda, meno dello spazio in una cuccia di un cane, la si trova a Lucca, dove per ogni recluso in cella è disponibile meno di due metri quadrati.
E poi un interminabile elenco di carenze, tutte già ben note ed alcune che gridano vendetta e meriterebbero di essere portate davanti alle corti di giustizia europee: sovraffollamento record, condizioni igieniche disastrose, suicidi a catena per disperazione, personale di custodia insufficiente, mentre non si applicano pene alternative, mancano progetti per ammettere ad un utile lavoro esterno e la giustizia, sempre più lenta, tollera che la metà dei reclusi sia in attesa di giudizio e di conseguenza, se la Costituzione non è carta straccia, innocente.
Bisogna urgentemente passare dalla teoria alla pratica. 
Alla ripresa dei lavori parlamentari vengano presentate serie proposte bipartisan per la depenalizzazione di molti reati, riservare la custodia cautelare ai casi più gravi, incrementando l’istituto degli arresti domiciliari sotto la tutela del braccialetto elettronico, fornire incentivi economici e fiscali alle imprese che assumano detenuti in semi libertà o che hanno da poco scontato la pena, potenziare il personale di custodia, senza dimenticare psicologi ed educatori. 

Ma soprattutto fate presto per evitare che il problema si risolva da solo attraverso un’allucinate catena di suicidi: dall’inizio dell’anno sono quasi cinquanta.!!


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19 maggio 2014

TORTURA DI STATO

tra pochi giorni scadrà l'ultimatum entro cui l'Italia deve adeguare il sistema penitenziario alle direttive europee. Il mancato rispetto comporterà pesanti sanzioni pecuniarie ma soprattutto l'infamante marchio di Paese dedito alla tortura. Infatti obbligare i detenuti in pochi metri quadrati di spazio, meno di quello di cui hanno dritto gli animali di allevamento, viene giudicato senza eufemismi: tortura.
A nulla sono serviti i plateali digiuni di Pannella, gli accorati moniti del Presidente Giorgio Napolitano, i segnali di umana apertura di Papa Francesco.
I politici sono impegnati nella campagna elettorale, nessuno di loro ha mai letto un libro di Foucoault, tanto meno di Beccaria, per cui l'Italia, da Patria del Diritto, decade ufficialmente a Paese dedito alla tortura.

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3 maggio 2014

Carceri italiane
«Lo Stato chiede il pentimento dei detenuti, ma non si pente»



Intervista ad Achille della Ragione di Piera Scognamiglio
A pochi giorni dal termine entro cui l’Italia è stata chiamata a eseguire quanto stabilito dalla sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti dell’uomo (“istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi idonei a offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario”), Achille della Ragione, medico napoletano, attualmente agli arresti domiciliari, torna a parlare del problema delle carceri italiane tramite il suo collegio di avvocati.
“Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione”: il medico di Posillipo rievoca il pensiero di Voltaire, per sottolineare l’importanza di quell’attenzione illuminista ai diritti umani, contrariamente alla disattenzione odierna dello Stato italiano.
Per anni Achille della Ragione ha, infatti, denunciato la situazione carceraria dall’interno, scrivendo lettere ai quotidiani e pubblicando libri, avanzando proposte spesso utopistiche, e proprio oggi che i media riaccendono i riflettori su una tematica scottante per il nostro Paese, racconta la speranza che i detenuti ripongono in quella fatidica data del 28 maggio, quando scadrà la sentenza-pilota che condanna l’Italia per trattamenti inumani e degradanti nelle carceri.
«Una speranza, tuttavia, già disattesa», fa sapere della Ragione, da uno scenario in cui potrebbe prevalere la politica, convinto che l’Italia «otterrà una proroga per completare il percorso di adeguamento agli standard europei, piuttosto che pagare una penale di circa centomila euro per ogni sette detenuti che faranno ricorso».
Le misure sollecitate dallo stesso Presidente della Repubblica nel suo messaggio alle Camere dell’8 ottobre 2013, ovvero l’amnistia e l’indulto, consentirebbero al nostro Paese di rientrare nella legalità costituzionale, come sostengono i radicali, tuttavia, «trovano contraria l’opinione pubblica», afferma della Ragione, «e l’iter sarebbe comunque lungo, poiché occorrerebbero quattro passaggi parlamentari e i due terzi della maggioranza».
«Considerando che circa il 41% dei detenuti in Italia sono stranieri, sarebbe opportuno», a suo parere, «procedere al rimpatrio attraverso l’espulsione e l’estradizione, facilitando la reciprocità dei meccanismi tra Stati europei ed extra europei per far scontare agli stranieri la pena nel loro Paese».
In questo senso, l’ultimo decreto “svuota carceri” ha fatto molto, intervenendo sull'articolo 16 del Testo unico sull’immigrazione, aumentando i casi in cui ai detenuti stranieri si applica l’espulsione come alternativa al carcere quando devono scontare una pena, anche residua, non superiore ai due anni e cancellando il reato di immigrazione irregolare.
«Lo svuota carceri ha istituito, poi, la messa in prova per coloro che per la prima volta sono accusati di un reato punibile fino ai 4 anni e che potranno scegliere una via alternativa alla carcerazione svolgendo lavori socialmente utili, introducendo, inoltre, la detenzione domiciliare come pena principale da comminare già in sentenza». 
Ma, come dichiarato in precedenza, della Ragione ritiene che lo “svuota carceri” «non sortirà alcun effetto, finché certi meccanismi rimarranno a discrezione del Tribunale di Sorveglianza, divenuto un anomalo giudizio di quarto grado, che fa sì che la maggioranza dei detenuti, nonostante ne abbia diritto, arrivi a fine pena, senza aver usufruito di un permesso, dell’affidamento in prova, della semilibertà, dei domiciliari, uscendone incattivito e pronto di nuovo a delinquere».
«Nel 2008, prima che il Tribunale del Riesame mi liberasse, ho vissuto per quindici giorni l’esperienza in alcuni padiglioni del carcere di Poggioreale, dove in celle di pochi metri quadrati, sono costretti a sopravvivere 16 detenuti, stipati come bestie, con letti a castello a quattro piani. Parlare di trattamento inumano è pleonastico», aveva dichiarato della Ragione in una precedente intervista.
Parole che oggi vanno considerate anche alla luce della procedura di mobilità per la direttrice del carcere di Poggioreale, Teresa Abate, avviata dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria); misura arrivata a poche settimane dall’ispezione della delegazione del Parlamento europeo, che aveva rilevato le difficili condizioni di vita dei reclusi.
Ma il problema del sovraffollamento, che vede l’Italia seconda solo alla Serbia, rivela una drammaticità che va ben oltre una questione di “spazi”.
Senza tener conto delle mille difficoltà cui va incontro un detenuto, che, come ricorda della Ragione, «spesso sopravvive con un vitto “spaventoso”, mancando di tutto, persino della carta igienica, il problema più grave, di cui bisognerebbe tener conto, riguarda proprio la finalità della pena detentiva, ovvero il reinserimento nella società».
Come sancito dall’articolo 27 della Costituzione, le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, ma ciò, sottolinea il medico, «diventa irrealizzabile nel momento in cui il detenuto viene abbandonato a sé stesso e alla propria condanna, se non addirittura incattivito da una serie di diritti che gli vengono negati e dalla lenta burocratizzazione di tutte le procedure che gli consentirebbero di ottenere un beneficio».
Affinché un condannato, una volta fuori dalle mura carcerarie, non commetta più crimini, è indispensabile che venga educato all’etica del lavoro durante il periodo di detenzione. Purtroppo solo nei grandi penitenziari si verifica quanto detto, e le cifre parlano chiaro: soltanto il 5% della popolazione carceraria lavora, potendo disporre di un piccolissimo reddito. 
«Sono ancora in pochi», prosegue Achille della Ragione, «a conoscere l’utilità della legge Smuraglia, che concede sgravi fiscali e contributivi alle aziende che assumono i detenuti in semilibertà. Nonostante lo scorso anno si sia registrato l’impiego di ben 1280 detenuti in aziende e cooperative operanti in Italia, i numeri sono veramente bassi e lo Stato sembrerebbe non considerare questa opportunità che gli consentirebbe, tra l’altro, di risparmiare svariati milioni di euro all’anno. Il costo sociale del reinserimento è, infatti, inferiore al costo giornaliero di circa 250 euro che lo Stato paga per ogni detenuto in carcere».
Il medico di Posillipo si lascia anche andare a un suo personale dubbio sul regime carcerario degli ergastolani, ritenendo che riescano «a usufruire di maggiori benefici durante il periodo detentivo, spesso impiegati nei lavori in cucina o altro, capaci di mantenere le proprie famiglie all’esterno, arrivando anche a guadagnare 1000 euro al mese, quando le altre remunerazioni appaiono umilianti e non rieducative».
Infine, della Ragione denuncia, sempre attraverso i suoi avvocati, «lo stato di inefficienza dell’assistenza sanitaria, in particolare per quel 70% di detenuti che sono tossicodipendenti.
Gli operatori del SerT (Servizio per le tossicodipendenze) sono pochissimi rispetto al numero di coloro che necessitano di un’assistenza farmacologica e psicologica».
Così, il più delle volte, tutti i "buchi" dell’assistenza sanitaria sono riempiti «con la prescrizione di psicofarmaci, che inducono i tossicodipendenti all’inerzia più totale, completamente abbandonati a sé stessi, con il rischio che possano ricorrere da sé a dei mix di farmaci, pericolosi, in alternativa alla terapia del metadone».
«Ai detenuti che hanno commesso un reato viene richiesta una rivisitazione critica del proprio passato, dichiara della Ragione, lo Stato, tuttavia, non si pente del proprio operato». E così da colpevoli, si diventa vittime di un reato subito.

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22 marzo 2014

Gravi responsabilità

L’accorato appello al Parlamento del Presidente della Repubblica di valutare un provvedimento di Amnistia ed Indulto, unico modo per risolvere il gravoso problema del sovraffollamento carcerario e delle disumane condizioni dei penitenziari, ha trovato, dopo oltre 5 mesi, un’accoglienza ostile nelle aule sorde e grigie, ma soprattutto deserte di Montecitorio, per cui i cittadini, quando fra pochi mesi lo Stato dovrà far fronte alle pesanti sanzioni comminateci dalla Corte di Strasburgo, via via crescenti, sapranno chi sono i responsabili e potranno fare le loro valutazioni e comportarsi di conseguenza nel segreto dell’urna.

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1° marzo 2014
Parliamo di Eutanasia

La vita è degna di essere vissuta quando possiamo studiare lavorare, amare, ridere, passeggiare, pensare; oggi, nel mondo, centinaia di migliaia di cadaveri viventi affollano ospedali e cronicari, con crescenti spese per la società. Soggetti privi di coscienza e che mai più parleranno, sentiranno, vedranno, cammineranno, potranno dare una carezza, i quali fino a pochi anni fa sarebbero morti in poche ore, costretti in un limbo infernale dall'accanimento di una medicina, che offende la solennità della morte e la dolcezza della vita, operando una grottesca quanto sinistra contaminazione. Anche la Chiesa ha affermato:"Nell’imminenza di una morte inevitabile è lecito rinunciare a trattamenti che procurano soltanto un prolungamento precario e penoso della vita! Il lavoro dei medici deve essere improntato all’etica: non è il loro compito tenere in vita i morti, né quantomeno resuscitarli, nessuno vi è mai riuscito dopo Cristo. Vogliamo serenamente riaprire l'imbarazzante dibattito sull'eutanasia? 

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29 gennaio 2014
Un atto di clemenza

Vi è molto sconforto nelle carceri, non solo per le condizioni di vita disumane, ma soprattutto perché non vi è alcuna possibilità di rieducarsi e prepararsi al reinserimento nella società.
Quella rivisitazione critica del proprio passato che viene richiesta per poter godere di qualunque forma di beneficio: permesso, affidamento in prova, semilibertà; che gradualmente svuoterebbero i penitenziari, tenendo conto che oltre 20.000 detenuti potrebbero beneficiare portando il numero dei reclusi in linea con quanto perentoriamente richiestoci dall’Europa.
E allora cominci lo stato che tratta i suoi figli così disumanamente a fare una “rivisitazione critica” di quello che ha fatto, di quello che ancora fa, delle tante illegalità che continua a reiterare. É veramente convinto lo Stato che far scontare ai detenuti la pena in modo disumano dentro le carceri sovraffollate, senza alcuna attività, imbottiti di psicofarmaci, incattiviti ed esasperati, renda la società più sicura?
Le carceri così come sono, sono inutili e dannose per i detenuti, per le loro famiglie, e per la società.
Lo stato si comporti come un padre, severo ma buono, perché non è uno Stato vero quello che ritiene di doversi vendicare dei suoi figli che pure hanno sbagliato.
Dia lo Stato un segnale ai suoi figli, e lo faccia pure la società, perché le carceri, oggi, invece di recuperare escludono ed emarginano, e rischiano di far uscire le persone peggiori di come sono entrate.



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23 dicembre 2013
Sovraffollamento e legalità

Mentre non si parla più di indulto, nonostante i ripetuti ed accorati appelli del Presidente Napolitano, il governo sta per partorire, sarebbe meglio dire abortire, l’ennesimo decreto svuota carceri, il quale non apporterà nessun tangibile risultato fino a quando non si deciderà di agire sul vero ostacolo che in barba all’ordinamento Penitenziario, non permette il graduale reinserimento dei detenuti nella società: Il tribunale di Sorveglianza, divenuto un anomalo giudizio di 4°.
Vi sono reclusi che espiano la pena fino all’ultimo giorno, incattiviti, senza aver mai goduto di un permesso, della semilibertà, dell’affidamento, dei domiciliari, nonostante ne abbiano sacrosanto diritto. Fino a quando non si cambierà questo meccanismo stritolante dei Diritti e della dignità umana i risultati saranno sempre vani e mortificanti.

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11 dicembre 2013

Cuore di cane 

Lettera pubblicata  su "L'Espresso" n.50 del 2013

Cara Rossini,

 il cimitero dove mio padre riposa è a 60 chilometri dalla città dove viviamo e Alex, il nostro cane, fece quel percorso di notte, raggiunse il cimitero, vi entrò e rimase lì, anche in seguito, sottraendosi ad ogni possibile recupero da parte nostra. Divenne un cane di strada, così come per strada mio padre l'aveva raccolto. E ogni giorno tornò a trovarlo e a sdraiarsi sulla sua tomba fino a quando qualcuno non provvedeva a mandarlo via. Ma, dopo qualche tempo, la sua storia, delicata e commovente, era diventata talmente nota che alla fine le autorità lo lasciarono vegliare il suo padrone, in santa pace. Da quel momento Alex non si mosse più: beveva l'acqua che gli davano ma non accettava il cibo che veniva messo lì per lui. Divenne magro, lo scheletro di un fox terrier che vegliava il suo padrone. Ed un giorno morì, per raggiungerlo. 
Nessuno può convincermi che quell'incontro non fosse uno speciale incontro già avvenuto altrove e, diversamente, prima su questa terra: incontro di anime, di pensieri, oserei dire una "ricongiunzione". Nessun amore fu più sincero e grande di quello sbocciato quando mio padre incontrò Alex e quel cane incontrò lui. E nessuno dei due avrebbe mai fatto a meno dell'altro. Sinceramente, credo, neppure mio padre. 
Ogni volta che invio a casa dei panni da lavare,la mia cameriera li fa annusare ad Attila, il mio fedele rottweiler, che mi aspetta da oltre due anni. Attila crede che stia per ritornare a casa e corre a mettersi vicino al mio letto sul tappetino persiano dove era solito dormire accanto a me e mi aspetta per tutto il giorno. Solo la sera, deluso e senza toccare cibo, si ritira nella sua cuccia. 
Achille della Ragione 

Questa lettera è solo un brano di un testo molto lungo che ho ricevuto da un detenuto del carcere di Rebibbia di Roma, un ginecologo condannato a dieci anni con l'accusa di aver praticato aborti clandestini. Benestante e molto conosciuto negli ambienti intellettuali napoletani, dopo tre anni di latitanza Achille della Ragione si è fatto tradire dalla sua passione per la scrittura. È stato infatti arrestato in un Internet point romano da dove aggiornava Il suo blog. Ora continua a scrivere dal carcere mandando quotidianamente lettere sui più svariati argomenti. Non ho resistito a questa, che oltre a darei una testimonianza diretta di un amore che supera la morte, ci dipinge con pochi tratti la struggente nostalgia del rottweiler che aspetta il ritorno del suo padrone. Chiunque abbia avuto accanto a sé un cane, sa di che grande amore si tratta.
Stefania Rossini



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4 dicembre 2013
Un sogno che diventa realtà

Due anni fa, attraverso una lettera aperta che venne pubblicata dai principali quotidiani del Paese, chiesi al ministro della Giustizia di valutare l’opportunità di impiantare Skype nei penitenziari. Privatamente mi fu risposto che l’idea era interessante e che sarebbe stata valutata da un’apposita commissione. Con una punta di orgoglio posso segnalare che a Rebibbia, da un mese è entrato in funzione un servizio invio-ricezione mail ed a giorni (1° carcere in Italia) funzionerà Skype, che permetterà soprattutto ai detenuti stranieri, di rimanere in contatto visivo con le proprie famiglie, che non vedono da anni. Il conforto dei propri cari è l’unico sistema che conosco per combattere solitudine, malinconia, sofferenza nostalgia. Per fortuna ci si è accorti che non viviamo nell’ Ottocento, ma nel 21° secolo. Deo gratias.

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27 novembre 2013


Si parla tanto di giustizia lumaca e di sanzioni che l’Europa vuole comminarci, ma cosa dovrei dire io che attendo da quasi 4 anni che la Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, dopo aver dichiarato ricevibile il mio ricorso in tutti gli spunti contestati si decida a pronunciarsi. Attesa non piacevole perché trascorsa come ospite dello stato a Rebibbia.

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17 novembre 2013

PREGHIERA PER LE FILIPPINE

Come se non bastasse l’egoismo e la cattiveria degli uomini, anche la natura si è scatenata con la sua furia ed ha devastato le Filippine provocando oltre 10.000 vittime.Che la divina provvidenza accolga le loro anime e conceda loro la pace eterna e rafforzi la nostra fede facendoci accettare questi luttuosi avvenimenti come un disegno di cui non riusciamo a cogliere il significato.

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12 novembre 2013

Papa Francesco predica invano contro la globalizzazione dell’indifferenza.

La sofferenza degli altri non ci interessa.

Bambini muoiono, Donne vengono stuprate, Uomini inermi massacrati.

Egoismo, vigliaccheria, ipocrisia regnano sovrane. Le civiltà decadono inesorabilmente quando vengono meno i valori su cui si fondano e tutti noi siamo responsabili.

Che la divina provvidenza ci faccia aprire gli occhi e diffonda generosità ed altruismo.

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Una preghiera per il Ministro Cancellieri



mail del signor Pisani su Achille della Ragione



pubblicata da "L’Unità", "Il Roma", "Libero", "l'Espresso", "Oggi" 


8 novembre 2013

Gentile Ministro Cancellieri,

Sono un suo estimatore e faccio parte di coloro che l'avevano proposta come Presidente della Repubblica. Mi permetto segnalarle un mio amico detenuto nel carcere di Rebibbia, è lo scrittore napoletano Achille della Ragione. Nella sua ultima lettera inviatami qualche giorno fa mi scrive che la sua salute peggiora ogni giorno di più e diventa sempre maggiore la sua depressione. Da anni il suo legale si sta battendo per farlo trasferire agli arresti domiciliari, ma fino a questo momento ancora non è riuscito ad ottenere un bel nulla. 
Le sarei veramente molto grato se, in nome della sua proverbiale sensibilità e considerazione per i detenuti sofferenti e bisognosi, logicamente nei limiti del possibile e del rispetto delle leggi, potesse prendere a cuore il pietoso caso di Achille della Ragione spendendo una buona parola per questo detenuto così malato e bisognoso di aiuto.
La ringrazio con tutto il cuore e le porgo distinti saluti, Raffaele Pisani

Raffaele Pisani, poeta e napoletano a Catania Via Plebiscito, 88795124 CATANIA  www.raffaelepisani.it

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28 Ottobre 2013

Nelle acque del mediterraneo, quello che una volta orgogliosamente chiamavamo mare nostrum, giacciono decine di migliaia di carcasse divorate dai pesci di disperati che cercavano un briciolo di dignità sulle nostre coste, la loro terra promessa, mentre per l’aria si agitano disperate le loro anime; che Dio le accolga misericordioso e mitighi l’egoismo delle Istituzioni colpevoli di questo silenzioso genocidio che grida vendetta.

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24 Ottobre 2013

Per convincere l’opinione pubblica che indulto ed amnistia sono ineludibili (parole del Presidente della Repubblica) basterebbe che si montasse nelle piazze principali del nostro paese un cubo avente il volume di una cella, nella quale secondo le normative della U.E non potrebbero vivere 4 maiali e viceversa vivono, nei gironi infernali di Poggioreale e dell’Ucciardone, 16 esseri umani 23 ore su 24 ed invitare altrettanti cittadini ad entrarvi ed a rimanerci non 1 anno, non 10 anni, non fine pena mai, ma soltanto un’ora. Ne uscirebbero inorriditi e si affretterebbero a comunicare ad amici e conoscenti l’intollerabile situazione carceraria; Quando lo Stato non è in grado di garantire dignità e rispetto dei più elementari diritti umani, non gli resta che abdicare. Lo faccia!

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23 Ottobre 2013

Nel carcere di Rebibbia, per iniziativa del gruppo universitario, a giorni partirà una campagna di donazione di sangue, che vedrà, l’uno a fianco all’altro, i reclusi, i loro familiari e gli agenti di polizia penitenziaria, a lampante dimostrazione che i detenuti non conoscono l’egoismo ed attraverso questo nobile atto di altruismo doneranno la vita e la salute a chi ne ha bisogno.

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11 Ottobre 2013


Serena dagli occhi devastanti
Perché questo pseudonimo per Serena Autieri? Napoletana DOC, attrice e cantante di grande talento.
Perché chi ha avuto occasione come il sottoscritto di potersi perdere nei suoi occhi non sa distinguere se siano verdi o azzurri , ma capisce con certezza che rappresentano il porto sicuro dove ogni uomo vuole fermarsi e riposare per sempre.
Questa opportunità mi è capitata pochi giorni fa, seduti in prima fila, l’uno accanto all’altro, prima che Serena generosamente si esibisse nel teatro di Rebibbia davanti a centinaia di detenuti, prima recitando, poi cantando, per concludere con nel blu dipinto di blu con Achille, il suo nuovo amico, invitato a duettare con lei sul palcoscenico.

Dopo questa premessa agiografica, voglio precisare che gli occhi più belli sono quelli della mia adorata moglie Elvira e che Serena potrebbe essere mia figlia essendo nata il 4 luglio 1976, dodici giorni prima della mia primogenita Tiziana.

Serena Autieri riceve una copia del volume "Favole de Rebibbia" di Achille della Ragione

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20 Settembre 2013

Tutti, ingenuamente, credono che le sbarre delle prigioni servano per evitare la fuga ai reclusi: viceversa, la loro funzione è quella di impedire che tra quelle tristi mura entrino la legalità, l’intelligenza, l’altruismo, la generosità, la bontà.

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11 Settembre 2013



TOTO’ CUFFARO, UN UOMO BUONO



Quando il mio amico Totò Cuffaro mi ha chiesto di inquadrare la sua figura nel clima di Rebibbia per il suo nuovo libro, sono stato incerto sul titolo. Avrei voluto intitolarlo Il Messia di Rebibbia ma poi ho ripiegato su quello di Uomo buono perché la bontà è la caratteristica che maggiormente lo contraddistingue.

Ricordo, sono ormai due anni, quando, dopo una breve permanenza al G12, fui trasferito al G8, il reparto modello.

A ricevermi, nell’aula universitaria, Sergio Boeri e Totò che faticai a riconoscere perché ricordavo le immagini televisive di un  soggetto paffuto dal volto rubicondo mentre davanti a me vi era un uomo che, in pochi mesi, per il dolore più che per le corse mattutine, aveva perso 28 chili.

Da allora ogni giorno, mattina e pomeriggio, trascorriamo, spesso soli, lunghe ore in quell’aula a studiare, a scrivere i nostri libri (a giorni uscirà la sua seconda fatica letteraria dopo il successo del Candore delle cornacchie) a scambiarci commenti sulle notizie lette sui giornali, sensazioni, ma soprattutto leggiamo, l’uno negli occhi dell’altro, una profonda tristezza per l’essere stati strappati dal nostro lavoro e dai nostri affetti perché, quando il Calvario sarà finito, nessuno potrà restituirci gli anni di vita che sono stati rubati a noi ed alle nostre famiglie. 

Totò ha la fortuna di essere sorretto da una fede incrollabile (mentre la mia vacilla) e di riuscire ad interpretare questo penoso percorso come una preziosa esperienza a contatto con ergastolani senza speranza e gli ultimi della terra, da tutti dimenticati, spesso anche dai propri cari.

E’ sempre pronto a mettere a disposizione di tutti la sua preparazione ma, principalmente, è esempio di sopportazione e di speranza, una bussola di comportamento per i suoi compagni di sventura.

Senza far torto a Giuseppe Buonomo, lo considero il mio migliore amico. 

Spero, quando oltre alla Dignità ci verrà restituita la Libertà, di rivederci fuori: in ogni caso, se le nostre strade si divideranno, lo porterò sempre nel cuore.




Totò Cuffaro ed Achille della Ragione

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24 Agosto 2013

DUE ANNI DI BUDDISMO A REBIBBIA

Da circa due anni sono, per quanto innocente, “gradito ospite” (definizione  dell’Ispettore Capo Giannelli quando presentai il mio ultimo libro sulla napoletanità al Palazzo Odescalchi di Roma), nel carcere di Rebibbia. 
Dal primo momento ho seguito un interessante corso di buddismo diretto, con alcuni validi collaboratori, da Antonello, figlio del compianto Mario Riva, leggendario presentatore del Musichiere, una delle trasmissioni cult della Rai. E qui scatta l’ipotesi del Karma perché a 10 anni avevo partecipato, vincendo, ad una puntata del Musichiere riservata ai bambini (a 25 anni parteciperò al Rischiattutto di Mike Bongiorno).
Mi avvicinai al corso di buddismo non solo per curiosità ma soprattutto perché all’inizio, nell’equipe degli istruttori, vi era una psicanalista che venne a trovarmi più volte al reparto 68, con la quale contavo di illustrare questa pratica,  che cerca la pace interiore e la serenità dell’animo, come possibile rimedio per tollerare meglio le asperità e le tribolazioni della vita da recluso.
Con tale finalità sono anche in contatto con uno studioso americano che da anni compie esperimenti su tipo “arancia meccanica” inducendo, attraverso la visione forzata di episodi violenti, a disintossicarsi dalla debordante carica di aggressività insita in molti abitanti del pianeta carcere. 
Presi in esame, senza alcuna preclusione ideologica, la meditazione trascendentale e la ricerca della fede, lo yoga e l’ipnosi al fine di creare un utile vademecum, da pubblicare e distribuire nei penitenziari, che costituisse una bussola alternativa al metodo adoperato attualmente come unico mezzo per tenere calmi i bollenti spiriti di molti, che sconfina costantemente nella somministrazione massiccia di psicofarmaci che, in breve, trasformano tante, troppe persone da uomini, cui è stata tolta, oltre alla libertà anche la dignità, in pallidi ectoplasmi, automi disarticolati, marionette impazzite.
Questo libro è ancora incompleto e la pratica del buddismo ne costituirà un capitolo fondamentale.
Mi ero già avvicinato allo studio del buddismo una decina di anni fa.
L’evento scatenante fu un pellegrinaggio a Medjugorje compiuto da una cugina di mia moglie, cattolica tiepida e preside, la quale accompagnò una sua allieva gravemente malata e 2-3 volte, nel corso delle preghiere, ripetute ossessivamente, cadde, senza saperselo spiegare, in estasi.
L’episodio mi incuriosì e, da laico inveterato, andai alla ricerca di una spiegazione razionale dell’accaduto.
Con l’aiuto di un docente universitario di fisica, esperto in acustica, esaminammo accuratamente la lunghezza d’onda delle litanie lauretane e scoprimmo che era identica a quella del ritmo incalzante del “nam myoho renge kyo”, parola d’ordine della Soka Gakkai, la corrente buddista più seguita in Italia, la stessa insegnata a Rebibbia.
Proprio in questi ultimi anni, recenti studi di neurobiologia, utilizzando la PET, hanno dimostrato che questi suoni, riprodotti in laboratorio, fatti ascoltare a volontari, stimolano “loci cerebrali” specifici, deputati al raggiungimento dell’estasi e dell’orgasmo.
Torniamo al corso di Rebibbia, facendo una premessa: il buddismo nell’ultimo secolo ha assunto il ruolo di  religione cosmopolita sia per i fenomeni migratori legati alla globalizzazione, che hanno visto trasferirsi comunità di asiatici in Europa, America del Nord ed Australia, sia perché lassismo dei costumi, crollo delle tradizioni e decadenza spirituale hanno indotto molti a convertirsi alla nuova credenza.
In Italia, in particolare, la scuola buddista più seguita, la già citata Soka Gakkai, sta aumentando il numero di proseliti al ritmo del 10% annuo ed ormai, con 70.000 fedeli ufficiali (quelli che hanno ricevuto il “Gohonzon”, sorta di battesimo) ed i praticanti occasionali sono ormai il doppio degli ebrei e, dopo cattolici e musulmani, costituiscono la terza comunità religiosa del Paese.
In Italia questa scuola è arrivata da una cinquantina d’anni e, pur basandosi sugl’insegnamenti del Budda storico, vissuto nel V secolo a.C., s’impernia su una lettura riformata ed anticonvenzionale di Nichiren Daishonin, una sorta di San Francesco nipponico, contemporaneo del Patrono d’Italia.
Il buddismo, a differenza dell’induismo, non crede all’esistenza di un’anima immortale e descrive l’uomo come una combinazione di forze ed energie fisiche e mentali, ritenendo che ognuno passi da una vita all’altra attraverso innumerevoli rinascite (Samsara) che dipendono dalle azioni passate (Karma).
La cantilena dei praticanti, cui abbiamo accennato: “nam myoho rengekyo”, si può letteralmente tradurre: “dedico la mia vita al Dharma, alla legge mistica del Sutra del loto”.
In parole povere, il seguace della Soka si rammenta e crede fermamente, che ogni nostro pensiero ha un impatto, negativo o positivo, non solo sulla felicità personale ma su quella dell’intero universo.
Da qui nascono le nobili battaglie in favore della pace, dell’ambiente e per il rispetto reciproco tra etnie e religioni.
Un programma propositivo degno di essere accettato ed incoraggiato, perché si propone la felicità collettiva ed una forma, a mio parere, di immortalità surrogata.
Non vorrei dilungarmi e concludo con ciò che ha rappresentato per me la frequenza di questo corso di buddismo: il rafforzamento della mia convinzione che il comportamento dei singoli deve perseguire non solo la propria felicità ma anche quella del prossimo.
Milioni di uomini di antiche e sagge civiltà hanno creduto e credono nella comunione del destino di tutti i viventi.
Sono pensieri che ci danno l’idea della nostra miseria e della nostra nobiltà: sperduti nell’infinita immensità dello spazio, destinati a vivere un lampo a confronto dell’eternità, non riusciamo a credere che la nostra coscienza si sia accesa per caso, a contemplare un universo ostile o quanto  meno indifferente al nostro destino. 

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1° Agosto 2013 

Piero Bottini, detenuto di 53 anni, si è tolto la vita tagliandosi la gola con una lametta all'interno della sua cella nel carcere di Rebibbia. In una nota il Garante dei Detenuti del Lazio ha scritto: “Quello di Piero è il quarto suicidio nelle carceri del Lazio nel 2013. Da gennaio ad oggi i decessi registrati negli istituti della regione sono stati 12: quattro suicidi, tre per malattia e quattro per cause ancora da accertare. In base alle statistiche, nove dei dodici decessi del 2013 si sono registrati a Rebibbia Nuovo Complesso. A quanto appreso dai collaboratori del Garante, Bottini era arrivato a Rebibbia N.C. a fine giugno, proveniente da un carcere toscano. Dopo aver passato gli ultimi nove anni in carcere, doveva ancora scontarne quattro. Dal momento del suo ingresso in carcere l’uomo, che era stato lasciato dalla moglie, era stato preso in carico dall’area educativa e segnalato a psicologa e psichiatra dal momento che manifestava segni di squilibrio e rifiutava la terapia che gli era stata assegnata”.
Il Garante ha poi proseguito: “Anche se occorrerà aspettare i risultati delle indagini avviate credo si possa dire che quello di Piero è un dramma della disperazione e della solitudine. Dalle informazioni raccolte, quest’uomo era stato detenuto/attore a Sollicciano, ma sembra avesse passato un periodo della sua detenzione anche negli ospedali psichiatrici giudiziari di Aversa e Montelupo Fiorentino. La fine della sua vita tormentata deve essere, poi, inquadrata nel contesto di un carcere come quello di Rebibbia Nuovo Complesso, il più grande del Lazio, con un sovraffollamento del 46%, senza un direttore a tempo pieno e dove si sono registrati ben nove decessi in soli sette mesi. Mi domando ancora una volta, anche per questo ennesimo dramma, se il carcere, per una persona così fragile e psicologicamente disagiata, fosse la soluzione migliore”.

l’epidemia di suicidi nelle carceri si virulenta sempre più. 
Pare che il governo faccia affidamento su di essa, più che sul suo recente decreto, per sfollare i penitenziari. 
Privi di assistenza psicologica, in preda alla disperazione, tra il silenzio dei mass-media, spesso a pochi mesi dal fine pena, sempre più detenuti ritengono che l’unico modo per liberarsi dalle sbarre consista nel fare scempio del proprio corpo, impiccandosi o tagliandosi la gola, come è avvenuto ieri l’altro nel reparto G8 di Rebibbia, un reparto modello, non certo l’inferno di Poggioreale o dell’Ucciardone. 
Che Dio li perdoni e castighi severamente i responsabili di questa inarrestabile e penosa epidemia. 

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26  luglio 2013

Lettera Aperta alla giornalista e scrittrice  Natalia Aspesi

Gentile Signora Aspesi,
siamo tre componenti della grande famiglia di Achille della Ragione e vorremmo far conoscere a Lei ed ai suoi lettori questo personaggio unico. Trascurando la sua intelligenza e cultura fuori dal comune, vorremmo sottolineare la sua bontà: sempre sorridente e pronto ad aiutare chiunque, divide il suo pane con gli uccelli ed il suo vitto con i gatti.
Umile con i deboli, autoritario con i forti come quando, nel ricevere il ministro della salute, espose senza remore la disastrosa gestione della sanità penitenziaria. 
Ha scritto, tra i tanti, un bellissimo libro: Favole da Rebibbia, nel quale espone ai bambini ed agli adulti la realtà della vita in carcere, devolvendo l’incasso delle vendite ai bambini fino a tre anni costretti a vivere con le mamme dietro le sbarre.
Tutti lo rispettano, dal direttore all’ultima guardia penitenziaria e quando uscì per presentare un suo libro, l’ispettore capo, che lo accompagnò, esordì “per noi è un onore ospitare un tale personaggio”.
Ha salvato la vita a due detenuti, ad uno dei quali, pur sapendo che fosse affetto da aids, in fase terminale, ha praticato la respirazione bocca a bocca, lo stesso bacio della vita che ha elargito ad un cane intirizzito dalla neve.
Quando tornerà all’altra sua famiglia, che lo aspetta fuori da queste tristi mura, saremo tutti contenti ma ci sentiremo più poveri e più soli 
Mohamed Torkey
Pasquale Gissi
Tonino Vicedomin


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20  luglio 2013

Scrittori in gabbia un genere letterario

Mentre il governo con il recente decreto legge “Sfolla Carceri” ha platealmente preso per i fondelli le aspettative dei detenuti, da tempo vanno di moda i libri scritti da ospiti dello Stato, hai quali i mass media dedicano una notevole attenzione, a partire da “Il Candore delle cornacchie” di Salvatore Cuffaro, ex presidente della Regione Sicilia, che in pochi mesi ha venduto 40.000 copie ed è stato anche candidato al Premio Strega, fino a last but not least “Non mi avrai mai” di Gaetano di Vaio, il quale racconta lo spaccio, gli scippi, le rapine, la camorra e gli anni trascorsi nell’inferno di Poggioreale.
Il protagonista del romanzo autobiografico è uno scugnizzo cresciuto nel degrado di Scampia, tra lo squallore delle vele, una vergognosa espressione di una modernità frutto di un teorema antropologico che riduce l’uomo a bestia.
Inizia a rubare a nove anni, poi il cursus honorum: scippatore, rapinatore, per finire responsabile di una piazza di spaccio da 3.000 dosi al giorno.
Naturalmente la sua carriera lo porta nell’Alcatraz napoletano, dove avviene il miracolo, perché egli riesce ad incanalare rabbia e frustrazione nello studio e nella lettura.
È testimone di tanti episodi tragici, che trasforma in epica, e a differenza di tanti altri libri in chiave vesuviana, l’autore utilizza una fantasia ed una abilità descrittiva tali da creare una polifonia con le voci dei tanti personaggi perfettamente delineati, i quali acquistano agli occhi del lettore una consistenza corporea come se stesse assistendo ad un film, un kolossal alla Sergio Leone, che potrebbe intitolarsi tranquillamente “cera una volta a Napoli”.
Per rimanere nel tema vogliamo segnalare l’imminente ciclo di presentazioni di libri scritti da reclusi che si terrà nella mitica biblioteca Papillon di Rebibbia.
Si partirà con le “Favole da Rebibbia” del sottoscritto, si proseguirà con “Il candore delle cornacchie” e poi sarà il turno di pasquale Gissi autore di “Cronistoria di un amore folle”.


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4  luglio 2013


Pietà per i bambini

tra le tante problematiche che affliggono il pianeta carcere vi è il disagio degli oltre 100.000 bambini che si recano a fare visita al genitore detenuto e diventano vittime di colpe di cui sono assolutamente innocenti. Sconvolti dall'improvvisa assenza, emarginati dalla scuola, sono turbati da quelle rare visite, condite da attese interminabili, perquisizioni, sequestri di giocattoli, pianti e grida disperate. Divengono di colpo poveri, perchè è venuta meno l'unica fonte di reddito (lecita o illecita) della famiglia. Non sanno spiegarsi il perchè di ciò che è successo , ma ne percepiscono la gravità dalle lacrime che all'improvviso inondano la casa.
Gli incontri con i propri figli sono uno dei pochi conforti concessi ai detenuti e sono l'unico modo per mantenere unita la famiglia. Il 90% dei penitenziari italiani non permette visite la domenica o compatibili con gli orari della scuola, e stiamo parlando di bambini fortunati, perchè Italiani, mentre tanti stranieri (oramai il 50% dei detenuti) non vedono per anni i propri familiari; basterebbe SKYPE e questi nostri fratelli potrebbero, a costo zero, veder crescere i propri figli e rimanere loro vicini, anche se si trovano a migliaia di chilometri di distanza.

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lettere di  Torkey Mohamed  Fathy compagno di cella di Achille della Ragione


Achille e Mohamed il compagno di cella egiziano




IL DIO DI REBIBBIA
Quando sono venuto qui in questo albergo lussuoso sono capitato con uno scrittore italiano: si chiama Achille della Ragione. Egli e veramente un Aristotele degli anni duemila, anche se lui e un filosofo che io non condivido. La sua filosofia va sull’essistenzialis.
La derivazione del suo nome e di origine greca. Il famoso Achille il troiano conosciuto che era un figlio di una dea, un eroe immortale però aveva il suo difetto: il tallone. Quando sua madre lo ha messo nell’acqua per farlo divenire immortale dimenticava di metterlo interamente nell’acqua tenendolo per le caviglie. Per questo il suo difetto era il tallone. Nella guerra di Troia i suoi nemici scoprirono il suo difetto. Quando e stato scoperto secondo la storia greca diventato mortale, però il nostro Achille della Ragione, il suo difetto e il suo grande vantaggio per lui dal primo momento che tu lo incontri. Ti fa sentire che lo conosci da anni. Ti fa sentire la vera amicizia fa così con tutti quelli che vengono da lui per prendere la sua opinione o il suo consiglio per qualsiasi cosa nella vita perche il nostro mito considerato come un dizionario perche lui praticante secondo il mio parere. Non sono un filosofo, lui e un artista nel teatro della vita, un poeta, a parte che lui ha scritto 55 libri di vari argomenti, libri di arte politica e filosofia economia.
Lasciamo perdere la sua napoleanità. Lui qui lo chiamano il Buon Dio di Rebibbia perché e sempre disponibile anche per una caramella la dona con sorriso la sua esperienza e illimitata e sempre pronto con la battuta simpatica. In qualsiasi momento per me e difficile che qualcuno filosofo mi colpisca. Ho letto più di 2000 libri ricordo molto bene i personaggi il nostro Achille sembra una di questi grandi personaggi usciti dal libro. Non posso dire di preciso. O arriva dal medio evo, o dalle montagne di Olimpia, ove la montagna era piena di tanti dei però qua l’Olimpia di Rebibbia ha solo un dio e non c’e posto per un altro, questo e il nostro Achille. Mentre il suo cognome: della Ragione. Questo è un cognome nobile però il significato in greco della Ragione significa e l’uomo filosofo che usa il suo cervello per qualsiasi cosa per es. Socrate quando qualcuno lo diceva buongiorno, lui rispondeva ragionando che e il buono? Io ho avuto tanti dialoghi con lui per tutti i cinque mesi perche la nostra filosofia troviamo punti di riferimento, però sempre ogni volta che dialoghiamo mi insegna cose nuove non solo a me, ed anche altri compagni. Perciò c’è ancora tanto da imparare da quest’uomo non si annoia mai. Perche questo tipo di filosofia che ogni giorno c’è qualcosa nuovo.

IL MAESTRO ACHILLE DELLA RAGIONE “ARISTOTELE DEL 2000” CON IL SUO ALLIEVO
Un discorso bollente tra me e il maestro Achille della Ragione conosciuto come Aristotele degli anni 2000 qualche giorno fa nel nostro salotto, alla cella 10 del secondo piano braccio A. del G8, il nostro maestro io e i miei compagni Gissi Pascuale, conosciuto come latin lover di Andria e il maestro albanese, Kastrati Betret, che lui spesso sfida il nostro Kasparof dei scacchi, l’ultima partita ha perso il maestro albanese re affogato dopo una mossa con la scacchiera, ha ricevuto il matt con il cavallo, dopo il maestro Achille ha battuto un altro compagno del nostro salotto si chiama Vicidomini Antonio trasportatore. Il nostro Aristotele come faceva sempre il noto filosofo, mi faceva una domanda al modo di Aristotele
<< Fammi sentire la tua voce così io posso vedere a te >>. Il grande Achille mi parlava di qualche regola del mondo islamico, e possibile fare commerci per guadagnare soldi come e scritto nel Corano, però e vietato prestare soldi e richiedere interessi senza che il nostro maestro fare altre domande io capivo subito le cose che gli frullavano in testa, perché avevamo già avuto discorsi paralleli. Perché il mondo arabo e rimasto così tanto indietro dal mondo occidentale io gli rispondevo. Perché gli arabi facevano degli accordi, che non si dovevano accordarsi. Questo mondo arabo ha avuto una fortuna grande senza fatica, intendo il paese del petrolio. Questi paesi ricchi di petrolio si sono ritrovati la ricchezza senza  fatiche.
Ma ci sono altri paesi arabi, che soffrono la fame perché sottosviluppati e hanno donato il sangue e il denaro insieme alla vita di milioni di persone, per l’imperialismo internazione.
Negli anni settanta c’era una battuta famosa detta dagli arabi: noi combattiamo America e Israele, fino all’ultimo egiziano.
L’Egitto considerato il quore del mondo arabo un paese moderno dopo la primavera araba, l’Egitto si trova senza aiuti da questi paesi e pensano solo al loro benessere, hanno dimenticato che l’Egitto ha fatto quattro guerre per salvare loro dal pericolo che li circondava. Ma questi paesi ricchi, non riescono a  gestire bene questi soldi hanno lasciato la tecnologia e le scienzie. Pensano solo alle stupidità es. dicono che Armstrong l’astronauta del 1969 sulla luna lui avesse sentito la chiamata della preghiera  mussulmana, ma lo stesso Armstrong diceva che non era vero. Mi domando perchè questi arabi ricchi non mandano uno di loro sulla luna, per fare anche qualche preghiera, sulla luna,  e depositare una bandiera araba. Loro stessi sono sempre  impegnati per le cose inutili e lasciato lo spazio della luna al mondo occidentale.
Parlano solo del velo. Anch’io come mussulmano faccio le mie cinque preghiere al giorno e non è scritto al Corano che il velo e obbligatorio. Solo il Profeta Maometto ordinò alle sue mogli per mettere il velo, perché essi si dovevano evidenziarsi dalle altre donne. Gli arabi devono svegliarsi perché quasi un miliardo e mezzo di mussulmani sul pianeta però sono deboli ricchi di  loro preferiscono nascondersi  loro miliardi in Svizzera e in America, invece di investire i soldi nei  paesi arabi così nessuno soffrirebbe la fame perché il mondo arabo ha la stessa lingua la stessa religione per andare verso la loro libertà, ma il problema  che non c’è giustizia per  dividere il tesoro che hanno questi paesi ricchi.

IL  PATRIOTA  E  IL  MERCANTE  DI  RELIGIONI
Sono molto sorpreso, quando il Prof. Achille della Ragione, quando l’amore suo verso la sua Napoli quando si esprime ti fa sentire il profumo della sua Napoli cita nei suoi libri, ad esempio la napoletanietà. Lui conosce la sua Napoli del seicento comunque lui mi fa ricordare sempre mio padre  perché io in vent’anni in Italia non ho mai incontrato un uomo che ha la padronanza della lingua italiana, e mi riporta ai ricordi di mio padre Torkey Fathy ex  presidente del Partito Comunista del Lavoro della mia città.
Achille della Ragione il professore ogni volta che si esprime della sua Napoli, si  sente che lui e un vero patriota del suo paese. Ha scritto tanti libri dedicati al suo paese, ha aiutato tanta gente, ma e stato ingannato, perché di animo buono. Perché tutto il paese sa che e un uomo  innocente basti andare  sul suo sito, che si vede tutte le opere fatto per la sua Napoli.
Invece il mercante delle religioni il sig. Magdi Hallam di origine egiziana sta vivendo sulle spalle degli italiani con la sua scorta, e la sua bella macchina che gli pagano i contribuenti. Questo signore e conosciuto come il Giuda degli anni 2000. Non fa altro che buttare benzina sul fuoco, in ogni occasione  cerca sempre il nemico fantasma per guadagnare i suoi trenta denari. Lui pense che egli è un politico che ha tanti nemici perché lo stesso si e convertito, per sua stessa comodità. Perche se  il Vaticano si troverebbe in Inghilterra lui sarebbe divenuto un cristiano protestante.
Lui diviene dall’Egitto. Hallam stesso poteva aiutare il suo paese, invece lui, non fa altro di dare cattiva pubblicità al suo paese nativo.
Perché lui non trova un esempio buono, esempio El Baradey il padre spirituale della grande rivolta pacifica egiziana e della primavera araba.
Sig. Magdy Hallam ha studiato e laureato in Egitto come lo stesso ha bevuto acqua del Nilo, e mette sempre il mondo contro il suo paese. Perché non prende esempio positivo come fa il Prof. Dott. Ahmed Zuil premio Nobel cittadino americano e di origine  egiziano ha donato 10 milioni di dollari per costruire la città Zuil della Scienzia.
Perché non prende esempio dal Dott. Achille della Ragione, al patriottismo? Invece lui pensa che il popolo italiano non gli frega niente degli uomini che si convertano, mentre Magdy Hallam sta cercando la gloria personale. Un Don Chisciotte egiziano con il suo cavallo vecchio e la sua spada di legno della sua storia famosa Sarafantas.
Hallam deve guardare tutti questi buoni esempi, e togliersi dalla testa tutti i suoi nemici inventati.
Quest’uomo e solo un parassita che si fa mantenere dall’Italia.

UN GLADIATORE IN GABBIA
conosciamo tutti il Professore Achille, perciò passiamo subito al sodo.
il nostro gladiatore ha un talento enorme per risolvere qualsiasi tipo di problema o politica o economia. se fosse stato un'altro paese d'Europa con la sua abilità e la sua capacità non verrebbe messo in gabbia lo mettevano al posto giusto nel momento giusto. Non posso immaginare che un Filosofo di I classe  può commettere reati a lui ascritti perciò in tutta la matematica al mondo lui è innocente, e non ci piove!
Un uomo orgoglioso. Il suo talento parla da solo, ma ci troviamo in un tempio di sordomuti il nostro gladiatore Achille ha la capacità di risolvere tanti problemi di politica ed economia, noi si parla di un filosofo come Jean Pool Sartre. Perché il suo modo filosofico per trovare una soluzione ai problemi difficili a trasformarli in facilità. Purtroppo il gladiatore non conosce la sua forza. Un esempio per levare un peso di 20 Kg si può fare con un braccio, invece il gladiatore ci mette tutta la sua forza.
L'Italia di oggi se ci fosse un po di giustizia il nostro gladiatore non si troverebbe in Rebibbia, ma con i politici di I classe.
Io senza chiedere il suo permesso lancio una sfida a Qualsiasi politico del giorno d'oggi, per confrontare Achille in un qualsiasi argomento politico o economia o arte. Se qualcuno ha il coraggio di sfidarlo, per il bene di questo Paese che amo, essendo Egiziano con animo Italiano mi dispiace vedere questo amabile Paese ove sono cresciuto avendo anche dei figli con questa crisi mortale il Gladiatore offre la sua esperienza per aiutare questi Paese, a rialzarlo. Però purtroppo non si trova mai l'uomo giusti al suo posto.
Achille della Ragione come un patriota sta offrendo il suo contributo per l'amore della sua Italia senza aspettare alcun compenso. Lui come gran'uomo vuole vedere la sua Italia grande di una volta perché sono gli uomini grandi che scrivono la storia.


Continua.........

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2 giugno 2013

Giornalieri esempi di follia giudiziaria

In questi giorni assistiamo ad un triste spettacolo: di una magistratura, vistasi assediata e sempre più delegittimata, la quale sta dando, disperatamente gli ultimi colpi di coda, mettendo in mostra gli anacronismi lasciatici in eredità dalla costituzione, che nella spartizione dei poteri, non è riuscita a garantire un reale equilibrio tra gli stessi, concedendo ad un manipolo di PM, attraverso milioni di costose intercettazioni a strascico di acquisire una quantità di informazioni, tale da poter ricattare chiunque.
Diteci in quale Paese del mondo un capo di governo può essere sottoposto a 300.000 intercettazioni senza gridare al golpe. Dove un magistrato datosi alla politica, non rientra nella sede predestinata, costringendo, evento rarissimo, il CSM a bacchettarlo nel tentativo di metterlo in regola.
Dove una procura chiama a deporre le più alte cariche dello stato, incluso il Presidente della Repubblica, creando un clamoroso precedente, in un momento delicato, in cui abbiamo bisogno di regole e non di eccezioni, soprattutto in un processo nel quale da pochi giorni la Corte Costituzionale aveva dato torto ai PM, sancendo solennemente la posizione di Napolitano.
E non possiamo esimerci dal prendere in esame l’andamento del processo Ruby, dove si persegue un teorema, più che la ricerca della verità, accusando il cavaliere Berlusconi di corruzione di minorenne, senza alcuna prova testimoniale e di concussione di funzionario pubblico, senza chiedersi se il tentativo sia avvenuto nella veste istituzionale, allora la competenza è spostata automaticamente al Tribunale dei ministri o se da privato cittadino e perché il funzionario avrebbe dovuto esaudire la richiesta.
La colpa di questa follia giudiziaria non dipende solo dai PM in preda a protagonismo e giustizialismo, ma ha origini remote.
La magistratura, come corpo organico di impiegati pubblici, è un grande apparato burocratico che non esiste in nessuna delle democrazie liberali, dove la Giustizia si esercita con procedure più garantiste per l’imputato, derivate dallo habeas corpus. Da noi, per storia, natura e funzioni la magistratura è tutt’altro che garantista. Durante il fascismo serviva il tiranno. Caduta la dittatura, trasferita pedissequamente in un contesto pluralista si è trasformata, priva di controllo democratico in un potere folle come possiamo costatare ogni giorno.

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20 Maggio 2013
L’amore al tempo della galera

Avrei voluto intitolare questo capitolo Il sesso nelle carceri poi sono stato attirato da questo titolo di derivazione cinematografica e ho deciso di adottarlo per discutere di quello che, a parere dei detenuti, quasi tutti molto giovani, è la privazione più grave: l’impossibilità di continuare a praticare una dignitosa affettività con le persone care, anche loro condannate, senza alcuna colpa, alla stessa pena e non vogliamo parlare solo di sesso negato, ma anche dell’impossibilità di continuare ad intrattenere un decente, anche se discontinuo rapporto, con i propri figli in tenera età, che sono sottratti per lunghi periodi da qualsiasi contatto col genitore.
Si tratta di un tema scottante, tale da suscitare imbarazzo e perplessità anche solo a parlarne, ma alcune nazioni, Svizzera, Spagna, Svezia lo hanno affrontato con coraggio ed hanno trovato delle soluzioni dalle quali prendere esempio.
L’argomento è talmente audace che si è voluto creare un termine ambiguo: affettività per aggirare la terminologia più esplicita di sesso, che potrebbe mettere subito in fuga moralisti e benpensanti.
Tutti riconosciamo che l’essere umano ha bisogno di affetto, tanto più quando viene a trovarsi in situazioni di disagio e senza dubbio la restrizione della libertà è una delle condizioni più penose da sopportare.
Nella repressione degli affetti si verificano gravi deviazioni, comprese quelle sessuali. A questo proposito lapidario è il pensiero di Friedrich Nietzsche: "È noto che la fantasia sessuale viene moderata, anzi quasi repressa, dalla regolarità dei rapporti sessuali, e che al contrario diventa sfrenata e dissoluta per la continenza e il disordine dei rapporti." (“Umano, troppo umano”, I, n. 141).
Allora la soluzione va cercata in una politica illuminata che, nell’esecuzione della pena, privilegi sin dall’inizio, se non è possibile l’uscita dal carcere, almeno l’incontro periodico coi propri cari e non il distacco netto e la drastica separazione, causa di infiniti problemi esistenziali, di relazione e interpersonali.
Nell’interno del carcere è opportuno creare degli ambienti, che pur rispondendo a tutti i requisiti di sicurezza, offrano al recluso ed ai suoi familiari dei momenti di intimità. Se un detenuto riesce a mantenere una rete solida di rapporti affettivi, oltre a tollerare di buon grado la pena da scontare, corre molti meno rischi di tornare a commettere reati, inoltre conserva un comportamento corretto, quando queste occasioni di incontri ravvicinati… sono subordinati ad un condotta assolutamente irreprensibile.
Prima di considerare gli incontri intimi bisogna valutare tutta una gamma di possibilità intermedie, che vanno dai colloqui gastronomici, la possibilità di consumare un pasto con parenti ed amici, alla facoltà per i familiari di partecipare a giornate particolari come il Natale o la Pasqua ed infine, molto importanti, gli incontri con i propri figli in tenera età, in ambienti opportuni e, se richiesta, con l’assistenza di psicologi ed operatori sociali.
Le sorprendenti scoperte di Reich hanno dimostrato in maniera inequivocabile quanto la repressione sessuale generi violenza e come le istituzioni tendano a canalizzare l’esplosione di queste pulsioni primitive per utilizzarle nei conflitti bellici.
La violenza che si produce nelle carceri, impedendo anche solo la parvenza di un’attività sessuale, non giova a nessuno, certamente non alla società che si trova a ricevere individui incattiviti, nei quali cova l’odio e la vendetta, invece che la volontà di reinserimento.
La storia del carcere è lunga quanto quella dell’uomo, ma le segregazioni nell’antichità (Roma docet) e nel medio evo ripugnano la sensibilità moderna per le atrocità ed il costante utilizzo della tortura, per cui un’analisi storica sulla nascita dei sistemi penitenziari bisogna farla risalire alla nascita della società industriale ed all’accentuazione dell’esercizio del potere dello Stato, in momenti dominati dalla cultura religiosa, che ha sempre dato al sesso una valenza particolare di demonizzazione.
Pensiamo alle Lettere di San Paolo ai Padri della chiesa, ad Origene, a San Girolamo, a Sant’Agostino, fino ad Alberto Magno e San Tommaso d’Aquino. Di conseguenza una soluzione al problema "affettività", intesa in particolare nella sua dimensione sessuale, deve cominciare necessariamente attraverso una critica storico culturale puntuale e puntigliosa. Dobbiamo ripercorrere e rivisitare tutta la nostra tradizione culturale sull’argomento, ereditata in duemila anni di storia dell’Occidente, che ha accompagnato ed influito sul concetto del sesso e del piacere in generale, vissuto costantemente come peccato, male necessario solo per la procreazione ed a salvaguardia della specie.
La cattolicissima Spagna o la democratica Svizzera da tempo consentono i "colloqui intimi" ed hanno ottenuto ottimi risultati.
In Italia per evitare che qualcuno confonda le "stanze dell’affettività" con le "celle a luci rosse" è necessaria un rivoluzione culturale. La pena è privazione della libertà, ma non deve significare anche distruzione degli affetti ed annullamento completo di una normale vita sessuale.
Naturalmente non bisogna considerare unicamente le esigenze di affettività degli uomini sposati o conviventi, trascurando i bisogni, impellenti ed improcrastinabili dei più giovani, che non hanno legami fissi, ma in compenso hanno ormoni in ebollizione e desideri difficile da placare. La masturbazione o l’omosessualità, i rimedi ai quali sono obbligati non sono certo la soluzione del problema.
Anche per loro bisogna predisporre un programma che tenga conto delle loro esigenze.
In Italia il meretricio è legale e sarebbe eccessivamente licenzioso pensare ad una cooperativa di prostitute che si convenzioni con le istituzioni carcerarie?
Vi sarebbe spazio anche per volontarie, moderne suffragette pronte ad immolarsi per una giusta causa, eventualmente anche per fanciulle poco attraenti, in virtù del fatto che molti detenuti a seguito della lunga astinenza sarebbero pronti a tutto…
Naturalmente agli ammogliati sarebbe vietato di accedere a questo servizio.
Naturalmente la prestazione sarebbe a spese del recluso.
Naturalmente sarebbe un evento sporadico molto dilazionato nel tempo.
Naturalmente potrebbero usufruirne solo quelli che osservano una condotta corretta.
Naturalmente tutti, politici ed opinione pubblica devono impegnarsi per risolvere lo spinoso problema.

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10 Maggio 2013

Illustre signor Ministro della Salute,

il suo predecessore ed i suoi più stretti collaboratori dott. Leonardi e prof. Bevere in pochi mesi ci hanno onorato due volte di una loro visita presso il gruppo universitario di Rebibbia, dando luogo ad un fattivo scambio di idee sulle problematiche collegate alla salute dei detenuti. L'ultima volta, presenti anche le più alte autorità del DAP, perché la soluzione può scaturire soltanto attraverso una stretta sinergia tra i due Ministeri.
Appena libera dai gravosi compiti di istituto gradiremmo che anche Lei venisse a farci visita.
La aspettiamo.

Distinti saluti
Achille della Ragione


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3 Maggio 2013
L’odissea delle consulenze mediche esterne e delle udienze

Molti penitenziari, anche di primaria importanza, si trovano per lungo tempo sforniti di figure fondamentali quali il chirurgo, l’ortopedico, il neurologo per cui i pazienti vengono inviati all’esterno per la consulenza medica necessaria che dovrebbe avvenire presso l’ambulatorio, riservando solo ad indagini strumentali, quali TAC o risonanza magnetica (per le quali vi è un’attesa media di un anno) i pazienti che ne hanno bisogno.
Spesso si tratta di pazienti che versano in gravi condizioni di salute e qui comincia l’odissea, ma sarebbe più opportuno parlare di inferno, del trasferimento del detenuto verso il nosocomio.
Si appongono le manette e si viene stipati in blindati con uno spazio a disposizione inferiore al mezzo metro quadrato dove si trascorrono ore ed ore in condizioni disumane per raggiungere l’ospedale, eseguire l’accertamento ed attendere che tutti  terminino i propri.
Tra partenza ed arrivo spesso trascorrono 4-5 ore durante le quali si è costretti ad attendere in una scatola di ferro priva di luce dove la temperatura a volte supera i 40 gradi.
E si tratta di cardiopatici, malati anziani, a volte incontinenti.
Quale giudizio si può esprimere: nessuno, se non rabbia, indignazione, impotenza.
Un discorso a parte è la partecipazione dei detenuti alle udienze: sveglia alle 6, alle 7 si viene smistati nelle celle di attesa, quindi, ammanettati a due a due, si comincia il lungo viaggio, a volte di ore, stipati in quattro in cubicoli sempre di un metro quadrato. Ancora nuova, interminabile attesa di ore prima di essere ammessi davanti alla corte, senza nemmeno il tempo di potersi consultare con l’avvocato, né, tanto meno, consegnare importanti documenti processuali.
L’udienza dura pochi minuti ed a quelle del tribunale di sorveglianza non può assistere il pubblico: una vera e propria caricatura della giustizia che, in nome del popolo italiano, in pochi minuti, decide il destino di una persona.
Il tribunale di sorveglianza si è trasformato in un vero e proprio 4° grado di giudizio che, applicando con insindacabile severità ogni questione, ha vanificato i provvedimenti sfollacarceri emanati dal precedente governo con detenuti a pochi mesi dal fine pena che non hanno mai usufruito  di un permesso perché giudicati pericolosi o bisognevoli di ulteriore osservazione che dovrebbe durare sei mesi, ma spesso copre tutto il periodo da espiare

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30 Aprile 2013

Ho due famiglie e me ne vanto 

Ho due famiglie e me ne vanto, ma non sono uno dei tanti adulteri o bigami che lo sfascio della famiglia, di pari passo con la corruzione dei costumi,ha prodotto, con conseguenze devastanti sull’assetto sociale, ma semplicemente sono da tempo, anche se innocente, un detenuto per cui, oltre alla mia splendida famiglia che ho all’esterno e con la quale posso vedermi per poche ore al mese, costituita da Elvira, una moglie adorabile, Tiziana, Gianfilippo e Marina, tre figli affettuosi, Leonardo, Matteo ed Elettra, tre tesori di nipoti, Carlo, un fratello con un figlio Mario, Giuseppina, Elena ed Adele, tre zie ottuagenarie, Teresa, una cugina che amo come una sorella ed una miriade di altri cugini, ho costituito nel pianeta carcere un’affettuosità ed una solidarietà con gli altri 1800 compagni di sventura, tale da costituire un’altra famiglia: la più grande del mondo, dove vigono regole non scritte che, se fossero valide all’esterno, renderebbero il mondo migliore, evitandone la disintegrazione cui sembra destinato. 
Il problema dell’integrazione tra italiani ed il fiume di stranieri, che anno dopo anno sempre più affluiscono nel nostro Paese, in un solo luogo ha trovato piena applicazione: nei penitenziari, soprattutto delle grandi città come Roma, Napoli, Milano, nei quali ormai “gli alieni” ( ma sono nostri fratelli) costituiscono la maggioranza. 
Nel buio delle celle vi sono forme di solidarietà sconosciute nel mondo esterno, cosiddetto civile, e tutti si considerano membri di una grande famiglia: chi non conosce la nostra lingua la impara in fretta, acquisendo anche la cadenza dialettale locale. 
E’ un esempio virtuoso di cui tenere conto e da perseguire perché non si può andare contro il corso della storia: noi abbiamo bisogno della loro energia e voglia di conquistare il benessere ed è una fortuna, non una calamità, che molti scelgono l’Italia, antica terra di emigrazione, divenuta oggi per tanti la terra promessa. 
E vogliamo concludere trattando brevemente della frantumazione della famiglia patriarcale, un evento che cozza contro un paradigma biologico impresso nel nostro dna, il quale prevede la monogamia per la specie umana, sia perché un meccanismo mirabile fa sì che in età fertile coesistano un egual numero di maschi e di femmine, sia per il lungo periodo necessario a che la prole diventi autonoma, dal che derivano sentimenti come la fedeltà e la gelosia. 
(Per chi volesse approfondire l’argomento consultare sul web il mio saggio “Monogamia: virtù o necessità?” 

Questo articolo di Achille della Ragione ha vinto il 1° premio di 2.000 euro al concorso “Silvio Pellico” (edizione 2012) riservato ai detenuti di tutti i penitenziari italiani. Il denaro della vincita è stato devoluto dall’autore in beneficenza)

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3 Aprile 2013

Rendiamo vivibili i penitenziari 

La permanenza in carcere peggiora tutte le patologie, anche nei più giovani, immaginiamo gli effetti devastanti che possono avere in pazienti, spesso anziani, affetti da cardiopatie gravi, crisi ipertensive, Aids in fase terminale, diabete scompensato e tante altre affezioni che conducono in breve tempo al decesso. 
Un discorso a parte meritano i numerosi tossicodipendenti, che dovrebbero essere, prima che puniti, curati in apposite strutture. Potrei dilungarmi ricordando l’epidemia di suicidi, che andrebbe contrastata con un’inesistente assistenza psicologica, ma vorrei trattare dei non meno importanti mali dell’anima: la solitudine, la malinconia, la sofferenza, la nostalgia.
Conosco un rimedio infallibile per combatterli: rimanere in contatto costante con i propri familiari, anche solo per telefono. 
In tutta Europa i detenuti (a loro spese) sono liberi di fare quante telefonate desiderano. 
Perché dobbiamo essere costantemente il fanalino di coda della civiltà?

Questa lettera è stata pubblicata su Repubblica del 5 aprile 2013

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25 Marzo 2013

Messaggio a Papa Francesco, il pontefice dei poveri e dei detenuti: Santità, venga a Rebibbia

Vorrei inviare un messaggio al Papa: Santità, abbiamo molto apprezzato
Santità, abbiamo molto apprezzato che un membro di un ordine, da sempre considerato l'intelligentia della Chiesa, abbia scelto il nome di Francesco che si batteva in difesa degli umili e dei deboli. 
Sicuramente da buon pastore, Lei si metterà in cerca delle sue pecorelle smarrite e quante ne troverebbe se ci facesse l'onore di venire a trovarci nel carcere di Rebibbia. 
Troverebbe tanti Argentini, ma anche tutte le razze e tutti i popoli, il penitenziario è una sorta di ONU con detenuti di 77 diverse nazionalità. 
A riceverla Don Sandro e Don Roberto, che da decenni sono al nostro fianco e che mai ci lasceranno. 
Le scrive un innocente, che però sa ben discernere tra la giustizia terrestre spesso fallace e quella divina, infallibile, i cui tortuosi percorsi spesso non riusciamo a discernere se non ci sorreggesse una fede incrollabile. 
L'aspettiamo; non ci deluda.

Questa lettera è stata pubblicata su il corriere della sera del 3 aprile 2013

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25 Febbraio 2013

DISCORSO TENUTO IN OCCASIONE DELLA VISITA DEL MINISTRO DELLA SALUTE BALDUZZI AL GRUPPO UNIVERSITARIO DI REBIBBIA 

Signor Ministro, direttore, professori, colleghi, sono Achille della Ragione, divenuto qui più semplicemente: 90159, sono medico, specialista in Ostetricia e Ginecologia ed in Chirurgia Generale, già docente di Fisiopatologia della riproduzione nell’Università di Napoli. Nello stesso tempo sono gravemente ammalato, affetto da una ventina di patologie, per cui costituisco l’osservatorio ideale per tracciare un quadro della situazione sanitaria nel penitenziario, di cui sono ospite da 18 mesi. 
Prima di entrare nel merito dei numerosi disservizi, comuni, ma qui aggravati, a quelli di tutti i cittadini, in un momento di grave crisi economica come quello che stiamo attraversando, vorrei fare una precisa denuncia dell’abuso di psicofarmaci, i quali vengono elargiti in cospicua quantità, pur di tenere calmi i detenuti e che in breve tempo trasforma gli stessi in automi disarticolati, in pallidi ectoplasmi, in marionette impazzite. 
Un altro prodotto che viene distribuito a richiesta è la tachipirina, un antipiretico, che viene utilizzato per curare le più svariate affezioni: dal raffreddore al mal di testa, dai dolori muscolari alle bronchiti, una vera panacea se non si trattasse di un semplice placebo. 
I tempi di attesa per una visita specialistica interna sono di mesi, per un’indagine esterna, superano spesso un anno. 
Le procedure burocratiche per far entrare un consulente esterno sono macchinose e defatiganti e durano costantemente molti mesi. 
La permanenza in carcere peggiora tutte le patologie, anche nei più giovani, immaginiamo gli effetti devastanti che possono avere in pazienti, spesso anziani, affetti da cardiopatie gravi, crisi ipertensive, Aids in fase terminale, diabete scompensato e tante altre affezioni che conducono in breve tempo al decesso. 
Un discorso a parte meritano i numerosi tossicodipendenti, che dovrebbero essere, prima che puniti, curati in apposite strutture. 
Potrei dilungarmi, ricordando i tanti morti, l’ultimo meno di un mese fa e l’epidemia di suicidi, che andrebbe contrastata con un’inesistente assistenza psicologica. Ma vorrei trattare brevemente dei non meno importanti mali dell’anima: la solitudine, la malinconia, la sofferenza, la nostalgia. Conosco un rimedio infallibile per combatterli: rimanere in contatto con i propri familiari, anche solo per telefono. In tutta Europa i detenuti (a loro spese) sono liberi di fare quante telefonate desiderano. Perché dobbiamo costantemente essere il fanalino di coda della civiltà? 
Signor Ministro le auguro di far parte del nuovo governo e La invito, in accordo col nuovo Ministro della giustizia di cercare di ovviare ai gravosi problemi che Le ho brevemente esposto, i quali, se trascurati, più che alla giustizia terrestre, gridano vendetta davanti a Dio. 
Grazie da Achille della Ragione


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9 Gennaio 2013

Il candore delle cornacchie : Il grido di dolore e speranza di Totò Cuffaro dal carcere di Rebibbia 

Da pochi giorni in edicola ed in libreria sono state distribuite le prime 10000 copie de “Il candore delle cornacchie” (Ed. Guerini - 20 euro; i diritti d’autore saranno devoluti in beneficenza). 
Il volume scritto da Totò Cuffaro racconta la sua esperienza da uomo politico più potente della Sicilia a matricola 87833 del carcere di Rebibbia. 
Per il titolo l’autore si è ispirato alle numerose cornacchie che affollano il cielo del penitenziario cantando allegramente, libere di poter andare dove desiderano e dalla circostanza che una di esse, il primo giorno di detenzione, si posò sulla finestra della sua cella e pareva volesse intraprendere un sorprendente dialogo muto col prigioniero; si parlarono con gli occhi, poi il volatile scappò via verso il vento della libertà. 
Cuffaro rivendica la sua innocenza, ma, nello stesso tempo, accetta con cristiana rassegnazione la sua condanna. 
Egli è sorretto da una fede incrollabile, la quale gli permette di sopportare le angherie e le assurdità di un regolamento penitenziario colmo di divieti e dove i numerosi doveri umiliano i pochissimi diritti. 
Molti gioiscono quando un potente viene sbattuto nelle patrie galere, ben pochi riconoscono il rispetto per chi era andato a costituirsi con i suoi piedi, senza imprecare contro i giudici, con una dignità riconosciuta dagli stessi avversari politici. 
Nella narrazione vengono descritti senza acrimonia l’umiliazione delle manette del tutto inutili per chi si era consegnato spontaneamente, la cattiveria del sequestro degli effetti personali che con amorevole dolcezza la moglie aveva sistemato nella sua borsa, l’approfondita ispezione corporale subita, tutto nudo, in una stanza gelida. 
Vedendo gli ergastolani egli si considera fortunato, che un giorno, a differenza di loro, potrà tornare ai suoi affetti familiari, alla sua tenuta in campagna dove farà il contadino, allevando pecore e capre e continuando a produrre un vino tra i più rinomati della Sicilia. 
Si parla della sua ora di corsa mattutina che gli ha permesso una forma fisica perfetta, perdendo in un anno oltre trenta chili. 
Oltre cento parlamentari sono venuti a fargli visita oltre a numerosi ecclesiastici da semplici sacerdoti a qualche cardinale. Ma la visita più gradita fu quella di Marco Pannella, venuto la notte del 31 dicembre per cenare con lui assieme a detenuti ed agenti carcerari. 
Poco prima vi era stato il 18 dicembre l’incontro con il Pontefice, dopo tante volte che aveva parlato con lui affettuosamente nelle sfarzose sale del Vaticano. 
Confessa che vi è una donna misteriosa di cui conosce solo il nome, Antonella, che ogni giorno gli manda una cartolina per fargli compagnia da ogni parte del mondo, forse una hostess. 
Vi sono anche particolari raccapriccianti come il suicidio per impiccagione di Luigi, un detenuto dimenticato dai suoi familiari e che ha pensato che l’unico modo per uscire dall’inferno della galera era togliendosi la vita. 
Vogliamo terminare con una sua poesia che fa da quarta di copertina del libro. 
Il carcere è un posto
che ti priva
non soltanto della libertà
ma soprattutto
del respiro lungo della vita.
Ci manca il fiato.
Il carcere ti spezza il fiato.  
Totò Cuffaro

Totò Cuffaro ed Achille della Ragione

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26 Gennaio 2013

« Meglio bestia che detenuto » 

Il governo si è sciolto senza prendere alcun provvedimento “sfollacarceri”, mentre quotidiani e mass media continuano ad interessarsi alla sorte dei cani randagi in Ucraina, dei gatti sfollati da Largo Argentina o delle galline costrette in gabbie anguste. 
I detenuti gradirebbero che fosse dedicata pari attenzione ad esseri umani costretti a spazi talmente 
Limitati da invidiare gli animali dei giardini zoologici.



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17 Febbraio 2013

Si parla tanto di amnistia e indulto, alimentando inutili speranze tra i 70000 detenuti, stipati come bestie nelle carceri, dimenticando il delicato momento politico, per cui è pura utopia sperare che si possa raggiungere in Parlamento la maggioranza qualificata necessaria a varare un provvedimento di clemenza. Si potrebbero invece svuotare rapidamente i penitenziari attraverso una legge ordinaria, che preveda il rispetto di leggi già esistenti, inapplicate per il congestionamento degli uffici dei giudici di sorveglianza, costretti, nonostante il loro lodevole impegno, a esaminare con attese estenuanti migliaia di istanze. Le ragionevoli proposte che mi sentirei di avanzare al legislatore sono: 

  1. Il diritto automatico ai domiciliari per chi deve scontare meno di un anno. 
  2. L' avviamento obbligatorio ai servizi sociali per tutti coloro che devono scontare gli ultimi tre anni di reclusione. 
  3. L' utilizzo della carcerazione preventiva solo in casi eccezionali, facendo tesoro del braccialetto elettronico in uso in tutti i paesi civili e non dimenticando che secondo la Costituzione si tratta di innocenti. 
  4. La possibilità di scontare la pena ai domiciliari per tutti i malati passibili di peggioramento in regime di reclusione e per chi ha compiuto 65 anni. 
  5. Trasferire in strutture attrezzate i tossicodipendenti per un più efficace programma di recupero, favorendo un futuro inserimento nella società.


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17 dicembre 2012

« Una dolce morte »

Per le coppie anziane, dopo tanti anni passati assieme sorge il desiderio anche di morire insieme. 
A me e mia moglie questa rara occasione capitò anni fa in un aereo in avaria, che tentò un atterraggio di fortuna senza carrelli, ma riuscimmo fortunatamente a salvarci. Da allora tanto tempo è passato: Gli occhi si cercano sempre, le mani si accarezzano più di prima. Il desiderio si trasforma, i corpi stanchi e rugosi, diventano il soffice cuscino cui adagiarsi.
Il vecchio desiderio di Filemone di essere trasformato con l’amata Bauci in una quercia e in un tiglio uniti per sempre nel tronco e nelle radici è una mera utopia. In un paese che non permette l’eutanasia, non resta che bere assieme una tazza di dolce veleno, regalandosi vicendevolmente la morte.
Achille Della Ragione

risposta di Natalia Aspesi
André Gorz, scrittore, filosofo, uno dei fondatori del settimanale francese Nouvel Observateur, si uccise nel 2007 assieme alla moglie malata, non potendo immaginare di vivere senza di lei,
erano insieme da 58 anni. Di lui, Sellerio ha pubblicato nel 2008 Lettera a D. inno: d'amore a Dorine, la compagna di tutta la vita da cui non ha voluto separarsi.
Mi perdoni se le ricordo che altri hanno fatto ciò che lei immagina, se segnalo ancora una volta il film Amour che racconta una storia simile.
Mi perdoni anche se le dico che, se ovviamente penso che l'eutanasia sia un diritto per chi vuole porre fine alla sofferenza o per chi sopravvive con le macchine come un vegetale, non posso pensare che si rinunci alla vita, perché muore una che sino a quel momento l'ha divisa con noi. Davanti saranno anni vuoti, tristi, ma varrà sempre la pena di viverli anche in solitudine, perché comunque la morte non unisce, cancella soltanto e non ci sono dei, che, come racconta Ovidio nelle sue Metamorfosi, premino Filemone e Bauci facendoli morire insieme e trasformandoli, per sempre, in alberi.
Natalia Aspesi


Lettera pubblicata il 7 dicembre 2012 su "il Venerdi di Repubblica"
nella rubrica "questioni di cuore" di Natalia Aspesi

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16 Novembre 2012

Da sempre amo leggere la divina commedia e ne conosco a memoria i versi più famosi. L'altro 
giorno, mentre recitavo i passi immortali della storia di Paolo e Francesca ad altri compagni, ho 
provato invidia per i due amanti, condannati a vagare per l'eternità tra le fiamme dell'inferno, ma 
teneramente abbracciati; mentre io e mia moglie Elvira, senza aver commesso alcun peccato, siamo 
costretti a vivere la stessa pena, ma separati. 
Lei a fare la nonna a tre vispi nipotini a Bruxelles, mentre io nel buio della mia cella, e possiamo 
stare abbracciati poche volte al mese, e solo per pochi minuti

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2 Ottobre 2012 


L'altro giorno a Rebibbia, Ignorato dalla stampa vi è stato l'ennesimo suicidio per impiccagione 
durante la messa al momento della preghiera, ho ricordato con brevi parole l'episodio (pubblicato come lettera al direttore)

FINALMENTE LIBERO 
una bilancia in un'aula di giustizia ha segnato il suo destino, l'altro giorno una bilancietta gli ha permesso di diventare libero. Anche in reparti come il nostro G8 la sofferenza, la malinconia, la solitudine, la disperazione possono indurre ad atti insulsi. 
possa Dio, nella sua infinita misericordia perdonarlo ed accoglierlo nell'alto dei cieli 
preghiamo 

RISPOSTA DELLA FAMIGLIA di Luigi Del Signore 
GRAZIE 
è con profonda commozione che abbiamo ascoltato la lettera che avete scritto per ricordare lo zio. 
"Giggi" così noi lo chiamavamo, è stata una persona sfortunata, ha avuto una vita difficile. Non era semplice stargli accanto nè volergli bene, mi ha colpito come lo avete descritto, gli aggettivi che avete usato. 
Lui era Giggino così strano, lunatico, ma inoffensivo. 
aveva un carattere difficile e non amava parlare di sè, nè forse farsi conoscere troppo profondamente. 
Non sapremo mai il PERCHE' zio abbia deciso di togliersi la vita, noi tutti speriamo che adesso sia in pace con se stesso e con gli altri. 
Grazie per avergli voluto bene e grazie anche per essere stato presente i fiori che avete mandato.


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30 Settembre 2012

Un fiore nel deserto 

Rebibbia non é soltanto sovraffollamento e solitudine, ma vi sono anche delle oasi di pace e di tranquillità, una delle quali é costituita dal gruppo universitario fatto nascere dal nulla negli anni da Sergio Boeri e frequentata da una ventina di detenuti che studiano Giurisprudenza, sotto la guida di illustri luminari e giovani dottorande con un rapporto docente-discente da fare invidia a celebri università come Oxford e Cambridge. 
Fianco a fianco senza problemi siedono famosi politici e medici plurilaureati con efferati assassini e trafficanti di droga. 
E' d'obbligo l'uso del tu anche fra professori e studenti. Ed assieme si trascorrono molte ore del giorno in ambienti estremamente accoglienti: una grande sala luminosa, dotata di aria condizionata ed una biblioteca fornitissima. 
Studiare vuol dire libertà ed il gruppo universitario della fortezza di Rebibbia costituisce il tempio del sapere.

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4 Settembre 2012

LA PUNIZIONE FUORI DAL CARCERE: Incrementare le misure alternative 

A fine settembre il Parlamento dovrà decidere sul decreto legislativo riguardante la penosa situazione della Giustizia, ma soprattutto dovrà cercare un rimedio all’esplosiva situazione dei penitenziari con la prepotente urgenza del sovraffollamento, con un surplus attuale di 23.000 detenuti. Una situazione più volte sottoposta dal Presidente Napolitano all’attenzione dei politici e dell’opinione pubblica, senza sortire alcun effetto, mentre continuano a fioccare senza sosta le sanzioni europee, somme notevoli che vanno ad aggiungersi ai 250 euro di costo giornaliero per lo Stato per ciascun detenuto, di cui appena 12 centesimi destinati ad attività di recupero, mentre dall’inizio dell’anno vi sono stati 37 suicidi e 5.073 gesti di autolesionismo. 
Mancano i fondi? Niente affatto! Sono stati mal adoperati per incompetenza e per corruzione. 
Come si spiegherebbe altrimenti che sono stati elargiti 110 milioni di euro alla Telecom per realizzare solo 14 braccialetti elettronici? 
Da tempo il dibattito anima le pagine dei giornali, inoltre sono numerosi i libri di esperti che cercano di identificare nella pena, non solo una necessaria espiazione, ma anche un mezzo per preparare il detenuto a reinserirsi nella società, redento e pronto a procacciarsi da vivere attraverso l’onesto lavoro. 
E’ una nobile battaglia di idee tra chi considera utile la reclusione e chi vuole abolirla, riaprendo la diatriba che parte da Beccaria per arrivare a Foucault. 
Partirei da “Detenuti” di Melania Rizzoli, che fotografa una galleria di personaggi famosi e da “Il perdono responsabile” di Gherardo Colombo. Fondamentale poi “Perché punire è necessario” di Winfried Hassemer ed “Il collaboratore della giustizia penale” di Vittorio Mathieu. 
Abbiamo citato i titoli più importanti, ma la bibliografia è vastissima, segno dell’attenzione della cultura allo spinoso problema.
Una notizia clamorosa che è passata sotto silenzio dalla stampa è che per la prima volta i magistrati in tirocinio, nella didattica della nuova scuola di magistratura, saranno obbligati a vivere in prima persona l’esperienza del carcere per alcuni giorni ed alcune notti. Una novità travolgente che permetterà di valutare come va vissuta la pena. 
Per Montesquieu o Beccaria la pena viene riconosciuta come un “ male necessario ad impedire al reo dal fare nuovi danni ai cittadini ed a rimuovere gli altri da farne eguali” (Beccaria – Dei delitti e delle pene – 1764). 
Concetti oramai superati dai nuovi operatori della giustizia che affermano perentoriamente come il carcere, se risposta esclusiva a qualunque violazione, si riveli inutile e controproducente, divenga scuola di criminalità, non riesca a fare scendere il tasso di recidiva e, all’uscita, restituisca più insicurezza di quanta ne abbia imprigionata all’entrata. 
Un’intuizione che già Michel Foucault nel suo celebre “Sorvegliare e punire” aveva stigmatizzato sottolineando che la detenzione, producendo l’effetto di rinnovare e moltiplicare i comportamenti delinquenziali aveva tradito la sua principale finalità. 
Gherardo Colombo sottolinea come il concetto del perdono sia il presupposto per una possibilità di collegare alla trasgressione il recupero. Colombo è convinto che far male insegni solo a far male e la sofferenza imposta serve solo a produrre obbedienza anziché consapevolezza. Ai reclusi spesso il nostro sistema carcerario non toglie solo la libertà, ma anche la dignità. E questo non solo per ragioni affettive come il sovraffollamento, l’assenza di riservatezza per le necessità e la cura del proprio corpo, l’inedia e l’ozio coatto che non consentono di esprimersi in una qualche attività in cui poter riconoscere le proprie capacità, ma anche per una serie di micro umiliazioni inflitte ai detenuti che devono subire per non compromettere il loro curriculum di buona condotta che li priverebbe di quei piccoli vantaggi ad essa connessi. E qui viene da pensare che molti suicidi in carcere, che accadono frequentemente nell’indifferenza generale, non siano da imputare solo alla soppressione fisica della libertà, ma anche e soprattutto alla perdita di dignità, che fa percepire la propria vita come insignificante. 
Se la perdita della libertà è inevitabile, quella della dignità è una pena supplementare che può e deve essere evitata, educando il personale carcerario ed affidando a tutti i detenuti un’attività occupazionale. 
Se lo scopo della detenzione non è solo quello di scontare una pena, ma anche il reinserimento, come solennemente sancito dal dettato Costituzionale, dobbiamo considerare i detenuti come persone degne di rispetto al di là del reato commesso. 
Non si tratta di illusioni, ma costituivano l’anima ed il motore di progetti bipartisan di riforma del codice, come le commissioni ministeriali Nordio nel 2005 e Pisapia nel 2008, che, per i reati di minor allarme sociale, prevedevano lavori di risarcimento e servizi alla comunità. Alla fine di settembre in Parlamento si discuterà un decreto delegato sull’argomento, speriamo con serenità e ragionevolezza, e noi ci permettiamo di suggerire alcuni emendamenti quali: il computo per l’applicazione dei mesi di premio fin dal momento dell’ingresso in carcere, così da poter giungere presto ai benefici, senza dimenticare la possibilità di telefonare quando si vuole, come accade in tutta Europa, e di poter utilizzare Internet e Skype

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18 Agosto 2012

Mentre tutti sono al mare ed i giornali sono interessati solo alla crisi economica, 
70.000 detenuti vivono stipati in celle che potrebbero contenerne meno della metà, nelle quali la temperatura supera costantemente i 40° e senza alcuna possibilità di redimersi, ma unicamente di dannarsi. 
Una situazione che senza perifrasi ha un solo nome: tortura e per la quale i tribunali internazionali hanno ripetutamente condannato l’Italia. 
Anche il Presidente della Repubblica ha richiamato l’attenzione del Parlamento sulla tragica condizione di invivibilità dei nostri penitenziari, ma nessuno tra i politici ha il coraggio di proporre l’unica soluzione possibile: un indulto accompagnato, come sempre in passato, da un’amnistia. Attendiamo ora di ascoltare l’autorevole voce del Pontefice sulla vicenda, sperando che, come nel 2006, possa costituire lo stimolo a prendere una decisione impopolare, ma improcrastinabile, infatti, quando lo Stato non è capace di garantire un minimo di vivibilità, non ha altra scelta che abdicare. 
Nel frattempo questo anno un digiuno propiziatorio accompagnerà il mesto pellegrinaggio ai luoghi di pena dei pochi parlamentari convocati da Pannella, i quali, abituati ai pasti prelibati ed a sbafo consumati nel ristorante del Senato, potranno rendersi conto personalmente dello schifo di cibo che viene propinato ai carcerati, costretti a spendere di tasca propria per un vitto decente. 
Per ora, spiega il ministro, ho fatto '' il possibile. Quasi 2mila posti in più con i nuovi padiglioni, 3mila detenuti in meno con le sliding doors e altri 2mila con gli arresti domiciliari. Ma continuerò a lavorare per loro''.


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1° Luglio 2012

Scacchi a Rebibbia 

Un torneo autogestito si è svolto nel carcere di Rebibbia con la partecipazione dei una quindicina di detenuti. Vincitore a punteggio pieno è risultato il maestro napoletano Achille della Ragione davanti al maestro internazionale albanese Kusturica. Il giorno successivo in una grande simultanea il vincitore ha sfidato tutti i partecipanti, battendoli di nuovo tutti. Per l’autunno si prevede l’organizzazione di un corso di scacchi, per permettere a tutti di conoscere ed apprezzare questa nobile attività agonistica, che, oltre a tenere in esercizio l’intelligenza e la memoria, insegna la correttezza, per cui è stata giustamente denominata “Il gioco dei re ed il re dei giochi”.

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26 giugno 2012


Mitologia oggi

Caro signor Gervaso, creata dalla fertile fantasia dei nostri antenati, la mitologia rivive con prepotenza nell’immaginario popolare dei nostri contemporanei. Le muse sono oramai a portata di mouse e non vivono più nei racconti dei cantastorie che li diffondevano dai villaggi alle città, ma trionfano sui settimanali patinati ed irrompono dallo schermo dei nostri computer, creando un mirabile corto circuito tra passato e presente in un mirabile spazio-tempo, a cui tutti gli abitanti del villaggio globale possono accedere liberamente. Oramai tra l’Olimpo e lo star system non esiste più alcuna barriere temporale. Le monumentali statue di Fidia e di Mirone, che ci proponevano atleti leggendari, si sono reincarnate nelle piroette di Messi e nello scultoreo corpo della Pellegrini mentre le divinità sono divenute dive, gli eroi si sono trasformati in campioni olimpici, le vezzose quanto seducenti ninfe sono degnamente rappresentate da graziose veline o maliziose escort, i virulenti satiri hanno trovato un degno erede nelle incredibili cavalcate erotiche dell’immarcescibile Cavaliere. Eris la poco nota dea della zizzania, rivive negli effetti devastanti del prorompente posteriore di Pipppa Middleton, che distoglie i flash dei fotografi dall’abito nuziale della sorella Kate e turba i desideri lascivi dei maschi di tutte le età. Una pedissequa ripetizione della famosa discordia scatenata dalla perfida mela che turbò il matrimonio tra Pelea e Teti, scatenando dissapori tra le Dee come in una eccitante puntata di un reality show. I suoni delle band e le suadenti melodie dei cantanti vorrebbero ammaliarci, come le sirene cercarono di incantare l’astuto Ulisse. Le miss e le longilinee top model ricalcano il mito del trucco e della bellezza. Che vede Cleopatra come illustre capostipite. L’antica mitologia ci proponeva divinità umanizzate con pregi e difetti: da Giove a Venere, da Ercole ad Achille, da Paride ad Elena; antichi archetipi, pedissequamente riproposti da calciatori, ballerine, pop star e attori del cinema e della televisione, in una girandola multiforme e con uno scambio di ruoli da far inorridire sia Kafka che Pirandello. 
Achille della Ragione

risposta di Roberto Gervaso
Lei, caro Achille ha perfettamente ragione: le cose stanno proprio così. Né con l’aria che tira, potrebbero stare diversamente. I valori si sono sovvertiti, il favore fa aggio sul merito, i gusti sono cambiati, e anche i disgusti. E cambiate sono le aspirazioni. Il mondo di oggi non è più quello di ieri, e non solo entro i confini dello stivale: ovunque. Le copertine dei settimanali sono diventate appannaggio degli eroi dello spettacolo, dello sport, della moda. Le veline, le show girl, i calciatori, le modelle, tengono campo, dopo averlo invaso. I nuovi Soloni sono i tronisti che, non sapendo niente di niente, possono parlare, e parlano di tutto. Il gossip dilaga, il sensazionalismo è la materia prima dei giornalisti. Se non fai scandalo, non sei nessuno. Un paio di tette prosperose o un fondoschiena ben esibito valgono più di un cervello che funzioni. Lo star system impera e i suoi fan, sempre più fanatici, non si contano.
Noi siamo all’antica e non solo perché antichi (antichi o venerabili, non vecchi) e in questo mondo stiamo male, anche se speriamo di restarci il più a lungo possibile visto che l’altro, se esiste, non lo conosciamo; se non esiste, ci annulla e ci toglie la voglia di salire sul barcone di Caronte.
Con la parola e con la penna cerchiamo di arginare questa deriva ma l’impresa è disperata. Siamo soli e in pochi. La massa si è adeguata e i pettegolezzi che ha sempre amato la fanno gongolare più di quanto la interessino la serietà e la profondità dei ragionamenti. Fra un Nobel e Madonna che fa una piroetta e canta, sguaiata e blasfema, non ha dubbi: meglio la signora Ciccone. Tra un filosofo che cerca di farti capire l’incomprensibile vita e un bomber come Di Natale, sceglie Di Natale.
Nei bar, la mattina, fra una tazzina e l’altra di caffè, di cosa si parla? Del rigore ingiustamente negato alla Roma e benevolmente concesso alla Juventus, dell’ultima esibizione della rock star, del temerario bikini di Belen o dell’amore contrastato della figlia di un commoner con il pretendente al trono di un regno scandinavo.
Che fare? Niente. Prendere atto, come dicevo, che il mondo di oggi non è più quello di ieri e augurasi che quello di domani sia meglio di quello di oggi. 
Roberto Gervaso

IL MESSAGGERO di martedì 26 giugno 2012


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 24 Giugno 2012

Il drammatico problema del sovraffollamento e dell’invivibilità dei penitenziari italiani è argomento di scottante attualità e, nonostante più volte il Presidente Napolitano abbia fatto sentire la sua voce solenne ed ammonitrice, Parlamento e Governo si sono disinteressati alla questione, impegnati a tartassare con tasse e balzelli i dipendenti a reddito fisso. 
Melania Rizzoli, medico e deputato, nonché moglie dell’editore Angelo Rizzoli, ha scritto un libro che si legge, dalla prima all’ultima pagina, con le lacrime agli occhi: “Detenuti - Incontri e parole dalle carceri italiane”, il cui sottotitolo potrebbe essere il celebre verso dantesco: “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”. 
La premessa sconvolgente è affidata ai numeri: 206 istituti, che potrebbero accogliere 45000 reclusi, costretti ad ospitarne quasi 70000, mentre ogni giorno le entrate superano le uscite. 
La scrittrice ha visitato questi gironi infernali ed ha ascoltato voci famose ed anonime, entrambe accomunate da un identico destino di solitudine, malinconia, annientamento fisico. 
Uno dopo l’altro si ascoltano racconti di detenuti, che hanno avuto l’onore della cronaca per i loro delitti da Mambro a Vanna Marchi, dal boss dei boss Provenzano a Cuffaro, da Michele e Sabrina Misseri, Sofri, Tanzi, Lele Mora e Olindo Romano. Tutti colloqui privati che si trasformano in un viaggio interiore, che modifica profondamente chi vive tra quelle tristi mura, dimostrando alla fine come il sistema repressivo italiano tenda a distruggere la personalità ed a far ritenere il suicidio come una liberazione. 
Sofri: “In carcere non puoi permetterti i sentimenti, perché diventano delusioni”. 
Mambro: “Il carcere è un tritacarne, ti schiaccia e ti schianta”. 
La Marchi parlando di Lele Mora: “Per affrontare il carcere ci vogliono le palle e due non bastano”. 
Tanzi: “No, non leggo i quotidiani, ma solo il Vangelo, una pagina la mattina e una la sera”. 
Emblematica la visita a Provenzano, che non parla con nessuno ed ha vissuto un’interminabile latitanza come un topo in una fogna. “Cosa le manca di più?”. “L’aria, mi rispose deciso guardandomi con occhi senza espressione”. 
Il libro termina con un ammonimento ai magistrati quale responsabilità si assumono quando firmano un ordine di carcerazione senza avere ancora la certezza della colpa, in stridente contrasto con l’articolo 27 della nostra costituzione.

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 27 Giugno 2012

Il carcere dei famosi e la realtà dei poveri Cristi 

I mass media si interessano incessantemente ad evidenziare ogni qualvolta un personaggio famoso: un politico, un attore, uno sportivo varca la porta del carcere. 
E’ una straordinaria risorsa narrativa capace di calamitare l’attenzione del lettore e la sua pruriginosa curiosità, magari alimentata da un pizzico di invidia sociale e di segreta soddisfazione per il loro destino. 
Ma nessuno si interessa delle tristi storie di quell’esercito di poveri Cristi, di quella infinita schiera di detenuti sbattuti in galera, spesso semplici indizi e non prove, ad attendere un giudizio che in quasi la metà dei casi li vedrà innocenti, mentre nel frattempo sono costretti a vivere sulla propria pelle gli straripanti problemi della detenzione e dell’inefficienza della giustizia.


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20 Aprile 2012

Cambiare il regolamento carcerario 

Vorrei chiedere ai membri del Parlamento se, attraverso una legge ordinaria, si possa migliorare le disastrose condizioni di vivibilità delle nostre carceri: cambiamento del regolamento penitenziario, ottuso ed antiquato, aumento del bonus per chi lavora o studia ed ha un comportamento ineccepibile, l’introduzione di Internet e Skype, aumentare il numero dei colloqui o quanto meno delle telefonate ai familiari, perché rimanere costantemente in contatto con i propri cari è l’unico rimedio che conosco per combattere la sofferenza, la tristezza, la solitudine, la malinconia.


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4 Aprile 2012 


Gentile direttrice, 
La ringrazio per la sua cortese lettera e per l’invito a collaborare alla sua rivista nei modi che riterrà di indicarmi. 
A Rebibbia partecipo ad un attivo gruppo universitario e spesso organizziamo delle conferenze, per cui vorremmo invitarla a tenerne una sul tema “Internet e Skipe nei Penitenziari”, che lei ha visto argomento di una mia lettera al Ministro di Grazia e Giustizia Severino. 
Sarebbe opportuno che intervenisse anche uno dei Parlamentari favorevoli e se possibile lo stesso dottor Nicola Mazzamuto, Segretario Generale del Coordinamento Nazionale dei Magistrati di Sorveglianza, il quale ha auspicato proprio l’uso di Skipe per dare modo a tutti i detenuti, soprattutto agli stranieri, che hanno le famiglie lontane, di dialogare con i propri cari. 
Mi faccia sapere la sua disponibilità e se possibile l’indirizzo del magistrato per invitarlo ufficialmente a nome del Gruppo. 
In attesa di un suo riscontro le invio i miei saluti. 
Achille della Ragione
Via Maietti 70
00156 Roma

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31 Marzo 2012 


Il coraggio di aver paura 

Oggi 30 marzo nell’area verde del penitenziario di Rebibbia si svolgerà una grandiosa Via Crucis, con la partecipazione anche dei familiari dei detenuti, ad alcuni dei quali è stato assegnato il compito di commentare alcune delle stazioni. 
Io dopo un attento studio ho ritenuto di sottolineare il sentimento della paura, l’iniquità della giustizia, la stessa partecipazione alla sofferenza. 
Tra molte delle stazioni della Via Crucis e la condizione del carcerato ho trovato molte sorprendenti similitudini. 
A partire dalla prima stazione, nella quale Gesù viene sottoposto ad un giudice e condannato a morte. Il giudice del mondo, che un giorno ritornerà a giudicare l’umanità, sta lì, annientato, disonorato e inerme davanti ad un giudice terreno. Innocente lui, innocenti tanti di noi che ci siamo visti condannati da una giustizia spesso fallace. 
Nella decima stazione Gesù viene spogliato delle sue vesti, una forma di emarginazione e di disprezzo, un’amarezza e la vergogna di rimanere nudo davanti a tutti. 
La stessa umiliazione che viene inflitta al detenuto al suo ingresso nel penitenziario, costretto a spogliarsi come un verme ed esplorato senza pietà nei più intimi orifizi. 
Ma il sentimento che più accomuna la figura di Gesù a quella del detenuto è senza dubbio la paura, che sottende a tutte le 14 stazioni e che compare già nell’orto del Getsemani, quando egli si vede abbandonato e tradito da tutti con momenti culminanti nella 11 stazione, quando Nostro Signore viene inchiodato sulla croce e nella 12, quando dopo aver invocato disperato: “Padre mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato” muore, mentre si fa buio su tutta la terra. 
La vita del detenuto è una continua paura, spesso si piange disperati, ma non vi è da vergognarsi, abbiamo paura come ha avuto paura Gesù e questo deve confortarci.

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12 Marzo 2012 


Fido salvo per miracolo 

Nei prati intorno ai padiglioni della fortezza di Rebibbia vivono in perfetto accordo alcuni cani randagi e numerosi gatti, che sopravvivono grazie alla generosità dei prigionieri, i quali ogni giorno portano loro avanzi di cibo. 
Tra questi vi è Fido, un bastardo, frutto probabilmente di un incrocio tra un cane e una lupa, perché ha degli occhi che incutono timore, ma è mansueto perfino con i gatti. 
L’altro giorno vi è stata un’ondata di freddo polare, è caduta tanta neve e Fido non si è fatto vedere all’ora di pranzo. Molti hanno temuto che fosse morto assiderato e alcuni volenterosi si sono messi alla sua ricerca, fino a quando non l’hanno trovato in fin di vita sotto un albero, dove aveva cercato disperatamente un riparo. Il cuore batteva appena. 
Si cerca di praticargli un massaggio cardiaco e poi un ragazzo tenta di soccorrerlo con una respirazione bocca a bocca. Una scena commovente, una simbiosi uomo-bestia, un richiamo a quell’amore sviscerato che lega da sempre tutti i viventi, non solo nella mitologia e nelle fiabe. Si percepisce il calore del fiato, che riscalda l’atmosfera ghiacciata, mentre si scruta con trepidazione il muso del cane per cercare qualche indizio di vita. 
Lo portano al caldo in una cella, lo adagiano su due sedie vicino al termosifone, lo asciugano con il fono. Lentamente si vede il muso affilato cominciare a muoversi, un orecchio si muove. 
Il giorno dopo con un cucchiaino riescono a fargli mangiare un uovo. Il rumore della lingua che lappa è una vera e propria sinfonia. 
La bestia è salva. Una favola a lieto fine: bello il cane, belli i detenuti, belli i capelli del ragazzo che con il suo bacio gli ha ridato la vita. 
Non è possibile credere che l’uomo sia l’unica meta della creazione e che tutto l’universo sia stato ideato per noi. 
Così il Cristianesimo ha spesso dimenticato la natura. 
Molti Santi hanno dedicato la loro esistenza al soccorso dei poveri e degli ammalati: compito degnissimo. 
Soltanto San Francesco e qualche eremita hanno dedicato la propria vita a salvare una fonte, un albero o a proteggere qualche animale: compito non meno degno.

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21 Febbraio 2012 


Ottusità del regolamento penitenziario 

Mentre in Parlamento si discute di provvedimenti svuota carceri impavidi ed inefficaci, senza il coraggio di proporre un’amnistia ed un indulto, resta in vigore un regolamento penitenziario ottuso e retrogrado che, a costo zero, potrebbe essere modificato, migliorando la vivibilità dei penitenziari nei quali attualmente (sono parole del presidente Napolitano) i detenuti sono costretti ad espiare una pena doppia. 
Voglio citare pochi significativi esempi: è vietato possedere carte da gioco francesi (siamo autarchici), ricevere libri con copertina rigida, avere un orologio non ispezionabile, indossare una cravatta e centinaia di altri divieti, tra il ridicolo e l’anacronistico. 
Nel mio caso, senza redigere alcun verbale, è stato sequestrato un orologio donatomi dal cappellano e che mi necessitava per assumere negli orari precisi i 12 farmaci che ogni giorno debbo assumere per le mie gravi condizioni di salute. 
Ma il colmo credo si sia raggiunto quando ad un ex senatore, oggi ospite dello Stato, è stato sequestrato un libro con copertina rigida, consegnatogli personalmente da un onorevole, già ministro di Grazia e Giustizia. 
Si potrebbe parlare all’infinito, ma vorrei concludere sul problema delle telefonate. 
L’unico rimedio che conosco per combattere la sofferenza, la solitudine, la malinconia è rimanere in contatto costante con i propri familiari. 
Aumentare il numero e la durata dei colloqui richiede ambienti e personale che mancano, ma 10 minuti di telefonata alla settimana mi sembrano un limite inutilmente severo, tenendo presente che in tutta Europa i detenuti sono liberi (naturalmente a proprie spese) di fare tutte le telefonate che desiderano.


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25 Febbraio 2012

Rebibbia Uber Alles: Trionfa al festival di Berlino il film dei fratelli Taviani 

Il penitenziario del carcere di Rebibbia è da alcuni mesi al centro dell'attenzione dei mass media internazionali. 
Prima la visita del Pontefice, il quale, in occasione delle festività natalizie, non si è dimenticato di andare a visitare le sue pecorelle smarrite; ieri il trionfo, dopo oltre venti anni, al prestigioso festival di Berlino del film documentario dei fratelli Taviani, interamente girato nel carcere romano, con i detenuti che mettono in scena il "Giulio Cesare" di Shakespeare. 
Una pellicola che non vuole compiacere il gusto del pubblico, ma in tende scuotere le nostre certezze morali e civili, puntando l'indice sul disastro del nostro sistema penitenziario, dove la dignità umana viene calpestata ogni giorno, trasformando esseri umani, pur colpevoli di efferati delitti, in automi disarticolati, in pallidi ectoplasmi, a volte in marionette impazzite. 
Il pubblico applaude con entusiasmo, ma molti hanno le lacrime agli occhi, al pensiero che i bravissimi attori: Cosimo, Salvatore, Fabio, Giovanni, Antonio, Vincenzo e Gennaro non sono presenti, rinchiusi nella solitudine delle loro celle. 
Le scene sono state girate all'interno del reparto di massima sicurezza, nelle celle, nei cortili angusti e claustrofobici che costituiscono l'universo desolante di persone, le quali a contatto con le parole immortali del grande genio, hanno conosciuto una nuova dimensione provocando dirompenti emozioni. 
Il film parla di intrighi, tradimenti, morte, uomini d'onore, una terminologia familiare per chi vive nel braccio di massima sicurezza e per chi è condannato per omicidio, mafia, criminalità organizzata. Comincia a colori con il finale del "Giulio Cesare", per proseguire poi con un livido bianco e nero. 
L'energia della narrazione vive nello stridente contrasto tra i silenzi delle celle e la forza straripante della rappresentazione teatrale, con la struggente malinconia, alla fine dello spettacolo, del ritorno alla desolante realtà della reclusione. 
Si tratta di un riconoscimento che, oltre a gettare di nuovo luce su un tema di scottante attualità, come la drammatica situazione in cui versa il nostro sistema carcerario, costituisce un plauso ai tanti volontari, che tentano con ogni mezzo anche attraverso l'arte ed il teatro, il recupero di tante vite difficili. 
Il film è stato già visto in mezzo mondo, dalla Francia all'Inghilterra, dal Brasile all'Australia, fino addirittura alla Norvegia ed all'Iran e siamo certi che sarà accolto con interesse anche dal pubblico italiano.


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15 Febbraio 2012

Lettera aperta al Ministro Severino 

Gentile signora Severino, 
sono napoletano come Lei, medico e scrittore attualmente detenuto nel carcere di Rebibbia, ed ho molto apprezzato il Suo toccante discorso in occasione della visita del Santo Padre, per cui desidero ringraziarLa, anche a nome dei miei compagni di sventura. 
Lei non ha potuto vedermi, perché la mia domanda (cattiva), per quanto condivisa dai cappellani, è stata censurata dalla segreteria del Pontefice. 
In ogni caso è stata pubblicata da numerosi quotidiani sotto forma di lettera al direttore: 
«Colgo l’occasione per sottoporLe una mia proposta che,nonostante abbia prospettato da tempo alla direzione, non ha finora ricevuto risposta. Ho la fortuna che mia figlia e mio genero siano commissari europei e, dopo aver consultato tutti i presidenti delle commissioni, mi hanno assicurato, in tempi brevissimi, la disponibilità di 100.000 euro per una o più iniziative a favore dei reclusi di Rebibbia. 
Il mio sogno è che si possa permettere-a costo zero- l’opportunità di ricevere ed inviare mail a parenti ed amici,grazie al finanziamento della Comunità Europea. 
Naturalmente la posta elettronica in arrivo ed in partenza,a differenza di quella tradizionale che gode della segretezza, potrebbe avere un filtro censorio .Rimanere in contatto costante con i propri cari è l’unico rimedio che conosco per sopportare la sofferenza, la solitudine,Se non la malinconia. 
si ha l’energia per la realizzazione di un’iniziativa del genere,che ci porrebbe una volta tanto all’avanguardia in Europa, avanzo una seconda proposta: quella d’invitare i maggiori esperti internazionali del settore a tenere un ciclo d conferenze sulle metodiche più avanzate per meglio tollerare la detenzione, dall’ipnosi alla meditazione trascendentale, senza alcuna preclusione (ricorda la signora Ministra la scena relativa di Arancia meccanica?) e raccogliere poi i risultati in un volume da diffondere presso gli istituti di pena di tutto il mondo. Attualmente ho constatato che l’unica tecnica ampiamente attuata consiste nell’uso generoso di psicofarmaci, sconfinante nell’abuso,che trasforma i detenuti in pallidi ectoplasmi, in automi, molto spesso in marionette impazzite. 
Non mi dilungo, gentile signora,ma sarei onorato di un Suo riscontro

Pubblicata L'UNITA' di DOMENICA 22 GENNAIO 2012 


per dovere di cronaca, questa era la domanda censurata rivolta al Papa benedetto XVI in visita a rebibbia: «Santità, Lei pensa che i nostri governanti, che ci costringono a vivere stipati in celle di 15 mq in 6, ma altrove anche in 8 e in 16, mentre le norme europee prevedono che un maiale abbia a disposizione 10 mq, saranno condannati alle pene dell’inferno?»


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13 Febbraio 2012

Musica in libertà a Rebibbia : “L’ombroso” una band da schianto 

Il reparto G8 di Rebibbia costituisce il fiore all’occhiello del penitenziario per le numerose attività che vi si svolgono: da un corso di giornalismo ad un gruppo universitario, che frequenta la facoltà di Giurisprudenza, ad una sezione molto attiva di Lega Ambiente, fino ad una compagnia di attori che allestisce spettacoli teatrali. 
Ma l’attività più “rumorosa” è senza dubbio quella di un gruppo musicale alla quale spesso partecipa in prima persona anche uno degli educatori: il dottor Del Curatolo, persona umanissima ed appassionata, che vuole condividere con i suoi assistiti le note e l’atmosfera di sana allegria. 
Ai detenuti bastano delle botti di legno percosse veementemente con nodosi bastoni per far sentire subito il rumore cupo e fragoroso, che devasta il cuore delle foreste africane, sono sufficienti pochi strumenti a corda per percepire le emozioni di Siviglia o di Barcellona, poche note dolenti di sax per aprire squarci poderosi sulla musica di oltre oceano dell’ultimo secolo. 
Essa sa esprimere in egual misura l’amore e le passioni, ma anche l’indignazione e la rabbia attraverso una fontana di suoni, ora sussurrati ora gridati, in un immenso quanto sconvolgente geyser di emozioni canore. 
Nel tempo varie band si sono alternate, perché fortunatamente qualche componente torna libero, ma viene subito sostituito, perché sono in tanti coloro che vogliono associarsi alla combriccola, che viene guidata da Andrea, un musicista professionista, che funge da volontario e coordina le varie iniziative in campo musicale. 
I partecipanti sono Giovanni ed Emiliano alla batteria; Salvatore, che si alterna tra basso e chitarra, oltre a cantare in maniera mirabile; Francesco alle percussioni; il dottor Del Curatolo, il quale è un abile chitarrista e Paolo, cantante e valido alle tastiere in egual maniera. 
Il gruppo si è esibito più volte nella Festa della Musica, una manifestazione organizzata da Lega Ambiente nell’area verde, ma il sogno è di potersi esibire nel teatro del penitenziario davanti a tutti i compagni di sventura degli altri reparti; un sogno che, grazie alla sensibilità della direzione, sono certo diverrà presto realtà. 
Tra le mura di Rebibbia di recente i fratelli Taviani hanno girato un film che sarà fra poco presentato al Festival di Berlino, nel quale vi era uno spazio anche per la musica.


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7 Febbraio 2012

Lettera di uno scrittore al suo editore 

Caro vecchio amico, 
sto leggendo con avidità i libri che gentilmente mi hai fatto pervenire, in parte aiutato da un architetto, anche lui detenuto e che assieme al senatore Cuffaro costituisce l’esiguo gruppetto di detenuti ospiti di Rebibbia; 3 su 2000 reclusi, in possesso di una laurea. 
Ho da poco completato la lettura di “Per amare Napoli” di Renato Nicolini, di cui conto a breve di pubblicare una recensione sulla riviste letterarie alle quali collaboro. 
Il volume mi ha particolarmente colpito, non solo per l’amore sviscerato di un non napoletano verso Napoli, la nostra amata città, ma soprattutto per lo stile fluido ed accattivante e per l’eleganza del dettato. 
Conto quanto prima di rileggerlo, perché alcune considerazioni mi hanno indotto a riflettere sulle tante problematiche che affliggono una gloriosa ed antica capitale, ridotta al ruolo di capitale della monnezza e della criminalità. 
Il mio reparto, il 68, è il fiore all’occhiello del penitenziario, diretto da un’illuminata direttrice e molte sono le iniziative che si svolgono, dalla musica ad un corso di giornalismo, fino ad una piccola elite, che segue il corso di laurea in giurisprudenza, al quale anche io mi sono iscritto, giusto per conseguire la mia quinta laurea. 
Quasi tutti lavorano come cucinieri, porta vitto, scopini, piantoni, portapacchi, fabbri, elettricisti, idraulici, pagati con stipendi cinesi. Se per qualche giorno decidessero di scioperare, tutto si fermerebbe. 
Molti sono gli ergastolani, gli assassini, i trafficanti internazionali di droga, ma sembrano pecorelle smarrite anche se non redente. 
Vi è anche una delle ultime Brigate Rosse ancora in circolazione, un cervellone, che ha creduto e crede ancora, in determinati momenti della storia della necessità di passare alla rivolta armata. 
Abbiamo animate discussioni, come pure ho frequenti scambi d’idee con i seminaristi sulla presenza del male nel mondo ed ho messo i dubbio in alcuni di loro la loro fede, non sempre incrollabile. 
Non voglio dilungarmi, ma vorrei tornare sulla proposta che ti ho avanzato nella precedente lettera, di editare il mio “Napoli e la napoletanità nella storia e nell’arte”. 
L’educatore che mi segue mi ha assicurato che potrò presentarlo in pubblico alla Feltrinelli anche se scortato; immagina il battage pubblicitario che si potrebbe imbastire sulla vicenda: il pericoloso intellettuale che può esprimere le sue idee, anche se in manette. 
Pensaci e fammi sapere.


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31 Gennaio 2012

IL PECCATO DELLA LIBERTÀ DI PAROLA: Ne uccide più la penna che la spada 

Il peccato originale per l’uomo non è consistito certamente nell’aver assaporato le gioie del sesso, bensì nella volontà di accedere alla conoscenza e soprattutto attivarsi alla sua diffusione. 
Un acuto pensatore riesce a leggere il futuro prima dei suoi contemporanei, non ha timore di scontrarsi con la morale corrente e con il potere ed invita perentoriamente ad infrangere le regole della tradizione, senza preoccuparsi delle conseguenze personali. 
Il pensiero non conosce alcun limite, né quello delle sbarre di una cella, da dove può espandersi fecondando ed influenzando l’opinione pubblica, né la prigione di un corpo paralizzato come nel caso del grande scienziato Hawking, che da cinquanta anni, costretto su una sedia a rotelle, grazie ad un computer collegato ad un sintetizzatore vocale, ha stravolto con le sue idee i confini della fisica moderna. 
Senza la scintilla del pensiero la nostra esistenza non avrebbe alcun significato: un succedersi di eventi senza senso: nascere, diventare adulti, avere un carattere, dei sentimenti, lavorare, essere ricchi o poveri, avere una famiglia e degli amici, avvertire vagamente il tempo e lo spazio e morire senza lasciare traccia del proprio passaggio sulla terra. 
La conoscenza si trasmetteva in passato esclusivamente attraverso i libri, i quali come i fiumi rendevano ubertosa la terra, rappresentavano le fonti primigenie della saggezza, permettendo alla mente di spingersi in un abisso senza fondo. 
Oggi, sempre più frequentemente, la verità cammina su Internet e per un blog si può essere uccisi nel più atroce dei modi: con la testa mozzata, messa dentro un sacco e lasciata davanti ad una scuola con accanto, affinché il messaggio risultasse ancor più minaccioso ed ammonitore, una tastiera di computer. 
È quanto è accaduto ad una giovane blogger messicana, che si firmava “La ragazza di Laredo”, perché da lì conduceva la sua battaglia contro i narcotrafficanti, la cui potenza economica ha da tempo ammansito gran parte della stampa e le televisioni locali. Ma il sacrificio di questa ignota ragazza, di questa eroina dei nostri tempi, ha scatenato la furia dei blogger, che sono aumentati di numero ed hanno trovato il coraggio di denunciare questi ignobili commerci e la corruzione dilagante. 
La forza delle parole e del raziocinio non si fa imbrigliare dalle ferree regole delle leggi o dall’etica corrente, né rispetta i rigidi dettami delle religioni. Spesso l’ateismo è una manifestazione del libero pensiero, con l’uomo che si fa arbitro e giudice delle sue azioni, emancipandosi di fatto da ogni ipoteca soprannaturale. 
Talune volte la forza dell’intelletto attira su di sé un fascino irresistibile, che lo trasforma in un grande seduttore, di menti come di gonnelle, una sorta di Don Giovanni, come tutti quelli immortali, creati dalla fervida fantasia di scrittori di ogni epoca, da quello di Tirso de Molina a quello di Molière, fino all’eroe trasfuso in pura lirica da Mozart. 
Sempre in anticipo sui loro tempi, come capita anche ai nostri giorni assediati dai fantasmi di rozzi integralismi religiosi ed etici, che mostrano la forza liberticida di un oscurantismo, che non risparmiano neanche l’Occidente, dove le grandi conquiste liberali sono insidiate da un bigottismo ipocrita ed opportunista.


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11 Gennaio 2012

Gentile direttore "della Stampa" 
mi permetta di replicare all’autore dell’editoriale dei lettori comparso sabato 7 gennaio, intitolato: “Altro che amnistia”, che viceversa intitolerei: ”Amnistia necesse est”. 
Le due soluzioni prospettate come risolutive dall’ingenuo collega sono pura chimera, per risolvere il drammatico problema del sovraffollamento nelle carceri, divenuto oramai intollerabile, il quale, oltre a costituire un record di cui vergognarsi tra i paesi europei, ci accomuna tristemente a quelle nazioni, in cui i diritti umani valgono meno che carta straccia. Rimandare in patria i detenuti stranieri, che hanno commesso reati in Italia, non è compatibile con l’autorità di uno stato straniero e ad eccezione dei cittadini europei in primis Romeni, per i quali esiste una convenzione tra gli stati membri, le nostre galere debordano per la presenza di Africani e Sudamericani, Albanesi ed Ucraini. 
Riguardo a far lavorare gli ospiti delle prigioni per ripagarsi le spese di vitto e alloggio, che ammontano a ben più di 250 euro al giorno, ciò avviene già e da tempo. Gli istituti di pena cesserebbero di colpo di funzionare, se si fermassero le migliaia di spesini, portavivande, cucinieri, addetti alle pulizie, al cambio delle lenzuola e ad una infinità di altre mansioni, pagati con stipendi “cinesi”, poco più di cento euro al mese, al netto delle trattenute. 
Quando uno stato non è in grado di amministrare una sua funzione fondamentale, ignorando spudoratamente rieducazione e reinserimento come sancito solennemente dalla nostra Costituzione e tenendo stipate come bestie in celle di 15mq 6-8 a volte anche 16 esseri umani, quando le normative internazionali prevedono che un maiale abbia diritto a 10mq, non resta che abdicare, promulgando un indulto, che riducendo la pena produca i suoi effetti per anni ed un’amnistia in grado di rimettere in funzione di nuovo i tribunali, ingolfati da decine di migliaia di procedimenti destinati in gran parte alla prescrizione.


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10 Gennaio 2012

Il colloquio dei prigionieri con i parenti 

In passato i pirati permettevano ai familiari di riscattare i prigionieri, pagando una notevole somma di denaro ed a testimoniare questa antica consuetudine a Napoli, nel centro storico esiste ancora una chiesa, chiamata del “La redenzione dei captivi”, intendendo naturalmente per captivi non certo i bambini cattivi che rubano la marmellata di nascosto dai genitori, bensì la parola latina che indicava i prigionieri. Oggi invece i pirati condannano tutti coloro che catturano a pene diverse, a secondo dell’impegno con cui hanno partecipato alla battaglia, ma permettono ai loro parenti di incontrarli poche volte al mese per un’ora. I colloqui con i parenti sono un conforto molto importante, perché, anche se per una manciata di minuti, si possono toccare le mani delle persone care, scambiarsi confidenze, piangere assieme. 
Purtroppo bisogna affrontare una doppia via crucis: dentro, per i prigionieri, attese interminabili tutti stipati in camere di sicurezza stracolme, mentre all’esterno i parenti fanno file massacranti di ore, sotto il sole e sotto l’acqua, senza un briciolo di pietà per bambini, malati ed anziani. 
Fuori al portone alcuni si presentano alle quattro del mattino per essere tra i primi e non perdere interamente una giornata di lavoro. 
La fila si snoda senza alcun controllo per cui è facile per i prepotenti scavalcare i più deboli o lo scatenarsi di risse e sono ben pochi quelli che cedono il passo a vecchi che si trascinano con un bastone o a donne con un bambino in braccio. 
Ho assistito a scene di una cattiveria indescrivibile, come quando i guardiani hanno sequestrato un rudimentale pupazzetto di pezza ad un prigioniero, il quale dopo aver lavorato una settimana per realizzarlo, lo voleva regalare al suo figlioletto. Mi ha commosso anche vedere una zingarella di 9-10 anni accompagnare da sola i due fratellini per fare visita al padre.


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10 Gennaio 2012

Piena integrazione 

Il problema dell’integrazione tra Italiani ed il fiume di stranieri che, anno dopo anno, sempre più affluiscono nel nostro paese, in un solo luogo ha trovato piena applicazione : nei penitenziari, soprattutto delle grandi città : Roma, Napoli, Milano, nei quali oramai “gli alieni “ (ma sono nostri fratelli) costituiscono la maggioranza. 
Nel buio delle celle vigono regole di solidarietà sconosciute nel mondo esterno, cosiddetto civile e tutti si considerano membri di una grande famiglia, chi non conosce la nostra lingua la impara in fretta, acquisendo anche la cadenza dialettale locale. 
Un esempio virtuoso di cui tenere conto e da perseguire, perché non si può andare contro il corso della storia, Noi abbiamo bisogno della loro energia e voglia di conquistare il benessere ed è una fortuna non una calamità, che molti scelgono l’Italia, antica terra di emigrazione, divenuta oggi per tanti la Terra promessa.


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29 Dicembre 2011

La domanda di Albertone al Papa 

Il 18 dicembre in occasione della visita del Papa al carcere di Rebibbia gli è stata letta da un detenuto, conosciuto come Albertone il gladiatore, questa domanda: “Santità, Lei pensa che i nostri governanti che ci costringono a vivere in 6, ma anche in 8 e 16 in celle di 15 mq., mentre le normative europee prevedono che per un maiale vi siano 10 mq. a disposizione, saranno condannati alle pene dell’inferno?”. Non essendo stato presente all’incontro mi sarebbe piaciuto ascoltare la risposta del Santo Padre.


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11 Dicembre 2011

Intervista di Mirko Locatelli 

Fu individuato attraverso l'analisi dei dati di traffico registrati su un suo blog privato e sulla sua casella di posta elettronica, eseguiti con la collaborazione del Servizio Centrale di Polizia Scientifica. E quando gli agenti della squadra mobile napoletana lo arrestarono in una via di Roma e lo trasferirono a Rebibbia, il dottor Achille della Ragione si lasciò ammanettare senza tanti
problemi. Il noto professionista di Posillipo si era sottratto a una dura condanna: 10 anni di carcere per aborto clandestino. Coinvolto in un caso clamoroso nato dalla denuncia di una donna che aveva abortito senza la sua volontà, lui si è sempre difeso sostenendo una ben diversa versione dei fatti. Ma la sentenza gli ha dato torto e, dopo tre gradi di giudizio, è diventata esecutiva. Dopo quella sentenza, che è del 2008, lui si era allontanato da Napoli facendo perdere le sue tracce. Fino al giorno della cattura in un internet point della capitale. 
Il 4 ottobre scorso il ginecologo è entrato nel carcere romano che pesava 102 kg. Oggi, dopo 65 giorni di detenzione, ne pesa 93. La barba che presentava solo qualche ciuffo bianco si è di colpo incanutita. Due profonde occhiaie solcano il suo volto ed ha ancora addosso i pochi vestiti usati fornitigli dalla Caritas, al punto che tutti, nei primi giorni da recluso, lo avevano scambiato per un barbone. 
E poi com’è andata? 
«Piano piano prima gli assistenti (guai a chiamarli secondini) e poi tutti gli altri, leggendo le mie lettere pubblicate sui quotidiani hanno imparato a conoscermi per quello che sono: un uomo mite, che cerca di mettere a disposizione degli altri le proprie conoscenze, scrivendo lettere e poesie ai parenti, dettando istanze e dando consigli utili a tutti». 
Ma dove si era nascosto, da latitante, durante questi tre anni? 
«In verità avevo seguito alla lettera il parere del mio avvocato, al quale non era stato mai notificato il decreto di latitanza. Io risultavo semplicemente irreperibile ed anche un amico questore mi aveva confermato che non esisteva nessun mandato di cattura nei miei confronti. Al punto che per oltre un anno sono stato consultato frequentemente dal Nucleo centrale dei carabinieri per la Tutela del 
patrimonio artistico, il quale mi inviava via email le foto dei quadri rubati e recuperati presso antiquari e ricettatori ed io più volte sono riuscito ad individuare la chiesa dalla quale erano stati trafugati». 
Roba da non credere… 
«Invece è così. Anzi non è tutto. L’Ordine generale degli Agostiniani mi ha dato incarico di collaborare, stilando decine di schede per due ponderosi volumi agiografici su San Nicola da Tolentino e Santa Chiara da Montefalco». 
E come passava il tempo mentre era ricercato? 
«In maniera proficua. Ho tenuto a Roma un ciclo di lezioni di Storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti e conferenze magistrali sulla pittura napoletana del Seicento alla Sorbona di Parigi, all’Istituto “Amatler” di Barcellona e presso la “Witt Library” di Londra. Nello stesso tempo ho pubblicato una ventina di libri ed ho visto le mie lettere ed i miei scritti sui più svariati argomenti pubblicati sui principali quotidiani cartacei e telematici». 
E l’impatto con la realtà carceraria? 
«No, non è stato per me una novità. Avevo già conosciuto purtroppo i gironi danteschi di Poggioreale, la cui esperienza ho trasfuso nel mio libro ”Le tribolazioni di un innocente”, da tempo esaurito, ma consultabile sul web digitandone il titolo. Rebibbia rispetto all’inferno di Poggioreale è un tollerabile purgatorio, potremmo addirittura parlare di un albergo, anche se di infima categoria». 
In cosa è diverso Rebibbia da Poggioreale? 
«Gli spazi di Rebibbia sono più ampi, 
le celle al massimo contengono sei detenuti e si può sopravvivere più decorosamente. Anche per i familiari la via crucis per poter incontrare i propri cari è meno tortuosa: in genere una-due ore di attesa al coperto, rispetto alle cinque-sei ore di Napoli. Nessuno però fa andare avanti nella fila un invalido o una mamma con un bambino tra le braccia, una carognata inconcepibile all’ombra del Vesuvio. Anche tra i detenuti le ferree regole di rispetto per gli anziani, per i deboli e per i malati, non sono rispettate: lo posso testimoniare». 
E ora come vede il suo futuro? 
«Al momento lo vedo offuscato da nubi minacciose, ma spero che Dio, il quale ha fatto capolino nel mio cuore, mi dia la forza di resistere. Ho speranza anche nel mio ricorso alla Corte suprema di Strasburgo, che fra poco dovrebbe andare in discussione, ed in un eventuale revisione del 
processo». 
Quali potrebbero essere i nuovi elementi da portare ai giudici? 
«La donna che mi ha ingiustamente accusato mi ha più volte contattato, tramite internet, dichiarandosi pentita del grave danno arrecatomi. La sua vera intenzione non era quella di colpire me: voleva solo danneggiare il suo amante che, secondo lei, negli anni le aveva ripetutamente promesso di lasciare la moglie, cosa invece mai avvenuta».

intervista pubblicata su IL ROMA del 5 settembre 2012

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29 Dicembre 2011

Il presepe del carcere di Rebibbia 

Il presepe con il suo messaggio di pace e di buona novella rappresenta il momento culminante dell’amore di Giuseppe e Maria verso il loro fragile figlioletto destinato in breve a cambiare il mondo e la tradizione di fabbricarlo risale alla fine del ‘400 per raggiungere il suo fulgore nel ‘700 a Napoli, quando alla sua creazione concorsero veri e propri artisti, impegnati a forgiare le figurine che ne animano lo scenario. 
E’ triste constatare come abbiamo trasformato il Natale da momento magico di letizia in un rito di massa, con grandi mangiate e smodate libagioni, acquisti sfrenati ed un’idolatrica prostrazione al Dio Denaro. 
Bisogna approfittare di questi giorni in cui studio e lavoro presentano una pausa per riunire le famiglie, sempre più spesso separate, per santificare la festa. 
Ogni anno i detenuti di Rebibbia preparano con impegno un grande presepe e siamo certi che senza dubbio Ninno, vedendolo, alla domanda “Te piace ‘o presepe?”, avrebbe risposto a Lucariello “Me piace assai”. 
Il Natale dei detenuti di Rebibbia naturalmente è ben diverso da quello che si respira vicino ai propri familiari, ma la fede e la visita del Papa daranno loro la forza di trasformarci, tutti uniti, nella più grande famiglia del mondo, superando così, in un giorno di letizia la tristezza, la malinconia, la solitudine.


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20 Dicembre 2011

REBIBBIA 

ogni cella è occupata da sei prigionieri, che trascorrono gran parte della giornata come belve in gabbia. La mattina gli sventurati possono trascorrere qualche ora in alcuni cortili all’aperto, dove passeggiare e scambiare una parola con prigionieri di altri reparti. Vi è anche all’esterno un campo di calcio, un campo da tennis, che può pure trasformarsi per giocare a palla a volo, in maniera tale che i più giovani possano sfogare la loro rabbia e scaricare le energie represse. Per i più vecchi vi è soltanto la possibilità di passeggiare. Il pomeriggio si può di nuovo uscire per qualche ora dalle celle, percorrendo però soltanto il corridoio e fare amicizia con altri prigionieri. C’è pure una sala dove giocare a pingpong. 
Il cibo che viene servito è di qualità scadente, spesso avariato, a tal punto che viene rifiutato perfino dagli animali, piccioni e gatti che vivono nei prati, ma per sopravvivere bisogna adattarsi e fare buon viso e cattivo gioco. 
Ad alcuni prigionieri è permesso di lavorare: coltivare la terra, cucinare, portare il cibo, lavare il pavimento dei corridoi, raccogliere la spazzatura. L’assistenza medica è approssimativa, i farmaci scarseggiano e per chi è vecchio e malato, come nonno Achille, la situazione è drammatica. 
Le giornate non passano mai e scorrono tutte uguali. La tristezza, la malinconia, la solitudine dominano incontrastate. 
Quando piove non si può uscire dalle celle, fortunatamente spesso vi è il sole, che, oltre a riscaldare i corpi, infonde un certo benessere. 
Nel cielo volano dei gabbiani. Come sono felici loro che possono andare dove vogliono! 
Quante volte nonno Achille li ha invidiati! Avrebbe volentieri scambiato tutte le sue ricchezze per poter divenire uno di loro e spiccare il volo verso la libertà. 
Nella fortezza di Rebibbia sono ammassati prigionieri provenienti da luoghi diversi e si parlano tante lingue, ma la solidarietà regna sovrana: ognuno divide quel poco che possiede con gli altri. Si tratta di una regola non scritta, alla quale nessuno trasgredisce. 
Poco alla volta si costituisce una grande famiglia. 
Se all’esterno ci fosse la solidarietà che si respira in quel luogo, il mondo sarebbe più buono e più degno di essere vissuto.


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3 Dicembre 2011

"Pena di morte? No suicidio di Stato!" 

In Italia non esiste la pena di morte, non siamo mica gli Stati Uniti o la Cina, siamo un paese civile. 
Da noi però i detenuti, per le mostruose condizioni di sovraffollamento, denunciate solennemente dallo stesso 
Presidente Napolitano, sono costretti a vivere stipati come bestie e da tempo nei penitenziari si è diffusa una micidiale 
epidemia, con una cadenza di suicidi impressionante. 
Speriamo che il nuovo governo, invece di varare con assoluta urgenza adeguati provvedimenti, non pensi che il problema 
si risolva spontaneamente grazie a questa catena di suicidi forzati, ben più esecrabile della pena di morte.


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12 Dicembre 2011

Il Papa visita i gironi infernali 

Il 18 dicembre il Papa si recherà nel carcere di Rebibbia a celebrare la Santa Messa ed ad ascoltare, reparto per reparto, le esigenze dei detenuti. 
Un gesto nobile e carico di significato simbolico, a pochi giorni dal Natale che darà agli ultimi tra gli ultimi la forza si sopportare la sofferenza di trascorrere il giorno più lieto dell’anno nella solitudine e nella tristezza, lontano dai propri cari. Nelle sue ultime encicliche il Papa ha saputo parlare con estrema saggezza non solo ai credenti ma anche a tutti gli uomini di buona volontà e la sua visita non può essere vista solo nel quadro della sua missione di Pastore, il quale ha a cuore le sue pecorelle smarrite, bensì si carica di pregnanti significati simbolici. 
Sicuro di interpretare le richieste di tutti i compagni di pena, anche se non sarò io ad avere il privilegio di parlargli, vorrei semplicemente dirgli: “Santità, le sue preghiere sono ben più potenti delle nostre. Faccia che l’infallibile Giustizia Divina illumini quella terrestre, spesso fallace, e che la sua invocazione venga ascoltata non solo nell’alto dei Cieli ma anche nelle sorde e grigie aule del Parlamento, il quale, pur preso da pressanti problemi di natura economica, trovi il tempo e la volontà di varare al più presto un improcrastinabile provvedimento di clemenza, che permetterà di sfollare le carceri e di restituire ai detenuti, ridotti al rango di bestie, la dignità di uomini.


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26 Novembre 2011

Roberto e la gattina Chicca 

C’era una volta… 
Roberto, uno dei tanti sfortunati che deve trascorrere ancora molti anni in prigione per pagare il suo debito con la società. Passa alcune ore come lavorante, un modo per far trascorrere il tempo, ma soprattutto per rendersi utile nei riguardi dei suoi compagni di sventura. Gode però di un impagabile privilegio, come è consuetudine per i pochi detenuti che svolgono attività lavorativa, puo’ usufruire di una cameretta di pochi metri quadrati, dove dorme da solo, anzi in compagnia, perché con lui vive una graziosa gattina nera: Chicca che di giorno, nelle ore d’aria, porta all’aperto, conducendola con un rudimentale guinzaglio di stoffa colorata. Chicca è stata raccolta nei prati contigui dove si trovano numerosi gatti, che sopravvivono grazie alla generosità di chi getta loro avanzi di cibo. Sui prati attorno alle celle svolazzano centinaia di colombi, ai quali, un anziano detenuto, con spirito francescano e tra gli sberleffi di tutti, getta il pane raffermo, che normalmente viene gettato nella spazzatura. I piccioni accorrono a centinaia e bisogna spezzare il pane in tanti piccoli pezzettini, altrimenti i più forti ed i più prepotenti mangerebbero tutto e molti rimarrebbero digiuni. Anche ai gatti, distribuendo avanzi di carne e di pesce, provvede l’anziano signore, che molti familiarmente chiamano Zio, nonostante sia nonno di tre bellissimi nipotini, mentre tutti gli altri si rivolgono a lui con il titolo di professore, perché è l’unico laureato e mette generosamente la sua cultura a disposizione di chiunque si rivolga a lui, scrivendo lettere, poesie, fornendo consigli legali e compilando i tanti moduli che un’asfissiante burocrazia richiede per ogni necessità. Tenere con se un animale è naturalmente vietato dai regolamenti, ma anche gli agenti penitenziari hanno un cuore e chiudono entrambi gli occhi, fingendo di non vedere Roberto che passeggia tranquillamente con la sua gattina. La sera la fa accucciare ai piedi della sua brandina, dopo averla a lungo accarezzata e si addormenta felice. Roberto non ha parenti che vengono a fargli visita, la sua famiglia lo ha abbandonato e l’unico conforto è la compagnia di Chicca, il solo essere vivente che gli vuole bene. Egli è rassegnato, ma sereno. Come lo invidia quell’anziano signore dalla barba bianca, cosa pagherebbe se potesse anche lui la sera addormentarsi, come ha fatto per tanti anni, con Attila, steso su un piccolo tappetino persiano, il suo fedele rottweiler, il più affettuoso ed il più fedele amico dell’uomo

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23 Novembre 2011

MARIO MONTI 

Finalmente un governo tecnico incaricato di assumere provvedimenti poco graditi senza dover temere il giudizio degli elettori: patrimoniale,aumento dell'età in cui andare in pensione,una seria lotta all'evasione fiscale e tra questi,ormai indifferibile ed invocato anche dal nostro saggio Presidente Napolitano, un 'amnistia ed un indulto, che sfollino le carceri dove il sovraffollamento ha creato condizioni di invivibilità che nemmeno Dante ha immaginato per i suoi gironi infernali. i detenuti non sono bestie e con i lori amici e parenti pregano che un tale provvedimento venga varato, e sono tanti, tutti gli uomini di buona volontà

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19 Novembre 2011

villaggio globale 

Oggi viviamo in un villaggio globale. Le informazioni circolano in tempo reale dovunque, anche nel terzo mondo. I nostri penitenziari però appartengono purtroppo al quarto mondo. 
Tra i provvedimenti a costo zero, che migliorerebbero sensibilmente la vita dei detenuti, vi potrebbe essere la possibilità di ricevere ed inviare mail a parenti ed amici. 
I telegrammi costano tanto (ben pochi possono permetterseli) ed arrivano dopo giorni. I colloqui sono per molti impossibili. Pensiamo agli stranieri, che costituiscono oramai il 40% della popolazione carceraria e sono in continuo aumento, i quali non vedono per anni un familiare, mentre con Skype potrebbero vedere i loro volti. Naturalmente la posta elettronica in arrivo ed in partenza (a differenza di quella tradizionale) potrebbe avere il filtro di uno scrivano. 
Quante volte vi è la necessità improcrastinabile di contattare un legale o si vive nell’angoscia per un familiare gravemente ammalato? 
Senza sognare amnistie o indulti ogni detenuto potrebbe rimanere in contatto con i propri cari, l’unico rimedio veramente efficace che conosco per sopportare la solitudine e la sofferenza.


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18 Novembre 2011

L’amore, è quel sentimento misterioso e sublime, il più bel dono che ci ha fatto il Creatore, il quale può sfidare la caducità della materia e durare in eterno. 
Vorrei rendere nota ai lettori la mia esperienza. 
Ho avuto la fortuna di incontrare una donna unica Elvira e da 40 anni condividiamo la buona e la cattiva sorte, osservando scrupolosamente la promessa che ci scambiammo sull’altare. 
In passato ci sono state tante gioie: agiatezza economica, figli, nipoti, la salute, ma poi su di noi ha imperversato un destino avverso fatto di malattie e di traversie giudiziarie. Ma il nostro amore non ha conosciuto crisi: ieri presentazioni di libri a Montecitorio, la partecipazione attiva nel bel mondo della società e della cultura, oggi una ben diversa realtà. 
Ma Elvira non mi ha mai lasciato, né in sala di rianimazione, né oggi, che, ingiustamente condannato, sono costretto come un leone in gabbia, a trascorrere il resto dei miei giorni nel buio di una cella. 

Grazie all’amore e grazie ad Elvira.

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17 Novembre 2011

UN ATTO DI GENEROSITÁ

I detenuti sono tra gli emarginati gli ultimi tra gli ultimi. 
Privi di diritti ed oberati di doveri non conoscono però l’egoismo e dividono fraternamente tra loro il poco di cui dispongono anche se tutti li hanno dimenticati, dal Parlamento, impegnato in squallide beghe di potere e spesso addirittura dagli stessi familiari, loro non vogliono sentirsi inutili e se non possono lavorare, vogliono poter donare il loro sangue a chi ne ha urgente bisogno. 
E’ un sangue che si nutre quotidianamente di amarezza, ma che può divenire una dolce miscela in grado di salvare tanti malati. 
Ne ho parlato tra i detenuti di Rebibbia, raccogliendo decine di entusiastiche adesioni, ma credo fermamente che anche in tutti gli altri penitenziari italiani migliaia di giovani vigorosi sarebbero felici di poter regalare la vita, senza nulla chiedere in cambio.


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16 Novembre 2011

UNA BATTAGLIA DI CIVILTÁ 

Attorno al "Pianeta carcere " da sempre vige un silenzio assordante dei mass media e delle istituzioni. Inoltre, ed è l'aspetto più triste della vicenda, da parte dell'opinione pubblica vi è non solo disinteresse, ma la volontà pervicace di non interessarsi, di non sporcarsi le mani ed il cervello al contatto di problematiche che riguardano chi ha sbagliato ed ha contratto un debito verso la società. In tal modo si commette il grave errore di dimenticare una drammatica verità, costituita dal fatto che i 2/3 dei detenuti sono in attesa di giudizio - per cui, secondo la nostra Costituzione, innocenti - e, di questi, oltre il 60% sarà assolto alla fine del giudizio, naturalmente dopo essere stati annientati e con loro, i loro familiari. 
La vita dei carcerati è una realtà scottante, ma alla pari dell'eutanasia, dell'omosessualità, della follia, della droga, dell'aborto non interessa, in maniera trasversale, l'intera classe politica, perché non solo non procura voti, bensì fa perdere consensi non appena si accenna all'argomento. 
Il livello di civiltà e di democrazia di un Paese si valuta a seconda del modo in cui vengono trattati i più deboli e non esiste categoria più abbandonata e negletta della popolazione carceraria, privata non solo del bene più prezioso per un individuo: la libertà, ma costretta, per il disumano sovraffollamento delle nostre infernali "caienne", a subire una infinità di pene accessorie più varie, dalle violenze sessuali alla sporcizia obbligatoria, stipati come bestie in gabbia, fino a limiti allucinanti di 16 persone in una cella di 4 metri per 4, più una squallida ed angusta latrina per i bisogni corporali, per lavarsi e per lavare le stoviglie dopo i pasti. 
Napoli, come sempre, quando si tratta di record negativi è in testa alla classifica con il sovraffollamento da quarto mondo dei suoi penitenziari, al cui confronto i gironi infernali danteschi impallidiscono miseramente. 
Il carcere di Poggioreale, come riferito ufficialmente all'inaugurazione dell'anno giudiziario 2002 , può contenere al massimo 1276 detenuti, ma ne ha avuti in media 2199. Nel 2003, pur rimanendo invariata la capienza, abbiamo appreso che si è raggiunto il record di 2386 detenuti. Eureka!! 
In queste disperate condizioni,prive di qualsiasi dignità, naturalmente qualsiasi tentativo di recupero è mera utopia:diritto allo studio, al lavoro, ad un minimo spazio vitale rappresentano chimere irraggiungibili. 
E così ogni giorno si calpesta e si ignora sfacciatamente il terzo comma dell'articolo 27 della nostra Costituzione, il quale recita solennemente: 
"... le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". 
Inoltre, alle disperate condizioni di vita nei penitenziari si associano ulteriori disfunzioni, quali la esasperante lentezza con cui i giudici di sorveglianza esaminano le posizioni dei detenuti, che avrebbero diritto ad uscire dal carcere ed usufruire del regime di semilibertà. 
Anche tutti gli altri istituti di pena campani soffrono di condizioni di sovraffollamento più o meno gravi e di condizioni di vivibilità ai limiti dell'incubo. 
Un discorso a parte merita il famigerato "41bis", un regime di ulteriore grave restrizione delle libertà personali in aggiunta a tutte le limitazioni della carcerazione. Una normativa ignota negli altri Stati europei, che, applicata con severità, può sconfinare in un trattamento che nel diritto internazionale ha un nome ben preciso: tortura, anche se solo psicologica. 
Alla fine di questo angoscioso tunnel non si riesce ad intravedere che una luce fioca, la cui esiguità sembrerebbe togliere ogni speranza ai detenuti ed ogni desiderio di proseguire la lotta ai pochi uomini di buona volontà, che da tempo combattono, ad armi impari, contro inique ingiustizie. 
Una sola proposta che possa suonare da minaccia: cosa aspettiamo a portare lo Stato italiano davanti alle Corti di giustizia internazionali!?

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4 Novembre 2011

«Ho incontrato Dio in carcere. Dio è in ogni luogo e può raggiungere ed illuminare il cuore di un uomo in ogni momento, dovunque egli si trovi, anche nel buio di una cella, dimenticato da tutti se non dalla cattiva sorte. Posso testimoniarlo personalmente: sono un peccatore, non un delinquente e fino ad oggi ho creduto fermamente soltanto ad un Dio creatore ad una intelligenza suprema, che ha creato l’universo, dotandolo di leggi perfette. Mille dettagli ce lo confermano ogni giorno. 
Più difficile è credere ad un Dio misericordioso, perché ci capita spesso di osservare avvenimenti che riteniamo ingiusti, soprattutto quando ci toccano personalmente e noi ben sappiamo di essere innocenti, ma commettiamo l’errore di confondere la giustizia terrena, fallibile, con quella divina che lavora in tempi più lunghi. 
Oggi sono felice perché Dio non si è dimenticato di me, ha toccato il mio cuore e spero orienterà il mio futuro. 
Volevo riconciliarmi con lui,confessarmi e comunicarmi. 
Peccato che a Roma, sede millenaria del Papato, per assistere alla Messa, bisogna prenotarsi ed io, neofita, da poco ospite dello stato, non lo ero»

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4 Novembre 2011

Albertone il gladiatore, il gigante buono 

Albertone, al secolo Alberto Santarelli, non é un criminale spietato, come tanti che affollano le straripanti carceri italiane, bensì un bonaccione dal fisico Erculeo da fare invidia a Maciste, un giovane sfortunato che ha conosciuto la droga da ragazzo e, per procaciarsela, 
ha commesso reati sempre più gravi, partendo dal furto per arrivare alla rapina. 
É uscito ed entrato da galera ed ogni volta che tornava a casa la trovava sempre più vuota : sono infatti morti tragicamente prima il padre, poi il fratello, quindi la madre e le due sorelle. Era rimasto solo e disperato e si illudeva di trovare nella droga un conforto alla sua solitudine. Ha assunto di tutto, ma poi ha avuto la fortuna di trovare l’amore di una ragazza : Alessia, che ha saputo 
leggere nel suo cuore e lo ha incoraggiato di seguire un lungo e tormentato percorso di disintossicazione ormai completato. 
Oggi Albertone ha pagato il suo debito con la giustizia e non vede l’ora di tornare a casa, sopratutto perché Alessia, nel frattempo, gli ha fatto uno straordinario regalo : è nata Gaia, una bambina bellissima. 
Ed Albertone ha già un lavoro che lo aspetta : diventerà Spartaco, il prode gladiatore. Farà servizio al Colosseo dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00. Sono certo che ci sarà la fila tra le turiste, 
giovani ed attempate, per una bella foto ricordo tra le sue braccia possenti e molte, attratte dai suoi muscoli debordanti e dai suoi tatuaggi ubiquitari gli faranno, come le antiche matrone romane, 
proposte indecenti, offrendogli cifre considerevoli. Ma Albertone le rifiuterà, non tradirà mai Alessia, gli basterà guadagnare quel tanto per vivere onestamente e sarà un esempio per tanti ex-detenuti, che non vedono l’ora di tornare a delinquere, ripercorrendo un diabolico 
circolo vizioso, che non si spezzerà fino a quando lo Stato non capirà che le galere devono favorire il reinserimento sociale del detenuto e non essere più terrificanti palestre di malavita.


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4 Novembre 2011

AMNISTIA & INDULTO: QUALCHE PROPOSTA CONCRETA 

Si parla tanto di amnistia ed indulto, alimentando inutili speranze tra i 70000 detenuti, stipati come bestie nelle carceri, dimenticando il delicato momento politico con un governo che vive alla giornata, per cui è pura utopia sperare che si possa raggiungere in Parlamento la maggioranza qualificata necessaria a varare un provvedimento di clemenza. 
Si potrebbero invece svuotare rapidamente i penitenziari attraverso una legge ordinaria, che preveda il rispetto di leggi già esistenti, inapplicate per il congestionamento degli uffici dei giudici di sorveglianza, costretti, nonostante il loro lodevole impegno, ad esaminare con attese estenuanti migliaia di istanze. 
Le ragionevoli proposte che mi sentirei di avanzare al legislatore sono: 

  1.  Il diritto automatico ai domiciliari per chi deve scontare meno di un anno. 
  2.  L’avviamento obbligatorio ai servizi sociali per tutti coloro che devono scontare gli ultimi tre anni di reclusione. 
  3. L’utilizzo della carcerazione preventiva solo in casi eccezionali, facendo tesoro del braccialetto elettronico in uso in tutti i paesi civili e non dimenticando che secondo la Costituzione si tratta di innocenti. 
  4. La possibilità di scontare la pena ai domiciliari per tutti i malati passibili di peggioramento in regime di reclusione e per chi ha compiuto 65 anni. 
  5. Trasferire in strutture attrezzate i tossicodipendenti per un più efficace programma di recupero, favorendo un futuro inserimento nella società.


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22 Ottobre 2011 
Un atto pubblico di resipiscenza

Gentile direttore,
di recente ho letto sulla sua rivista molte pagine dedicate al tema dell’aborto.
Chi le scrive è un grande peccatore, perché per decenni ho praticato l’interruzione volontaria della gravidanza e nello stesso tempo sono il massimo specialista italiano della materia: mi sono battuto per l’approvazione e l’applicazione di una legge, che regolasse la spinosa questione; negli anni Settanta ho introdotto in Italia il metodo Karman (basato su una semplice aspirazione della durata di pochi secondi) che può essere adoperato solo nelle prime settimane di gestazione, quando esiste solo una rudimentale stria primitiva e nessuna traccia di attività elettrica cerebrale; nel 1992 ho sperimentato in ambiente ospedaliero, una associazione di farmaci in grado, sempre nei primi giorni di gestazione, di indurre l’aborto senza necessità di intervento chirurgico.
Ho organizzato simposi sull’argomento e scritto sulle principali riviste italiane e straniere.
Potrà sul web consultare, tra le tante mie pubblicazioni, digitando tra virgolette il titolo, la mia relazione introduttiva al convegno “L’Embrione, tra Etica e Biologia”, al quale parteciparono oltre a medici e scienziati di fama mondiale, anche docenti della facoltà di Teologia di Napoli.
Avrei molto da dire anche sulla fine della vita, quel delicato momento, sul quale la Chiesa non si è definitivamente pronunciata, a differenza del suo inizio, sancito nel 1869 da Pio IX con un dogma nell’Apostolicae Sedis, il quale fa coincidere la fecondazione con l’entrata dell’anima nel corpo. Un’asserzione che riveste un profondo significato, anche sotto il profilo scientifico, perché in quell’attimo si origina un nuovo essere, frutto di due diversi patrimoni genetici, che prima non esisteva.
Durante i 35 anni di professione ho sempre adoperato esclusivamente il metodo Karman, seguendo la teoria di quegli studiosi che distinguono un pre-embrione, antecedente l’embrione e ritengono che il primo, un mero agglomerato di cellule, privo di individualità, perché in ogni momento può trasformarsi in due gemelli monozigoti non abbia ancora dignità umana.
Ho sempre creduto in un Dio creatore, con profonda convinzione, poi all’improvviso ho incontrato il Dio della misericordia, che da mesi mi invita a riflettere ed a fare pubblica ammenda di tutto ciò che ho fatto e propagandato nel corso della mia vita.
Anni fa un celebre collega americano, dopo aver praticato circa 40.000 interruzioni di gravidanza, un numero inferiore a quelle da me eseguite, manifestò sui principali quotidiani i segni del suo pentimento, una sensazione identica a quella da me provata in questi ultimi mesi e vorrei, attraverso la sua autorevole rivista (se vuole anche sotto forma di intervista) rendere pubblica la mia resipiscenza, contando, grazie alla mia notorietà e alla mia autorevolezza, di poter influenzare, non certo il fedele, ma il laico e soprattutto l’opinione pubblica o il legislatore.
Achille della Ragione
Via Manzoni 261 B
80123 Napoli


2 commenti:

  1. Navigando in Rete a volte ci si imbatte in pagine di grande umanità, provenienti dai posti più sorprendenti, che ti aprono la mente alla riflessione. E' il caso di queste lettere scritte da un detenuto di Rebibbia. Lettere molto belle e molto interessanti, spesso toccanti, dalle quali trabocca l'energia vitale in tutti i suoi vari aspetti peculiari di noi esseri umani: il sentimento, la ragione, l'amicizia, l'amore per i propri cari e l'amore universale, la ricerca del vero e del bello, l'impulso a migliorarsi e a migliorare il mondo esterno, tanto più quanto esso si è rivelato oppressivo e ingiusto. Sono lettere di un carcerato la cui mente e la cui anima sono, con tutta evidenza, libere e creative, molto più di tanti cosiddetti uomini liberi. Lettere che addolorano pensando alla triste sorte di quest'uomo, che non stento a credere innocente o punito ben oltre le sue colpe. Ma nello stesso tempo danno conforto e coraggio perfino a chi, come il sottoscritto, vive per lo più sprecando la sua libertà e cercando alibi che giustifichino o nascondano questo delittuoso spreco. La vita è una cosa preziosa, è una cosa bella, e il detenuto Achille lo dimostra più di tanti uomini cosiddetti liberi. Qualcuno ora sorriderà, ma a me leggendo queste lettere è venuto in mente Stephen Hawking, il grande scienziato che, dalla prigione non meno crudele di un corpo pressoché annichilito dalla malattia, ha dato e dà enormi contributi alla Fisica moderna. Ci vuole altro che una cella o una sedia a rotelle per imprigionare la mente e l'anima di un Uomo! Un solo piccolo appunto: mi è parsa una nota stonata nell'epistolario la lettera a difesa del delinquente, frodatore e corruttore conclamato, nonché politico cialtrone, che in un ventennio ha disastrato l'Italia, la sua economia e la sua immagine nel mondo. Dovrebbe esserci lui dietro le sbarre, e da un pezzo, se questo fosse ancora un paese serio. Invece, grazie alle sue leggi ad personam, potrà scegliere una lussuosa villa dove trascorrere qualche mese ai domiciliari, e magari otterrà pure la grazia presidenziale. Comunque, privilegiati e impuniti a parte, è davvero assurdo e inammissibile che nel paese di Cesare Beccaria i detenuti siano trattati peggio che in molti altri posti. Ora voglio solo ringraziarti, Achille, per il coraggio e la gioia di vivere che mi hai trasmesso. Spero che il tuo calvario possa terminare al più presto, perché hai già sofferto troppo e perché l'Italia ha bisogno di cittadini e di uomini come te.
    Non mollare!
    Giovanni

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  2. Non potrei mai credere che verrò tradito fino a quando non accadrà. È stato il mio peggior incubo. Eppure ho resistito. Per mio figlio e mia figlia. Ho ascoltato mi sono tenuto insieme. Ho letto articoli e post positivi come questo. Imparare ad andare avanti eppure restare per vedere se c'è un cambiamento. Perché vale la pena lottare per la famiglia, non importa quanto possa sembrare indegna a volte. grazie al sacerdote jaja che aiuta a riconciliare il nostro matrimonio e la nostra relazione d'amore. ecco le sue informazioni. nel caso in cui ti trovi in una situazione simile {lovetemple0001 {@} { gmail .{com }Sii la luce nell'oscurità. È l'unica scelta in questo universo

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